Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo. Oppure un economista.
Sappiamo da tempo che la crescita infinita dei consumi non è compatibile con un pianeta finito, sappiamo che il PIL non è un buon indicatore della felicità di un popolo, eppure ogni giorno continuiamo a sentire la preghiera alla crescita come sola possibilità di progresso del genere umano. Non c’è notiziario televisivo che non dedichi uno spazio quotidiano a declamare aumenti o diminuzioni degli indici di borsa, numeri inutili, ridicoli, di fronte a quelli che dovrebbero sostituirlo: ettari di suolo cementificato, chilometri quadrati di foreste rasi al suolo, barili di petrolio bruciati, tonnellate di co2 emesse, tonnellate di pesce prelevato dagli oceani, numero incredibile di animali macellati, tonnellate di minerali estratti, tonnellate di rifiuti prodotti, numero esponenziale di nuovi nati…
Ma si sa che la cassetta degli attrezzi dell’economista è stata progettata proprio nella fase ascendente della disponibilità abbondante di energia fossile, caso unico nella storia dell’uomo, e oggi non si sta rivelando più adeguata a gestire la fase di scarsità.
Tim Jackson afferma che serve una definizione coerente di prosperità che non faccia affidamento su assunti basati sulla crescita dei consumi. Serve dunque oggi più che mai un nuovo paradigma invece nemmeno la crisi finanziaria indotta dai mutui tossici e dal rincaro inverosimile del petrolio è servita a far cambiare rotta. Dopo qualche timido dubbio, è seguita immediatamente la somministrazione massiccia della stessa medicina che aveva causato il tracollo.
La tesi sostenuta dall’autore è che non è vero che per essere più felici bisogna essere più ricchi. Jackson ci propone un modello di economia che sia socialmente e psicologicamente sostenibile, in cui la parola crescita economica sia associata a quella di felicità e di tutela dell’ambiente. Una quantità crescente di studi e ricerche dimostra che nei paesi sviluppati la crescita a ogni costo porta a una maggiore infelicità e a livelli pericolosi di disuguaglianza. E come se non bastasse, è sempre più chiaro che gli ecosistemi che consentono alle nostre economie di funzionare stanno collassando sotto il peso dell'"iper consumismo". "Prosperità senza crescita" delinea una proposta concreta di economia sostenibile, l'unica che consentirebbe alle società umane di svilupparsi nel rispetto dei limiti ecologici del pianeta su cui viviamo. Prefazione di CarloPetrini. (IBS)
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Luigi Sertorio, docente di Ecofisica all'Università di Torino, ha così definito i consumatori: esseri che vivono ricoperti di protesi tecnologiche che sono un passo intermedio fra pensiero scientifico e discarica.
Verrà la morte ad estrarli dalle loro ville abusive. Resterà di loro un messaggio, un ricordo? No, ma lasceranno un’eredità a quelli che verranno dopo di loro: il dovere di trovare una sepoltura anche alle loro scorie.
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Foto di Lino Rusciano - Napoli Emergenza rifiuti http://www.fotocommunity.it/ |
Il consumatore non vuole la conoscenza, perché la conoscenza fa soffrire, brucia, gela, ferisce; l’opinione è tiepida come i liquidi fisiologici, fluisce facile come l’insulto delle risse televisive, come l’abuso che si subisce oggi e si infligge domani..
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Il sociologo Gianpaolo Fabris, riconoscendo tutti i mali della crescita ma pure le incoerenze della decrescita tout court, propone almeno come inizio una più praticabile terza via, quella di una società post-crescita che contempli una maturazione dell’individuo consumatore..
Fabris distingue lucidamente tra bisogni, desideri e capricci: i primi hanno un limite, si possono saturare, i secondi sono effimeri, innumerevoli, ma ancora legati alla realtà, i terzi sono infiniti, casuali, infondati e infantili..
E qui entra in gioco la psicologia e il perché del desiderio di soddisfazione che non risulta mai appagato.
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Perché abbiamo la cronica impressione che i soldi oggi non bastino mai? La risposta è che siamo schiavi di un modello mentale economistico che ci ha trasformato in servi del lusso, del superfluo e dell’apparire invece che dell’essere.
A volte ciò avviene solo per andare dietro al branco, per competitività, per narcisismo..
Desideri e capricci ci fanno ambire a case sontuose in più parti del mondo, lussuosi yacht, automobili potenti, abiti firmati, viaggi di vetrina: tutta roba da dozzinali telenovele.
Per la maggior parte si tratta di obiettivi impervi, difficilmente raggiungibili, della società no-limits particolarmente esaltata e sdoganata dalle televisioni commerciali degli anni Ottanta, con le loro esagerate telenovele e il messaggio devastante che, se non fai così, non sei nessuno; per cui vengono inutilmente spese un mucchio di risorse, e corsi gravi rischi e alla fine, per poi alla fine, non avendo raggiunto l'obiettivo, sentirsi ancora più frustrati e falliti di prima.
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Siamo una piccola nazione, con meno dell'uno per cento della popolazione globale, ma con arte, storia, cultura, buona tavola, paesaggio e natura (o quel che ne resta).
Godiamoci di più la nostra heimat*, una piccola patria senza retorica, amata e familiare, dove star bene con noi stessi, accogliere chi ci vuole far visita, e studiare, progettare, lavorare e costruire solo ciò di cui abbiamo veramente bisogno e ciò che siamo più bravi a fare. Liberiamoci della febbrile e declinante American way of life a favore di un nuovo Marketing mediterraneo lento e moderato, più gioioso e meno possessivo.
Riconosciamo che la terra, in pianura, collina o montagna, è la base per produzioni anche tecnicamente avanzate, con vantaggi per la decongestione delle zone urbane, per la difesa delle acque e la prevenzione di frane e alluvioni.
Non vergognamoci di convincere chi è indifferente ai problemi ambientali a cambiare stile di vita; e al diavolo la competitività: la mano invisibile del mercato ormai sta per sferrarci un sonoro ceffone!
Prepariamoci...a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza e forse più felicità
(ed. ChiareLettere 2011)
(ed. ChiareLettere 2011)
*indica il territorio in cui ci si sente a casa propria perché vi si è nati, vi si è trascorsa l'infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. ndr
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