Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

29.3.09

GRAN TORINO


USA 2008

Regia Clint Eastwood

con Clint Eastwood






Clint Eastwood erige con questo film un monumento a se stesso, brillando ancora una volta più come attore che come regista. Pur vantando la dignità di un buon film di mestiere, può non riuscire a toccare pienamente le corde nel profondo, malgrado la tragicità dei contenuti.
Sì, perché il vecchio Walt Kovalski ormai è proprio incazzato con tutti o, per dirla con mezzi termini, non sopporta più nessuno.
Vive nel tradizionale Middle East dove la mentalità è dura a cambiare e perbenismo e intransigenza sono ancora l’anima di quella cultura che fatica a scrollarsi di dosso il proprio provincialismo. E’ stato un eroe di guerra, un cittadino esemplare, marito, padre e nonno, ma a vedere come va oggi il mondo, niente di strano che ci trovi qualcosa da ridire.
Anzi, lui per dire non dice niente: si limita a grugnire disgustato, volta le spalle e sbatte la porta in faccia a tutti. Se ne infischia se è suo figlio o suo nipote, il parroco o il ragazzino della porta accanto; chi gli fa girare le scatole lui lo tratta allo stesso modo: malissimo.
C’è da capirlo, è appena rimasto vedovo, la sua famiglia lo delude, i costumi e i consumi lo infastidiscono, le novità infestano la sua vita come la gramigna il suo prato se non si dedicasse a tosare l’erba con scrupolosa maniacalità, non senza indignarsi per lo stato di degrado a cui è invece abbandonato il giardino dei vicini, una famiglia di emigrati coreani, Musi Gialli, come li chiama lui, rispolverando i suoi ricordi di veterano.
E s’indigna per le continue incursioni del pastore che ha giurato alla sua defunta moglie di prendersi cura della sua anima o per le visite dei figli che vorrebbero invece prendersi cura del suo corpo convincendolo attraverso l’esibizione di depliant e brochure delle insospettabili attrattive di un certo ricovero per anziani.
Ma dopo aver mandato al diavolo tutti, il povero Walt sa bene come farsi rispettare, soprattutto quando può riesumare qualche residuato bellico dal suo arsenale privato per difendere dai bulli di quartiere una piccola dagli occhi a mandorla o per sistemare la gang di ladruncoli che cercano di fregargli la strepitosa Ford del ’72 messa insieme pezzo dopo pezzo nei cinquant’anni di dura manodopera alle industrie di Detroit, un gioiellino che tutti ammirano e invidiano.
I fattacci di quartiere sono occasioni d’oro per il vecchio Walter che non aspetta altro che una buona scusa per sfoderare i suoi dannati cannoni fra un sorso di birra fresca e una grattata al fedele labrador, rimasto ormai suo unico interlocutore vivente.
Walt si sente rinascere a giocare il ruolo di santo protettore, giustiziere e padre putativo dei ragazzini confinanti. Gli indesiderati vicini gli dimostreranno con la loro gratitudine un calore umano che egli non ha mai sperimentato neppure in famiglia.
Peccato solo che le analisi cliniche gli stiano dando, proprio sul più bello, l’inequivocabile responso che la sua fine è vicina. Quella tosse che lo angustia da tempo è un’irrevocabile sentenza di cancro al polmone.
Ma c’è troppa voglia di eroi in giro e Clint Eastwood non ci sta a farsi morire come uno qualunque.
Ecco perché il film piace a una così larga fascia di pubblico. Pur realizzato con minima spesa, attori sconosciuti e un protagonista ormai solcato dalle rughe, il carisma gode di un fascino intramontabile e il personaggio è trascinante, autorevole, esemplare. Le sue ultime volontà non contemplano cure, redenzione, pensieri salvifici o testamenti biologici.
La sua fine sarà come il colpo di coda di un Callaghan dagli occhi di ghiaccio: un cielo di piombo tutto per lui.
x
voto al film 7 1/2
x

28.3.09

STATI D'ANIMO

Umberto Boccioni 1911



xxxxxxxxxxxxxxxxxxQUELLI CHE SE NE VANNO















xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxQUELLI CHE RIMANGONO

FUTURISMO

Milano, Palazzo Reale fino al 6 giugno 2009










- Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le marce multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano, le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l’orizzonte e le locomotive dall’ampio petto che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi e il volo scivolante degli aeroplani la cui elica garrisce al vento come una bandiera…


da “Manifesto del Futurismo” di Filippo Tommaso Marinetti 1909











- Il gesto per noi non sarà più un momento fermato dal dinamismo universale: sarà decisamente la sensazione dinamica eternata come tale. Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente.
Per persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro zampe, ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari.

