E’ presto ancora in questo mondo, mi senti
i mostri non sono stati domati, mi senti
il mio sangue perduto e l’affilato, mi senti
coltello
come ariete corre nei cieli
e delle stelle spezza i rami, mi senti
sono io, mi senti
ti amo, mi senti
ti prendo per mano, ti conduco, ti metto
la bianca veste nuziale di ofelia, mi senti dove mi lasci, dove vai e chi, mi senti
ti tiene per mano là sopra tra i diluvi
le gigantesche liane e la lava dei vulcani
verrà giorno, mi senti
che ci seppelliranno e poi, dopo migliaia di anni, mi senti
non saremo che pietre lucenti, mi senti
dove si rifrangerà l’indifferenza, mi senti
degli uomini
e in migliaia di pezzi ci butterà, mi senti
nell’acqua ad uno ad uno, mi senti
conto i miei amari ciottoli, mi senti
e il tempo è una grande chiesa, mi senti
dove le icone a volte, mi senti
dei santi
piangono lacrime vere, mi senti
le campane aprono in alto, mi senti
un profondo valico per lasciarmi passare
gli angeli aspettano con ceri e salmi funebri
non me ne andrò via di qui, mi senti
o insieme tutti e due o nessuno, mi senti
questo fiore delle tempesta e, mi senti
dell’amore
una volta per sempre lo cogliemmo, mi senti
e non potrà più fiorire, mi senti
su altri pianeti o stelle, mi senti
non c’è la terra e neppure il vento
lo stesso vento che toccammo, mi senti
e non un giardiniere che ci sia riuscito, mi senti
da inverni e bore simili, mi senti
spuntare un fiore, solo noi, mi senti
in mezzo al mare
con la sola volontà dell’amore, mi senti con grotte, promontori e rupi in fiore
senti, senti
chi parla alle acque e chi piange – senti?
chi cerca l’altro, chi grida – senti?
sono io che grido ed io che piango, mi senti
ti amo, ti amo, mi senti.
MONOGRAMMA
(1911-1996) premio Nobel per la letteratura 1979
La poesia di Odisseas Elitis conversa con il mare. Racconta di vento, rocce, alberi di acacia, amarilli, olivi, ciottoli e sentieri. Vi si trovano templi antichi, chiesette sperdute, bianchi cortili, giovani donne con «l’età del mare negli occhi e la salute del sole nel corpo», e una solitaria, irriducibile, eversiva fede nella felicità. Figlio di genitori originari di Lesbo, Odisseas Alepudelis - questo il vero nome - nacque a Iraklion, sull’isola di Creta, nel 1911. Durante le estati di navigazione sulla barca di famiglia assorbì nel corpo e nell’anima la luce dell’Egeo: da questa infanzia all’insegna dei cinque sensi - della loro libertà informale, immediata - nasce una delle opere più «solari» del Novecento, insieme a quella di García Lorca, cui l’accomuna il tono di fierezza e di malinconica, ritmica gioia. «Gli europei e gli occidentali - diceva Elitis - trovano sempre il mistero nell’oscurità, nella notte, mentre i Greci lo trovano nella luce, che per noi è un assoluto». Intessuta dei raggi di questo assoluto è ogni riga dei suoi scritti, che non sono mai ritiro edenico, quanto piuttosto disciplina del vivere e del comporre: «La Grecia e il suo paesaggio sono l’alfabeto di elementi naturali a cui ho cercato di trovare una corrispondenza morale nella poesia».
Al cospetto di questa luminosa, impegnativa saggezza le epifanie personali del poeta - la danza di una lucertola sui marmi di Olimpia, una farfalla che si posa sul seno nudo di una ragazza addormentata al sole tra le piante di limoni, i delfini visti da un battello tra Paros e Naxos - assumono valore universale, ricomponendo anche nell’anima del lettore «i frammenti della vita che teniamo nascosta o consentiamo che ce li tengano disgiunti».
