2008 USA
Regia di Courtney Hunt
con Melissa Leo - Misty Upham
Frozen River non è altro che la calotta di ghiaccio sotto cui d’inverno continua a scorrere placido il fiume San Lorenzo. Una distesa congelata che annulla la linea di confine naturale che separa la frontiera fra Stati Uniti e Canada, facendone un territorio ideale per traffici illegali redditizi, come il traghettamento dei clandestini da uno Stato all’altro.
Le riserve indiane che vi si affacciano sono tutte terre neutrali, fuori del controllo dei federali e con l’auto idonea e una buona dose di coraggio che solo la disperazione può infondere, è possibile, per due donne che si alleino, cercare di procrastinare il disastro finanziario, lo spauracchio della prossima rata che non si sa come fare a pagare e che, se non sarà pagata, si porterà via tutto, casa, figli, sogni e quel minimo di dignità che ancora resta per rimandare la decisione di farla finita subito.
Intenzioni più che meritevoli quelle di questo film indipendente, scritto e diretto dall’esordiente Courtney Hunt, che sembra promettere qualche buon talento.
La brava Melissa Leo, che si è fatta soffiare l’oscar come migliore attrice e forse lo avrebbe meritato a pari merito con la bella Kate Winslet, spicca per la sua bravura, reggendo da sola l’intero pathos del film, che può contare su molto poco d'altro.
Minimale la sceneggiatura, scenografia plumbea e avara delle belle immagini che quei grandiosi panorami possono offrire; trama così greve che alla fine lo stomaco si contrae per la tensione, la mente si satura d’ansia negativa nell’esasperata attesa che si realizzi un dramma continuamente annunciato.
Tutti difetti che forse difetti possono anche non essere.
Ci chiediamo se la regista non abbia lasciato apposta i margini sfumati affinché ci si concentri al massimo sul nucleo del messaggio, su ciò che l’efficace interpretazione della protagonista non lascia minimamente sottinteso: che nelle società prettamente maschiliste, la vita possa essere davvero uno schifo per la donna che non abbia altri su cui contare al di fuori se stessa, persino nella prosperosa America del Nord, di cui a noi arrivano prevalentemente le immagini patinate che transitano dai circuiti cinematografici commerciali.
Ma quell’occhio muliebre che legge e descrive i fatti di questo film, ci appare a più riprese eccessivo, quasi sul punto di sconfinare in compiaciuto eroismo vittimista. Arriva trasversale il messaggio che le donne siano intellettualmente superiori, più leali e più capaci, nonostante la loro fragile natura, e sappiano trarsi d’impaccio anche in situazioni estreme riuscendo sempre a salvare la propria umanità. Anche ammesso che sia vero, l’accanimento usato per dimostrare la sua tesi femminista è quasi crudele e suona come un inno fondamentalista che, alla fine, piuttosto che convincerci, ingenera in noi dei legittimi dubbi.
/Le riserve indiane che vi si affacciano sono tutte terre neutrali, fuori del controllo dei federali e con l’auto idonea e una buona dose di coraggio che solo la disperazione può infondere, è possibile, per due donne che si alleino, cercare di procrastinare il disastro finanziario, lo spauracchio della prossima rata che non si sa come fare a pagare e che, se non sarà pagata, si porterà via tutto, casa, figli, sogni e quel minimo di dignità che ancora resta per rimandare la decisione di farla finita subito.
Intenzioni più che meritevoli quelle di questo film indipendente, scritto e diretto dall’esordiente Courtney Hunt, che sembra promettere qualche buon talento.
La brava Melissa Leo, che si è fatta soffiare l’oscar come migliore attrice e forse lo avrebbe meritato a pari merito con la bella Kate Winslet, spicca per la sua bravura, reggendo da sola l’intero pathos del film, che può contare su molto poco d'altro.
Minimale la sceneggiatura, scenografia plumbea e avara delle belle immagini che quei grandiosi panorami possono offrire; trama così greve che alla fine lo stomaco si contrae per la tensione, la mente si satura d’ansia negativa nell’esasperata attesa che si realizzi un dramma continuamente annunciato.
Tutti difetti che forse difetti possono anche non essere.
Ci chiediamo se la regista non abbia lasciato apposta i margini sfumati affinché ci si concentri al massimo sul nucleo del messaggio, su ciò che l’efficace interpretazione della protagonista non lascia minimamente sottinteso: che nelle società prettamente maschiliste, la vita possa essere davvero uno schifo per la donna che non abbia altri su cui contare al di fuori se stessa, persino nella prosperosa America del Nord, di cui a noi arrivano prevalentemente le immagini patinate che transitano dai circuiti cinematografici commerciali.
Ma quell’occhio muliebre che legge e descrive i fatti di questo film, ci appare a più riprese eccessivo, quasi sul punto di sconfinare in compiaciuto eroismo vittimista. Arriva trasversale il messaggio che le donne siano intellettualmente superiori, più leali e più capaci, nonostante la loro fragile natura, e sappiano trarsi d’impaccio anche in situazioni estreme riuscendo sempre a salvare la propria umanità. Anche ammesso che sia vero, l’accanimento usato per dimostrare la sua tesi femminista è quasi crudele e suona come un inno fondamentalista che, alla fine, piuttosto che convincerci, ingenera in noi dei legittimi dubbi.
voto al film 6 1/2
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