Il padre dell’idea del tragico nell’arte contemporanea si chiama Van Gogh (1853-1890).
-A trent’anni la vita è un gran vento che si placa- scriverà Vincenzo Caldarelli. A trent'anni, per Van Gogh, dalla brughiera olandese si leva un refolo che diventa turbine, che diventa tempesta, che diventa uragano; si leva il vento devastante che sgretolerà la sua statua di sale nel volgere di sette anni, un vento che si chiama pittura.
Fino a questo momento Vincent non ha mai pensato di dedicarsi in toto ad un mestiere così stravagante, così barbonesco, così estraneo ai sogni del severo padre luterano.
“Con la pittura ha inizio la mia vera carriera, Theo.” scrive al fratello.
Esaurito il cammino, sul suo corpo defunto venne trovata una lettera in cui l’infantile entusiasmo lascia posto alla desolazione. “Tu per mezzo mio hai partecipato alla produzione stessa di alcuni quadri che, pur nel fallimento totale, conservano la loro serenità…ebbene, nel mio lavoro rischio la vita e la mia ragione è consumata per metà.”
Vincent Van Gogh è tutto compreso fra queste due lettere. E se, pensando a lui, proviamo lo stesso sgomento che proveremmo vedendo una falena bruciare sulla fiamma di una candela, ciò è dovuto allo spaventoso autolesionismo di un uomo che, intravista una strada per la nobiltà, una strada addirittura casuale, vi si immola senza lasciarsi un solo appiglio alle spalle.
Il carisma di dolcissimo martire che Van Gogh trasmette al nostro tempo risiede tutto qui: nella sua generosità; una forza così geneticamente benigna da essere inevitabilmente travolta dalle potenze maligne che si annidano in questo mondo.
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Perché fallisce in termini di felicità la scommessa vangoghiana? Perché Vincent pensa che il mondo possa migliorare. Crede che la pittura, attraverso la sua alta nota gialla possa esprimere l’essenza della realtà e della natura, aiutando l’uomo a riscattarsi nella vita terrena.
“Un pittore dell’avvenire deve essere un colorista come non ce n’è stato uno”.
A tal fine, ad Arles inventa l’uso del colore puro, cioè del colore spremuto direttamente dal tubetto, negazione implicita della pittura tonale.
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Senonché il mondo è sempre lo stesso, le sue leggi restano diffusamente inique; e chi fissa gli occhi sulle verità di natura, per svelarne le manifestazioni visibili, guarda un sole che porta ben presto all’annientamento.
Allo stesso modo Rimbaud, nato poeta, con le parole intende mostrare la via della redenzione. Ma quando si avvede che ciò non è possibile, lascia tutto e si dedica al traffico di armi in Africa. Scompare sulla soglia dei trentasette anni che affonda Van Gogh; come anche Watteau, Raffaello, Parmigianino, Toulouse–Lautrec.
Van Gogh è assai più ingenuo di Rimbaud. Lo spirito predicatorio degli anni giovanili, la convivenza con i minatori e la pur toccante ”università della miseria”, gli amori infelici per figlie di famiglia o per prostitute incinte, sono solo una premessa, o meglio una placenta che avvolge il suo caso senza spiegarne l’entità vitale. Quando Vincent, appunto a trent’anni, convoglia ogni sua energia sulla pittura, ha la sola ambizione di trovare strumenti espressivi adeguati per descrivere il mondo spogliato delle sue apparenze, così come lo vede un occhio delirante e profetico.
Tutto ciò avviene - è importante sottolinearlo- quasi esclusivamente attraverso il medium della rappresentazione poetica della natura.
“In tutta la natura, negli alberi ad esempio, vedo dell’espressione, e per così dire un’anima. Una fila di salici cimati a volte sembra una processione di uomini dell’ospizio. Il grano giovane ha qualcosa di inesprimibilmente puro e tenero e risveglia la stessa emozione dell’espressione di un bambino addormentato. L’erba calpestata sul ciglio della strada ha l’aspetto stanco e impolverato della gente dei quartieri poveri. Qualche giorno fa, dopo la nevicata, vidi un gruppo di cavoli che se ne stavano gelati e taciti, e mi fece venire in mente un gruppo di donne nelle loro vesti leggere e vecchi scialli che avevo visto al mattino presto in un negozietto di acqua calda e sapone.”
La salvezza, se verrà, sarà una conseguenza; il puro frutto della creazione. In ogni caso, nell’ultimo anno di vita, per Van Gogh inizia il precipizio, l’abbacinante, terrificante serie di allucinazioni che non avrà termine fino alla morte, con le punte massime durante il ricovero in manicomio a Saint Rémy-de Provence.
/////////// / // “Voglio tornare all’attacco per averla vinta sui cipressi” e i cipressi si sprigionano dal sottobosco come fiamme sostanziate della stessa materia che incenerisce il cielo, le nuvole e i troppi astri che respingono le domande come bersagli imperforabili: nel delirio planetario gli elementi protraggono nello spazio le loro forme liquide e mutevoli, solidificate in una sorta di precaria stabilità. L’onda ritornante delle colline oscilla, e precipita esplodendo conro la roccia friabile di quella che definiamo normalità. ///////
Negli ultimi tre mesi, ad Auvers-sur-Oise, Vincent affronta ottantatre dipinti che si battono con il tema della natura. Più di una profezia o di una crisi nervosa al giorno. Non può reggere a quella temperatura. E’ stanco, è mortalmente stanco. Infatti quando rincasa, il 27 luglio 1890, dopo aver visto un sole di schiuma sfasciato nell’inchiostro, mentre la mareggiata di grano ingoiava sgorbi neri simili a corvi; quando rincasa, annuncia di essersi sparato un colpo di pistola vicino al cuore. Desidera riposare. Dorme. Dopo si sente meglio. Sa di essere affetto da quella che oggi si definirebbe psicosi maniaco-depressiva. Parla col fratello, fumando la pipa. E’ tanto ottimista che dice: ”Adesso non lo farei più”. Poi spira.
.Muore un titano, in Francia. L’unico che ha osato addossare all’arte compiti ardui anche per le religioni. Il solo che, con la pittura, ha trovato il bandolo per raggiungere la grande cosa bianca: la salvazione. Una salvazione che, sbarazzatasi di lui, non si è più sentita minacciata; avendo solo cura di tenere i poeti a rispettosa distanza dal proprio castello inespugnabile e beffardo.
Prof. Flavio Caroli- Il Volto e l’Anima della Natura (pgg. 86-89, cap XI)
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E' un anfratto verde dove canta un fiume
appendendo follemente all'erba i suoi stracci d'argento; dove il sole, dalla fiera montagna
risplende: è una piccola valle spumeggiante di raggi.
Un giovane soldato, la bocca aperta, il capo nudo,
e la nuca immersa nel fresco nasturzio azzurro
dorme; è steso nell'erba, sotto le nuvole,
pallido nel suo verde letto dove la luce piove.
Ha i piedi fra i gladioli, dorme. Sorridendo come
sorriderebbe un bimbo malato, fa una dormita:
natura, cullalo tiepidamente: ha freddo.
I profumi non fanno fremere le sue narici;
lui dorme nel sole, la mano sul petto
tranquillo. Ha due buchi rossi sul lato destro.
A. Rimbaud
(Ottobre 1870)
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riproduzioni Van Gogh
poesia Il Dormiente nella Valle
ritratto di Arthur Rimbaud
sono extra testo inseriti da mca
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