Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

28.2.10

" IL LADRO GENTILUOMO"


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RUBAVA ALL'ARTE COLTA
......PER DONARE ALL'ARTE PO...P
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ROY LICHTENSTEIN - Meditations on ArtLa Triennale di Milano- fino al 30 maggio







Woman with flowered hat 1963 - "Negli anni ‘50 Picasso ha avuto un’influenza molto grande su di me. Spesso gli artisti hanno convertito l’opera di altri nel proprio stile. I miei Picasso sono dipinti alla maniera di un fumetto, così perdono tutte le sfumature del Picasso e assumono altre caratteristiche."//
Il suo obiettivo era di svuotare il soggetto di ogni connotazione emotiva evidenziandone il carattere di stereotipo per fare dell'opera la fotografia di una società che si nutre di emozioni finte.






Nell' impossessarsi d'immagini create da altri, Lichtenstein ha sdoganato in arte il nuovo concetto di appropriazione.






Bedroom at Arles 1992 - "Ho realizzato questo quadro ispirandomi a una cartolina della celebre camera di Vincent, dipinta nel 1888. Certo gliel’ho un po’ pulita e quando tornerà dall’ospedale, sarà contento di vedere che gli ho sistemato le camicie e acquistato nuovi pezzi d’arredamento.
Il suo è meglio ma il mio è più grande".
Still Life with Bowl 1973 -"Tradurre l'opera di un artista in uno stile da fumetto ha un significato: apparentemente degrada l'opera associandola a riproduzioni da due soldi. Invece, dal mio punto di vista, questo significa tradurre nel mio stile, che imita le riproduzioni da due soldi. A mio parere il contrasto fra il mio intento e quello dell'originale è così smisurato, che in quella differenza c'è qualcosa di spassoso. "


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The Red Horseman 1974 - Riprende il Cavaliere Rosso di Carrà del 1913
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Pennellate di Ghiaccio - "La pennellata è particolarmente difficile.
La cosa cominciò con un’immagine da un libro di fumetti in cui un artista pazzo barrava con un' ampia pennellata a X il volto di un demone che lo stava inseguendo.
In seguito ho anche realizzato pennellate in bronzo e legno per renderle più tangibili. "


Girl at Window - è un rielaborato-réclame del famoso quadro di Hopper (Cape Code Morning del 1950), emblema del benessere sociale e dello stile di vita del boom consumistico di quegli anni. La casalinga appagata, madre e moglie perfetta che reggeva idealmente l’asta della bandiera a stelle e strisce. Viene persa tutta la narrazione presente nelle raffigurazioni di Hopper, per lasciar posto unicamente ad un’immagine di facciata con perdita della tridimensionalità.
La sua trasgressione fu di fregarsene dei dogmi secondo i quali l’artista doveva creare opere tassativamente originali, nella forma, nello stile e nei contenuti. Il suo metodo fu di rirappresentare immagini di opere celeberrime, adottando un processo di filtraggio sia materiale che culturale tale da creare una nuova autenticità.

La Pop Art può essere considerata il riflesso dell’esasperato consumismo dilagante negli Stati Uniti, emblema di quella trasgressione a lungo covata nelle anime delle nuove generazioni oppresse dal perbenismo ipocrita di facciata che caratterizzava la società americana. Tutte le menti laiche ed innovatrici le aveva già crocifisse o le aveva fatte fuggire verso l'Europa. Dopo la guerra, all'inizio degli anni ’50, si è finalmente cominciato a dare ascolto e attenzione anche alle voci più disallineate, quando la voragine culturale con l'Europa poteva apparire ormai incolmabile...
...
Fonte: Roy Lichtenstein
Meditations on art - Skira Ed.
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27.2.10