da “Manifesto tecnico della pittura futurista” 1910

Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto.

da “Ricostruzione futurista dell’universo” 1915






22.3.09

FROZEN RIVER


2008 USA

Regia di Courtney Hunt
con Melissa Leo - Misty Upham





Frozen River non è altro che la calotta di ghiaccio sotto cui d’inverno continua a scorrere placido il fiume San Lorenzo. Una distesa congelata che annulla la linea di confine naturale che separa la frontiera fra Stati Uniti e Canada, facendone un territorio ideale per traffici illegali redditizi, come il traghettamento dei clandestini da uno Stato all’altro.
Le riserve indiane che vi si affacciano sono tutte terre neutrali, fuori del controllo dei federali e con l’auto idonea e una buona dose di coraggio che solo la disperazione può infondere, è possibile, per due donne che si alleino, cercare di procrastinare il disastro finanziario, lo spauracchio della prossima rata che non si sa come fare a pagare e che, se non sarà pagata, si porterà via tutto, casa, figli, sogni e quel minimo di dignità che ancora resta per rimandare la decisione di farla finita subito.
Intenzioni più che meritevoli quelle di questo film indipendente, scritto e diretto dall’esordiente Courtney Hunt, che sembra promettere qualche buon talento.
La brava Melissa Leo, che si è fatta soffiare l’oscar come migliore attrice e forse lo avrebbe meritato a pari merito con la bella Kate Winslet, spicca per la sua bravura, reggendo da sola l’intero pathos del film, che può contare su molto poco d'altro.
Minimale la sceneggiatura, scenografia plumbea e avara delle belle immagini che quei grandiosi panorami possono offrire; trama così greve che alla fine lo stomaco si contrae per la tensione, la mente si satura d’ansia negativa nell’esasperata attesa che si realizzi un dramma continuamente annunciato.
Tutti difetti che forse difetti possono anche non essere.
Ci chiediamo se la regista non abbia lasciato apposta i margini sfumati affinché ci si concentri al massimo sul nucleo del messaggio, su ciò che l’efficace interpretazione della protagonista non lascia minimamente sottinteso: che nelle società prettamente maschiliste, la vita possa essere davvero uno schifo per la donna che non abbia altri su cui contare al di fuori se stessa, persino nella prosperosa America del Nord, di cui a noi arrivano prevalentemente le immagini patinate che transitano dai circuiti cinematografici commerciali.
Ma quell’occhio muliebre che legge e descrive i fatti di questo film, ci appare a più riprese eccessivo, quasi sul punto di sconfinare in compiaciuto eroismo vittimista. Arriva trasversale il messaggio che le donne siano intellettualmente superiori, più leali e più capaci, nonostante la loro fragile natura, e sappiano trarsi d’impaccio anche in situazioni estreme riuscendo sempre a salvare la propria umanità. Anche ammesso che sia vero, l’accanimento usato per dimostrare la sua tesi femminista è quasi crudele e suona come un inno fondamentalista che, alla fine, piuttosto che convincerci, ingenera in noi dei legittimi dubbi.
/
voto al film 6 1/2
/

18.3.09

CONTAINERART




NELLA SFILATA DI NUOVE PROPOSTE IN CUI CAPITA DI IMBATTERSI PASSEGGIANDO PER MILANO DURANTE LE RICORRENTI EXIBITIONS E FIERE VARIE DELL’EFFIMERO, SI SONO AGGIUNTI GLI ART CONTAINER.
EMBLEMI ANCH'ESSI DELLA RIQUALIFICAZIONE URBANA E DENOMINATI
“I BELLI DENTRO” SONO ALLESTIMENTI IN VERSIONE RIDOTTA, SALETTE ESPOSITIVE ITINERANTI, MUSEI IN MINIATURA. OFFRONO AL PASSANTE MICRO ESPERIENZE ARTISTICHE GRATUITE, L' IMMEDIATA FRUIZIONE DI OPERE D’ARTE D’AVANGUARDIA CHE DIVERSAMENTE NON SAREBBE FACILE INCONTRARE, CON LA POSSIBILITA’ DI POTER INTERAGIRE LASCIANDO UN PROPRIO COMMENTO A CALDO SULLO STREET BLOG.