Trasferitosi a Parigi nel ’48, vi conobbe, oltre ai maggiori poeti del suo tempo, artisti come Picasso, Léger, Matisse, Chagall, Giacometti: a loro e ad altri presterà lo sguardo di un critico d’arte professionista, come testimoniano i saggi raccolti ne "La materia leggera - Pittura e purezza nell’arte contemporanea". In quegli stessi anni di vagabondaggio europeo, oltre a lavorare per la radio nazionale greca e a fornire testi al musicista Mikis Theodorakis, Elitis getta le fondamenta di Axion Estì (Dignum est), odissea interiore dell’uomo moderno e sua opera più rappresentativa. Elitis non ha mai cercato l’amore ma «il vento e dell’alto mare aperto il galoppo» e ad un certo punto si trova coinvolto in un rapporto non più limitato all’Eros, per quanto questo sia sempre stato per lui ricco di profonde risonanze paniche.
Le sette poesie di Monogramma fissano in versi immortali, per struttura e bellezza, ciò che non può più essere definito, con parole troppo terrene, un amore infelice, non ricambiato. È piuttosto un incontro scritto nelle stelle, foriero di destino, da cui filtra una luce che allo stesso tempo ferisce e trasporta il poeta, e chi lo legge, in quello che Simone Weil chiamava, cercando di definire l’amore, un «evento dell’eternità».
Le sette poesie di Monogramma fissano in versi immortali, per struttura e bellezza, ciò che non può più essere definito, con parole troppo terrene, un amore infelice, non ricambiato. È piuttosto un incontro scritto nelle stelle, foriero di destino, da cui filtra una luce che allo stesso tempo ferisce e trasporta il poeta, e chi lo legge, in quello che Simone Weil chiamava, cercando di definire l’amore, un «evento dell’eternità».
Dopo il testo originale in greco di Monogramma, vengono offerte al lettore la versione italiana di Marco Vitti, primo traduttore cronologico del poeta, per poi proseguire, in direzione dell’Oriente, con quelle in spagnolo, francese, inglese, tedesco, russo, bulgaro, rumeno, chiudendosi con la traduzione italiana di Paola Maria Minucci, curatrice del volume, amica di Elitis e professoressa di Letteratura neogreca all’Università La Sapienza. «Ogni traduzione - ci dice - è anche una lettura critica, essendo quella del poeta un’opera aperta». Raramente un artista ha ricevuto omaggio più sentito, a metà strada tra le parole e il loro suono capace di commuovere al di là del significato, come accade in musica.
La poesia di Elitis appartiene al futuro. Nella sua opera - di nuovo, come nella musica - si respira tensione verso una silenziosa, indicibile pace. Il poeta la desidera, la insegue, qualche volta la ottiene, senza mai perdere la speranza che questa possa avverarsi anche per l’amata, in definitiva per tutti. Ma spesso Odisseas è solo. «Mi senti?» è l’intercalare affannoso di Monogramma.
«Mi basta bere un sorso di acqua pura e mangiare soltanto pane o pensare intensamente ad un’isola dell’Egeo nel sole di mezzogiorno e al fragore della risacca per ritrovare l’equilibrio in un sentimento che non è precisamente né fede metafisica, né autosufficienza estetica, né scorta di risorse fisiche, ma qualcosa, direi, come la certezza che esiste ancora una sufficiente riserva di luce nel mondo, che può controbilanciare le tenebre e che aiutandola ad emergere, e solo con questo, si rientra nell’armonia con l’esistenza e con il suo destino».
«Mi basta bere un sorso di acqua pura e mangiare soltanto pane o pensare intensamente ad un’isola dell’Egeo nel sole di mezzogiorno e al fragore della risacca per ritrovare l’equilibrio in un sentimento che non è precisamente né fede metafisica, né autosufficienza estetica, né scorta di risorse fisiche, ma qualcosa, direi, come la certezza che esiste ancora una sufficiente riserva di luce nel mondo, che può controbilanciare le tenebre e che aiutandola ad emergere, e solo con questo, si rientra nell’armonia con l’esistenza e con il suo destino».
(mca ringrazia)
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