BIRDS WITHOUT WINGS

Louis De Bernières - L'Impossibile Volo
TEADUE - 2009 Trad. Anna Rusconi
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Nel grande disegno delle cose questo libro è dedicato alla triste memoria dei milioni di civili che all'epoca del racconto,
qualunque fosse il loro schieramento o appartenenza etnica, caddero vittime dei numerosi esodi e scambi di profughi, delle marce della morte e delle campagne di sterminio e persecuzione. (Louis De Bernières)
Lo stesso autore dello strepitoso romanzo "Il Mandolino del Capitano Corelli".
(Heroic Roses - febbr.2009) .
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Turchia - inizi del 1900 del calendario cristiano - città ora estinta di Eskibahce.
Musulmani, cristini e ebrei vivono in pace pur calpestando lo stesso suolo.
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IL CANE
I due bimbetti si confrontavano le dita dei piedi: l’unica cosa che queste avevano in comune era l’infarinatura bianca della polvere della strada e l’abbronzatura intensa del sole d’inizio estate.
Karatavuk stava mostrando all’amico che era capace di muovere un dito alla volta, mentre l’altro se ne stava tutto compreso nello sforzo di emularlo, quando avvertirono la presenza di qualcuno che, giunto sulla cima del colle, avanzava verso di loro.
Si resero conto della sua stranezza prima ancora di vederlo da vicino. Aveva un’andatura esagerata e irregolare, quasi fosse abituato ad andare così di fretta da non riuscire a tenere un passo misurato. Inoltre non procedeva in linea retta, ma piegava continuamente di qua e di là, tanto che le impronte prodotte disegnavano nella polvere la traccia ondeggiante di un rigagnolo o di un serpente.
I bimbetti raddrizzarono la schiena e, in preda ad un misto di fascinazione e paura, lo guardarono avvicinarsi. D’un tratto balzarono in piedi con l’idea di scappare, ma qualcosa nel contegno di quell’uomo impedì loro di farlo. Era come se non vi fosse alcun pericolo, come se lui non vivesse in quel mondo e non potesse nemmeno vederli.
E fu proprio così, non li vide.
Alto e magrissimo, con gambe ossute rese muscolose da anni di marce, indossava solo un cencioso lenzuolo grigio con un buco per la testa, che a malapena gli arrivava alle ginocchia. Un pezzo di corda gli cingeva la vita, e il peso del nodo sul davanti salvava a stento la decenza. Nella mano destra stringeva una lunga asta di frassino logoro e con questa si aiutava a procedere alla sua innaturale velocità. La sinistra invece poggiava sul collo di un otre per l’acqua, fatto di pelle di capra bianca e attaccato a una tracolla di cuoio che gli correva di traverso sul petto.
L’uomo, lacero e stracciato, pareva non curarsi di nulla. I suoi occhi non guardavano né a destra né a sinistra e dalla massa incolta dei capelli grigi, aggrovigliati, annodati e impastati di terra, il sudore gli colava sulla fronte disegnando sentieri. Ad ogni passo emetteva un gemito inarticolato, come a soffocare un dolore contenuto, il gemito che può uscire dalla labbra di un folle o di un sordo che non ha mai imparato a parlare. Sembrava che quei vocalizzi fossero l’accompagnamento alla sua marcia.
Superò i due bimbetti che all’unisono presero a seguirlo, imitando il suo incedere erratico e ridacchiando tra loro, dapprima timidamente, poi con sfrontatezza crescente, mentre l’oggetto del loro scherno li ignorava del tutto.
Si diressero verso la parte bassa della città e presto la processione si allargò e altri bambini si unirono alle file, ansiosi di imitare quell’uomo singolare, aggiungendosi allo sgangherato corteo di mimi e dileggiatori, e attirarono anche i cani randagi che presero ad abbaiare senza senso e a balzellare intorno alla sfilata.
Chi non era andato a raccogliere tabacco, fichi o uva sultanina e si ritrovava in città, si affacciò alla porta e restò ad osservare a bocca aperta quel selvaggio e il suo seguito. Alcune donne strapparono i figli dal corteo, ma a questi se ne sostituirono presto dei nuovi. Nei caffè gli uomini smisero di giocare a backgammon e uscirono in strada con le grosse sigarette strette fra le labbra e i fez variamente inclinati sulla testa. Si scambiarono sorrisi divertiti o sardonici commenti, per poi scrollare le spalle e tornare ad oziare.
