Flavio Caroli
ed: ottobre 2009-Mondadori Saggi
-A trent’anni la vita è un gran vento che si placa- scriverà Vincenzo Caldarelli.
Fino a questo momento Vincent non ha mai pensato di dedicarsi in toto ad un mestiere così stravagante, così barbonesco, così estraneo ai sogni del severo padre luterano.
“Con la pittura ha inizio la mia vera carriera, Theo.” scrive al fratello.
Vincent Van Gogh è tutto compreso fra queste due lettere. E se, pensando a lui, proviamo lo stesso sgomento che proveremmo vedendo una falena bruciare sulla fiamma di una candela, ciò è dovuto allo spaventoso autolesionismo di un uomo che, intravista una strada per la nobiltà, una strada addirittura casuale, vi si immola senza lasciarsi un solo appiglio alle spalle.
Il carisma di dolcissimo martire che Van Gogh trasmette al nostro tempo risiede tutto qui: nella sua generosità; una forza così geneticamente benigna da essere inevitabilmente travolta dalle potenze maligne che si annidano in questo mondo.
Perché fallisce in termini di felicità la scommessa vangoghiana? Perché Vincent pensa che il mondo possa migliorare. Crede che la pittura, attraverso la sua alta nota gialla possa esprimere l’essenza della realtà e della natura, aiutando l’uomo a riscattarsi nella vita terrena.
A tal fine, ad Arles inventa l’uso del colore puro, cioè del colore spremuto direttamente dal tubetto, negazione implicita della pittura tonale.
Allo stesso modo Rimbaud, nato poeta, con le parole intende mostrare la via della redenzione. Ma quando si avvede che ciò non è possibile, lascia tutto e si dedica al traffico di armi in Africa. Scompare sulla soglia dei trentasette anni che affonda Van Gogh; come anche Watteau, Raffaello, Parmigianino, Toulouse–Lautrec.
Van Gogh è assai più ingenuo di Rimbaud. Lo spirito predicatorio degli anni giovanili, la convivenza con i minatori e la pur toccante ”università della miseria”, gli amori infelici per figlie di famiglia o per prostitute incinte, sono solo una premessa, o meglio una placenta che avvolge il suo caso senza spiegarne l’entità vitale. Quando Vincent, appunto a trent’anni, convoglia ogni sua energia sulla pittura, ha la sola ambizione di trovare strumenti espressivi adeguati per descrivere il mondo spogliato delle sue apparenze, così come lo vede un occhio delirante e profetico.
“In tutta la natura, negli alberi ad esempio, vedo dell’espressione, e per così dire un’anima. Una fila di salici cimati a volte sembra una processione di uomini dell’ospizio. Il grano giovane ha qualcosa di inesprimibilmente puro e tenero e risveglia la stessa emozione dell’espressione di un bambino addormentato. L’erba calpestata sul ciglio della strada ha l’aspetto stanco e impolverato della gente dei quartieri poveri. Qualche giorno fa, dopo la nevicata, vidi un gruppo di cavoli che se ne stavano gelati e taciti, e mi fece venire in mente un gruppo di donne nelle loro vesti leggere e vecchi scialli che avevo visto al mattino presto in un negozietto di acqua calda e sapone.”
La salvezza, se verrà, sarà una conseguenza; il puro frutto della creazione. In ogni caso, nell’ultimo anno di vita, per Van Gogh inizia il precipizio, l’abbacinante, terrificante serie di allucinazioni che non avrà termine fino alla morte, con le punte massime durante il ricovero in manicomio a Saint Rémy-de Provence.
Negli ultimi tre mesi, ad Auvers-sur-Oise, Vincent affronta ottantatre dipinti che si battono con il tema della natura. Più di una profezia o di una crisi nervosa al giorno. Non può reggere a quella temperatura. E’ stanco, è mortalmente stanco. Infatti quando rincasa, il 27 luglio 1890, dopo aver visto un sole di schiuma sfasciato nell’inchiostro, mentre la mareggiata di grano ingoiava sgorbi neri simili a corvi; quando rincasa, annuncia di essersi sparato un colpo di pistola vicino al cuore. Desidera riposare. Dorme. Dopo si sente meglio. Sa di essere affetto da quella che oggi si definirebbe psicosi maniaco-depressiva. Parla col fratello, fumando la pipa. E’ tanto ottimista che dice: ”Adesso non lo farei più”. Poi spira.
.Muore un titano, in Francia. L’unico che ha osato addossare all’arte compiti ardui anche per le religioni. Il solo che, con la pittura, ha trovato il bandolo per raggiungere la grande cosa bianca: la salvazione. Una salvazione che, sbarazzatasi di lui, non si è più sentita minacciata; avendo solo cura di tenere i poeti a rispettosa distanza dal proprio castello inespugnabile e beffardo.
Prof. Flavio Caroli- Il Volto e l’Anima della Natura (pgg. 86-89, cap XI)
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risplende: è una piccola valle spumeggiante di raggi.
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riproduzioni Van Gogh
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