Foto scattata a Milano, Corso Como
da Valentina Di Francesco
Per la Copertina di Lotus International N. 137 – I Saloni-


16.3.09





Pedro Salinas
La voz a ti debida


Salvador Dalì
The Persistence of Memory 1931




E' stato, accadde, è vero.
Fu in un giorno, fu una data
che segna il tempo al tempo.
Fu in un luogo che io vedo.
I suoi piedi toccavano il suolo,
questo stesso che tutti tocchiamo.
Il suo vestito era simile ad altri
che indossano altre donne.
Il suo orologio sfogliava calendari
senza scordare un'ora,
come contano gli altri.
E quello che lei mi disse
fu in una lingua del mondo,
con grammatica e storia.
Così vero
che sembrava menzogna.

No.
Devo viverlo dentro,
me lo devo sognare.
Togliere il colore, il numero,
il respiro tutto fuoco
con cui mi bruciò nel dirmelo.
Mutare tutto in forse,
in mero caso, sognandolo.
Così quando vorrà smentire
ciò che mi disse allora,
non mi perdonerà il dolore
d'una felicità perduta
che io tenni fra le braccia,
come si tiene un corpo.
Crederò di aver sognato.
Che tutte quelle cose così vere
non ebbero corpo nè nome.
Che perdo un'ombra,
un sogno solo.







14.3.09

Qualcosa d'altro che ci sarebbe piaciuto trovare...

IL VASO DI PANDORA 1956


LES VACANCES D'HEGEL 1958



L'HOMME ASSIS A LA TABLE 1960


















LE BANQUET 1956

Non si deve temere la luce del sole con la scusa che è servita a illuminare un mondo miserabile. (1946)





LA GRANDE GUERRE






LE BAISER 1957



LA NUIT

I titoli dei quadri non sono spiegazioni e i quadri non sono illustrazioni dei titoli. (1946)


Qualunque sia il suo carattere manifesto, ogni cosa mantiene il suo mistero: sia ciò che appare sia ciò che è nascosto, la conoscenza e l'ignoranza, la vita e la morte, il giorno e la notte. (1962)

MAGRITTE - Milano, Palazzo Reale fino al 28 marzo

13.3.09

ESPERIENZA


AUTORE Martin Amis


EDITORE Einaudi Supercoralli


ANNO 2002




Con l’uso articolato di varie forme letterarie annodate con eleganza e gusto britannico, Martin Amis tenta di colmare la sua voragine narcisistica, scrivendo di se stesso e della sua illustre famiglia.
Ne risulta una biografia molto autocelebrativa ma di notevole spessore umano.
I continui salti temporali, con riferimenti alle innumerevoli very important persons del suo entourage e una sottintesa fiducia nella preparazione autonoma del lettore a recepire tanta sovrabbondanza di citazioni colte con agganci continui a celebrità mondane e letterarie, rendono un po’ faticoso il superamento di diversi capitoli.
Amis, blindato in uno snobismo tipicamente english, non si spreca più di tanto per cercare di agevolare il lettore ignorante ad introdursi nel suo ambiente intellettuale ed esclusivo: lascia la porta socchiusa e alla fine “chi c’è c’è”, e chi se ne è andato, “cavoli suoi”.
Sarà in ogni caso ricompensata la testardaggine dei lettori che, muniti di enciclopedia, dizionario e pazienza, avranno superato questa specie di caccia al tesoro, tenendo duro fino in fondo, perché davvero merita.
Le difficoltà sono compensate da una scrittura ricercata ma scorrevole e un materiale raffinato che appare idoneo a lettori perseveranti ed ambiziosi, a caccia di maestri di scrittura, disposti a chiudere un occhio sull’egocentrismo esasperato di quest’autore, cui va riconosciuta comunque un’accesa sensibilità.

10.3.09

DONNE (a proposito di "Festa", chi meglio del buon Hank?)