Non era certo la prima volta che vedevano un mendicante vagabondo, pochi però tenevano lo sguardo puntato all’orizzonte come lui, che sembrava quasi al timone di una nave di assetati in ceca di terra. In un certo qual modo veniva da pensare che un tempo quell’uomo fosse stato importante, e che non avesse mai perso l’atteggiamento staccato e signorile di allora.
Notarono che nel suo portamento c’era qualcosa d’indomito e profetico e immaginarono fosse un derviscio** di una delle molte confraternite sufi. La città non aveva mai avuto un autentico santo locale e alcuni nutrirono l’istantanea speranza che finalmente ne fosse arrivato uno. Gli amanti del sensazionale non vedevano l’ora di assistere a miracoli e i bottegai e gli artigiani si fregavano le mani al solo pensiero di un afflusso di pellegrini. I più sofisticati dal punto di vista teologico, infine, - ma a parte l’imam va detto che praticamente non ce n’erano – si rallegrarono della comparsa di un essere disposto a faticare per il sommo bene cosmico e ad indirizzare la propria energia spirituale verso il sostegno dell’universo.
Al suo passaggio il Cane lasciò tutti perplessi per la totale assenza di richiesta di elemosina. Camminava e basta, lo sguardo fisso su un altro mondo, forse sul passato o forse sull’interiore tumulto dei propri pensieri. Superò le ultime case, piegò a sinistra e cominciò a salire, poi guadagnò il sommo della collina e si fermò a girare meccanicamente il capo da questa a quella parte, come in cerca d’ispirazione. All’improvviso, presa una decisione, puntò con nuova risolutezza verso la grotta da cui estraevano la calce, sotto lo sguardo dei bambini, ora compresi e silenziosi, molti dei quali si tenevano per mano, entrò, tastò l’aspra superficie delle pareti e fiutò l’ambiente con le narici che gli vibravano ad ogni respiro. Inalò il sudore acido delle generazioni che avevano scalpellato la roccia friabile, annusò il puzzo degli escrementi dei pipistrelli, e infine, concluso che non era quello il posto, uscì. Sempre ignorando i bambini, si diresse verso una tomba a colonna alta circa sei metri, sfiorò con aria incuriosita l’antica iscrizione licia e, battendo le palpebre nella tersa luce del cielo, levò gli occhi a valutare la possibilità di stabilirsi su quel tetto piatto, come un nuovo Simone lo Stilita. Quindi si afferrò alla roccia e s’issò per almeno un metro, con i muscoli contratti, il respiro ansimante, le dita delle mani e dei piedi che cercavano sporgenze e appigli lasciati dagli antichi costruttori e, non ancora ispirato, ritornò infine a terra. Il Cane prese allora ad esplorare i pochi sarcofagi rimasti intatti nei secoli, seguito dai bambini che si univano adesso alla sua ricerca, gli toccavano il gomito e gli indicavano la strada fra le tombe. Ma lui continuava ad ignorarli, sbirciava all’interno di ciascuna struttura, accarezzava le incisioni di leoni, guerrieri, chimere. Deluso dai sarcofaghi, forse troppo esposti al sole, si avvicinò a due grandi tombe scavate nella parete verticale di una rupe. La prima aveva la forma di un tempio, la seconda di una casa. All’interno vi erano tre panche disposte una per lato. I dipinti murali apparivano alquanto rovinati, un po’ per mano di quanti disapprovavano l’arte figurativa nei luoghi religiosi, un po’ per il fumo e la fuliggine di duemila anni di fuochi accesi dai guardiani di capre. Il Cane trovò le due spaziose tombe gradevoli e ben areate, oltre che dotate di un’ottima vista sulla valle, dunque posò l’asta, slacciò la tracolla dell’otre e sedette sul gradino, tra le colonne di quella che aveva forma di tempio.Per la prima volta guardò i bambini e sorrise.
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**letteralmente: "cercatore di porte". In campo mistico il termine, più ancora che "mendicante" ha acquistato il significato di colui che cerca il passaggio, la soglia, l'entrata che porta da questo mondo materiale ad un paradisiaco mondo celestiale. Il termine generalmente si riferisce a un asceta mendicante oppure ad un temperamento ascetico di colui che è indifferente alle cose materiali.
Myra - Turchia: Tombe licie
Foto by Luciano Canestrari
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20.2.10

