Proseguirà fino al 24 ottobre la mostra retrospettiva che Milano sta dedicando a Francesca Woodman, la giovane artista che negli anni ’70 ha indagato e messo a fuoco le proprie nevrosi esistenziali con l'aiuto di un obiettivo fotografico. La confusione intima e l’impotenza a chiarire in modo definitivo la propria identità interiore, di cui gli scatti eseguiti sono l’esplicito racconto, l’hanno condotta al suicidio a neanche 22 anni.
116 fotografie e alcuni video di confezione amatoriale, in cui l’artista statunitense ritrae se stessa con l'ausilio dell’ autoscatto, sono in qualche modo la testimonianza di una tragedia annunciata, quella che si compì il 19 gennaio 1981, giorno in cui la Woodman ha voluto porre termine alla sua giovane esistenza.
Inizia già partendo dall’ ingrata età dei 13 anni la sua ossessiva ricerca di una verità propria, che avverte istintivamente,
più allineata a impalpabili intuizioni che omologata alle correnti del suo tempo.
Nonostante l'inesperienza dei suoi pochi anni, Francesca segnala subito un’acuta sensibilità critica e una presa di coscienza prematura dando vita ad immagini cariche di pathos e thanatos, se da un lato ancora intrise di infantile ingenuità, dall'altro caratterizzate da una crudezza sconcertante e quasi perversa.
L’appendere se stessa e gli oggetti (abiti, volatili crocefissi ) sembra un atto rappresentativo di uno stato d’animo sospeso, indeciso di fronte alle scelte, sempre in cerca di risposte.
Messaggi visivi che riescono a turbarci , attraverso il linguaggio del disagio, con le domande che pongono e le risposte che apertamente reclamano.
Ossessivo è l'autoritratto, con cui Francesca amava rappresentarsi in scenografie da lei stessa progettate nel suo ambiente domestico o circondata dalla natura, in situazioni enigmatiche e in contesti fatiscenti, in piena solitudine o organizzandosi con le sue poche amiche, ma sempre mettendosi al centro di azioni di sua inventiva, con forte contenuto metaforico e simbolico. Ad un’amica che le domandava perché utilizzasse quasi esclusivamente se stessa come modello, pare che la Woodman abbia ribattuto: - "E' una questione di convenienza: io sono sempre disponibile".
La risposta, puntuale ed ironica sottolineava la condizione di giovane artista, ancora studentessa, nella necessità di contenere quanto più possibile i costi di produzione del proprio lavoro. Malgrado ciò, la sua opera non appare affatto monotematica o ripetitiva. Ogni scatto (o serie di scatti) è un’allusione o una rappresentazione teatrale in cui Francesca oltre che fotografa, è attrice, scenografa e regista di se stessa.
I suoi soggetti preferiti oltre al suo stesso corpo, ritratto in una nudità che potrebbe essere simbolicamente rappresentativa del valore della spontaneità e sincerità, sono pezzi di arredamento e di vestiario vintage, specchi, sedie, teli e carte da parati dietro a cui cerca sempre di mimetizzarsi, quasi a simboleggiarne il contraltare, cioè l'inevitabile utilità della bugia, del "falso" o del non dichiarato.
Some Disordered Interior Geometries, ecco come la giovane Woodman ha battezzato la sua prima ed unica collezione fotografica.
Quasi tutte le fotografie sono senza titolo tranne pochissime, fra cui questa : Three Kinds of Melon , da cui irrompe tutta la sagacia ironica e creativa di questa ragazzina, lei pure, come un frutto, maturata un po' troppo in fretta.
E’ un’indagine su di sé, una ricerca di coesione con i simboli degli oggetti ritratti.
Caratteristica di Francesca è che in ogni foto tiene nascosta una parte di sé: molto spesso si tratta del volto, che resta tagliato fuori dall'immagine, oppure celato dietro alla capigliatura o a maschere che lei stessa costruisce.
Anche questo fatto potrebbe far pensare ad un suo conflitto interiore: l'incapacità di manifestarsi nella propria interezza, la prudenza nel tenere segrete le emozioni, celare la propria cerebralità, se vissuta come aspetto maschile dominante, a differenza del corpo nudo che si può invece mostrare trattandosi per eccellenza del simbolo più rappresentativo della femminilità.
Nascoste però da gesti di pudore, sono quasi sempre le parti intime, che, per le pose assunte, risulterebbbero ostentate in modo eccessivamente provocatorio, cosa che non sembra essere nelle intenzioni di Francesca benchè in ultima analisi, si potrebbe essere indotti a sospettarlo.
Benché per ragioni di comodità abbia prediletto se stessa come modella delle sue foto, la sua opera non si fonda sull’autoritratto in sé, né lo scopo della fotografa sembra mosso da forme di mero narcisismo o esibizionismo; sembra piuttosto la messa in scena di un messaggio, anche se quale non appare ben chiaro, perché l’artista, data la sua morte precoce, non ha avuto il tempo necessario per scoprirlo.
Pareti scrostate e muri sbrecciati, pavimenti sporchi e sconquassati sono i fondali prediletti su cui si muovono tutte le scene fotografate o ripresa in video.
Nella mia interpretazione più semplicistica, la fanciulla sembra sospesa sul fragile limitare del dualismo fra maschile e femminile, in cui la parte femminile è quella di lei nuda che si espone e si lascia guardare mentre il ruolo maschile voyeristico e decisionale è giocato dalla Francesca che manovra attivamente macchina fotografica e cinepresa.
mca
“Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè, e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate.” FW
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