premio Leone d'Oro alla Rassegna Cinematografica di Venezia 66
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Musica: Nicholas Becker
Interpreti: Yoav Donat, Itay Tiran, Oshri Cohen, Michael Moshonov
Il 6 giugno 1982 parte l'operazione Pace in Galilea: sessantamila soldati israeliani varcano il confine del - Giardino dei Cedri - il Libano, e in breve, con un'azione congiunta di artiglieria e marina , accerchiano Beirut, intenzionati a distruggere l'apparato militare dell'OLP e a mostrare la propria supremazia sui Siriani. Per circa tre mesi la capitale è teatro di un'atroce guerra casa per casa fra l'esercito israeliano e le milizie palestinesi, musulmane sunnite e i rinforzi della FAD.Avrà fine il 19 agosto con l'arrivo di contingenti d'interposizione degli eserciti statunitense, francese e italiano, dopo aver causato decine di migliaia di morti. (fonte Wikipedia)
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I fantasmi della guerra continuano ad aleggiare nella letteratura e nella filmografia israeliana, e i sensi di colpa da esorcizzare si manifestano sempre più evidenti.
Il film è la vicenda autobiografica dello sceneggiatore israeliano Samuel Maoz che, elaborato il trauma per anni, trova alla fine il coraggio e l'espressione artistica giusta per raccontare la cronaca di quel primo giorno di guerra, vissuto da lui, componente allora ventenne di una piccola squadra di carristi, e da tre suoi compagni di missione, tutti coetanei. Secondo il loro capitano Jamill, quella prima azione sarebbe stata niente più che "una passeggiata", invece, da come ce la racconta, una passeggiata non fu proprio, perchè le cose non andarono nel modo previsto.
L'equipaggio del tank infatti, il cui incarico era di scortare il plotone dei paracadutisti in perlustrazione di un'area ostile, già rasa al suolo da una precedente incursione aerea, si ritrova inaspettatamente isolato dal resto delle forze alleate e in balia di un invisibile nemico.
Sono 24 ore di tensione spasmodica, di terrore e confusione claustrofobica, in un'azione di guerra osservata attraverso l'occhiello ristretto del puntatore del mezzo blindato.
Maoz la racconta con enorme potenza autocritica, senza mascherare lo sdegno, con uno stile inedito di narrazione filmica che si allontana da quello tradizionale di genere, nutrito di scenografie spettacolari.
L'obiettivo si restringe, fino a focalizzarsi su esigui dettagli. E' l'occhio della coscienza che scruta intorno e fa sussultare.Lebanon non è un film di guerra, ma una meditazione profonda in cui, proprio dal silenzio, si generano le voci interiori.
Le tensioni, l'intima ribellione alla perdita dell' innocenza e l'orrore provato dai soldati si fanno sempre più nostri, mentre stiamo lì ad assistere impotenti. Si resta stremati nel doversi difendere da un nemico indefinito, che potrebbe celarsi in tutti e in nessuno, e dal decidere troppo in fretta se sparare e uccidere subito o rischiare di morire per aver esitato un attimo.
Ma la guerra, se anche riesce a fermare le vite, non ferma le esigenze che ha la vita per andare avanti, e così nella pancia del carroarmato si fa tutto: si mangia, si dorme, si piscia, ci si racconta, si dà assistenza al prigioniero ferito e si fa la veglia al morto.
L'aria all'interno del blindato è densa di adrenalina e impestata di tremori e sudori, miasmi di escrementi e fumo di sigaretta.
L'aria all'interno del blindato è densa di adrenalina e impestata di tremori e sudori, miasmi di escrementi e fumo di sigaretta.
Manca il respiro; si vorrebbe uscire da lì, andarsene, e invece si resta, inchiodati da una forza che si impone: da lì non si può fuggire, nè loro nè noi.
E allora ci si chiede: questo nemico che forma ha, che faccia ha? E' un'ombra improvvisa che si staglia su un muro o un'auto dall'aria pacifica che potrebbe essere imbottita di tritolo? Un allevatore che trasporta polli col furgone e non si ferma all'Alt o una bambina che si aggira atterrita fra le macerie piangendo, mentre la madre disperatamente la cerca, con le vesti polverizzate dal fosforo? Oppure un mulo colpito dal fumogeno, che rantola con gli occhi aperti nella polvere e una domanda in sospeso per gli uomini? E anche ... quel mare sterminato di girasoli rivolti al cielo, immobili nella calura, che verranno presto stritolati dai cingoli arrugginiti del carroarmato, quando si farà strada attraverso le coltivazioni?
IL CARROARMATO E' SOLO UN AMMASSO DI FERRAGLIA - avverte un cartello apposto sulla lamiera del cingolato- E' L'UOMO CHE E' D'ACCIAIO.
E se d'acciaio non è?
Deve diventarlo, altrimenti è fottuto.
Un film che merita il premio assegnatoli, tuttavia non concepito come spettacolo per passare il tempo e divertirsi.
Va preso come un impegno, un mandato da cui possibilmente non esimersi, per formulare una sentenza interiore di condanna alla guerra, convinta, definitiva e senza sconti di pena.
Nessuna guerra è mai santa o giustificata, non c'è territorio, nè ideale nè tantomeno religione che la discolpi.
Non potrà essere migliore o peggiore a seconda delle ragioni che la causano e non sarà meno responsabile chi la perde o chi la vince.
La guerra è una merda e basta, per tutti, da qualunque parte si rigiri il discorso.
Voto 8 (con applauso)
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