AUTORE Charles Bukowski

EDITORE Guanda

ANNO 2006

Argomenti sintetici e spesso ripetitivi, scrittura stringata e sbrigativa, dialoghi scarni all’eccesso, frasi epigrafiche prive di costruzione sintattica: malgrado le scorciatoie stilistiche alla Bukowski, non si capisce in che modo ci sia riuscito, a scrivere queste 300 pagine autobiografiche, visto che, da come la racconta, si trovava per metà tempo in preda agli eccessi alcolici e per l’altra metà occupato a disperderne i fumi o a spassarsela in compagnia di qualche donna, e a volte anche più d’una. Le donne di questo racconto (un centinaio?) sono ben tratteggiate, quasi scolpite ognuna nella sua unicità fisica e caratteriale, ma la descrizione delle loro performances erotiche e sessuali appare un po’ meccanica, monocorde e probabilmente attinta ad una quantità limitata di soggetti. Resta quindi il dubbio che molti dei numeri descritti in questo libro non siano altro che un prodotto di pura fantasia, funzionale alle esigenze autocelebrative di un uomo che si considerava perdente su altri fronti ed ha abusato di un filone molto gradito al pubblico come scorciatoia verso il successo. Che dire? Astenendosi da commenti ipocriti o moralistici il romanzo si legge d’un fiato, attanaglia, è icastico e coinvolgente, stilisticamente originale e lascia il segno. Un’altra zampata possente di quell’orso misogino del buon Hank Chinaski che, pazzo delle donne, non ne amava nessuna.

4.3.09

IL COLOSSO DI MARUSSI

AUTORE Henry Miller 1941
EDITORE Feltrinelli 2007

“In quel momento gioii di essere libero da possessi, libero da ogni legame. Sarei passato quietamente da un sogno ad un altro, nulla rimpiangendo, nulla desiderando di più.”
L’incontro con la Grecia ha rappresentato per Henry Miller qualcosa di divino, di fatale e di rivoluzionario: un’esperienza così inaspettata, che produrrà in lui il cambiamento definitivo della sua filosofia del mondo.
La Grecia è vissuta come il luogo ideale di incontro fra uomo e uomo, al cospetto del sacro. E avere l’anima greca per Miller è uno stato di grazia, che rende diverso chi scopre di possederla, com’essere portatore dentro della scintilla stessa degli dei, predestinato perché il fuoco ogni momento possa divampare, ravvivato dal meltemi e dalla Retsina, rinfrescato dalle acque cristalline dell’Egeo o da quelle più profonde dello Ionio. E’ l’anima palpitante sopra la terra rossa di nettari, arsa dai venti e corrosa dal sole abbagliante, nera di eruzioni laviche, verde di alberi ebbri di luce, che forse sono stati piantati dagli stessi dei, nei momenti di esaltazione ubriaca.
E’ in Grecia che si incontrano meraviglie che esaltano il senso del viaggio, appagando le più intense aspettative del viaggiatore, le linee inalterate nei millenni, la voce del divino che scaturisce dalle forme, lo spettacolo della natura cangiante, la poesia spontanea, la solitudine beata nei pacifici silenzi, la gioia del poco, il viaggio esplorativo all’interno di noi stessi alla ricerca delle nostre origini, di ciò che è semplice, essenziale, duraturo e definitivo.
Questo libro racconta di un viaggio compiuto più per progressione che per direzione, senza nessuna meta, un tutt’uno col percorso, in cerca di accecanti, gioiose illuminazioni, di un chiarore che entri direttamente nell’anima e apra le porte del cuore, di un’emozione che esploda dentro come una supernova e faccia del cuore una miriade di frammenti fusi incandescenti.
La Grecia è un mondo a misura d’uomo in cui si avverte ancora la presenza degli dei: vi si possono incontrare individui così pieni, così ricchi e che si sanno donare così interamente, che ogni volta che ci si separa da loro assolutamente non conta se ce ne separiamo per un giorno o per sempre. Non ti chiedono niente, solo di partecipare alla loro sovrabbondante gioia di vivere. Se è vero che i Greci hanno umanizzato gli dei allora anche gli dei hanno “umanizzato” i Greci.
Questa terra rappresenta il superamento dell’incomunicabilità.
Ad ogni pagina viene voglia anche a noi di balzare con pochi passi da gigante su per le pendici di un simbolico monte e poi arrivati in alto, fare una corsa pazza lungo la cresta e saltare in cielo: un bel volo a capofitto nell’azzurro, e via. Ma sempre con la sensazione forte che potranno passare milioni d’anni, si potrà morire e rinascere all’infinito, qui o su un’altra galassia, come esseri umani o come angeli, non importa, perché ci sono momenti che sopravvivono all’eternità e travalicano la vita stessa dell’intero cosmo.
Capita con certi libri che il narratore e il lettore restino ammanettati in un vincolo indissolubile e se ne vadano in capo al mondo insieme, non prigionieri, ma schiavi volontari di una dolce, inalienabile dipendenza.

Lettori fissi