IL PAESE DI ARLECCHINO

- giuseppe viviani -


Pulcinella, per strafare,
da un pittore macchiaiolo
un ritratto si va a fare.
Quello, forse, chi lo sa,
perché vuole dimostrare
la sua grande abilità,
dappertutto schizza e insozza
con i mille e più colori
di una vecchia tavolozza.
Pulcinella è disperato
perché il candido vestito
da ogni parte s’è macchiato.
Poi ci pensa, fa un inchino:
Che invenzione! Per quest’anno
mi travesto da Arlecchino.
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(M.H. Giraldo)
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19.2.10

IL TUO SILENZIO

Se tu non parli
riempirò il mio cuore del tuo silenzio
e lo sopporterò.
Resterò qui fermo ad aspettare,
come la notte
nella sua veglia stellata,
con il capo chino a terra,
paziente.
Ma arriverà il mattino,
le ombre della notte svaniranno
e la tua voce
in rivoli dorati inonderà il cielo.
Allora le tue parole
nel canto
prenderanno ali
da tutti i miei nidi di uccelli
e le tue melodie
spunteranno come fiori
su tutti gli alberi della mia foresta.
/ ..................................................................................*.........................- M.C. Escher -
(Rabindranath Tagore)
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18.2.10

GRANDE FABER



La stagione del tuo amore non è più la primavera

ma nei giorni del tuo autunno hai la dolcezza della sera;

se un mattino fra i capelli troverai un po' di neve,

nel giardino del tuo amore verrò a raccogliere il bucaneve.

passa il tempo sopra il tempo ma non devi aver paura;

sembra correre come il vento però il tempo non ha premura;

piangi e ridi come allora, ridi e piangi e ridi ancora.

ogni gioia, ogni dolore poi ritrovarli nella luce di un'ora.

(Fabrizio De Andrè)




Caro amore
nei tramonti d'aprile
quando il sole si uccide oltre le onde
puoi sentire piangere e gioire
anche il vento ed il mare.
Caro amore
così un uomo piange
al sole, al vento e ai verdi anni
che cantando se ne vanno
dopo il mattino di maggio
quando son venuti
e quando scalzi e con gli occhi ridenti sulla sabbia scrivevamo contenti
le più ingenue parole.
Caro amore
i fiori dell'altr'anno
sono sfioriti e mai più rifioriranno
e nei giardini ad ogni inverno
ben più tristi sono le foglie.
Caro amore
così un uomo vive,
e il sole e il vento e i verdi anni
si rincorrono cantando
verso il novembre
a cui ci van portando
e dove un giorno
con un triste sorriso
ci diremo tra le labbra ormai stanche
"eri il mio caro amore".
/
***/



Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.
così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
Mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore:
Sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.
Ma se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire,
il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore.
E mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbraccia l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato.
Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio,
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno.
E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
****
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14.2.10

Ama ciò che ti rende felice

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roy lichtenstein
(girl at mirror 1964)



RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE NON AMO
perché non mi fanno venire il mal di testa
non mi fanno scrivere lunghe lettere
non agitano i miei sogni
non li attendo con ansia
non leggo i loro oroscopi sul giornale
non compongo il loro numero di telefono
non li penso.
Li ringrazio molto:
non mi mettono in subbuglio la vita.
/
Dunya Mikhail
(Non ho peccato abbastanza)

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13.2.10

the show must go on? HAA-HHA-HA...




(Keith Haring)



shame! Shame!! SHame!!! ShaMe!!!! ShamE!!!!! SHAME!!!!!!! shame! Shame!! SHame!!! ShaMe!!!! ShamE!!!!! SHAME!!!!!!! shame! Shame!! SHame!!! ShaMe!!!! ShamE!!!!! SHAME!!!!!!!


9.2.10

VOLAMI ALTO



Tu sei, di tutti i voli, l’aquila.
Non tenderò le mani
alle tue ali vibranti,
non farò prigionieri
per la mia gabbia d’oro.
Mi sporgerò sull’abisso a guardarti
e avrò la vita piena della tua ombra.

(mca)











(TUTTI I DIRITTI RISERVATI)

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8.2.10

Cose che non lasciano ricordo



Cose che non lasciano ricordo

la neve fresca

e lo scoiattolo che salta.

(Kusatao Nakamura)
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Inverno desolato



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Inverno desolato.

Nel mondo di un solo colore

il suono del vento

(Chiyo-jo)
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Io c'ero

Io solo c'ero.
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Io, solo. E fioccava
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intorno la neve.
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(Kobayashi Issa)
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7.2.10

La luce d’un momento

shunga - Bob Kessel

Sopra di noi brillava
il sole.
Attraverso la piccola finestra
del soffitto
entrando rifletteva con i suoi raggi
l’ardore
dei corpi uniti nell’abbraccio antico.
/
Due corpi avvinti che creavano
un attimo
di perfetta immobilità nello spazio
tempo.
Istante vivo, reale, immutabile,
un atomo
di vita cristallino, la luce
d’un momento.
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(Fabricio Luiz Guerrini)
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Lettori fissi