Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

29.8.10

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ANCHE DA VIVI DOBBIAMO SUPERARE DIVERSE MORTI

Raimon Panikkar ci ha insegnato a ripensare correttamente la morte, per vivere meglio in un mondo, quello occidentale, in cui morte e violenza vengono continuamente  rappresentate attraverso i media in maniera iperreale, arrivando ad anestetizzare l'osservatore-spettatore. Ma al tempo stesso il vero pensiero della morte viene bandito nella quotidianità degli individui, che sono invitati a concentrarsi sempre su cose materiali, quelle da cui Panikkar suggerisce di liberarsi per esistere davvero e poter raggiungere una possibile, umana felicità.




Non dovremmo temere la morte, importa quanto bene si vive, non quanto a lungo.
Ognuno di noi, nella propria spiritualità, è una goccia d'acqua; cosa capita a una goccia d'acqua quando cade nel mare e sparisce ?
La goccia sparisce ma non succede niente all'acqua che contiene.
L'acqua si ri-unisce al mare senza perdere la sua vera natura.




Raimon Panikkar
filosofo- scrittore e teologo del dialogo interreligioso
nato a Barcellona nel 1918 
ricongiunto al mare il 26 agosto 2010





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27.8.10

GIPSY

    
      Per una volta posso dichiararmi d’accordo con la Chiesa cattolica che tenta di scoraggiare la tendenza dilagante in Europa di risolvere lo spinoso problema dei Rom, espellendoli.
Sarò impopolare, ma mi chiedo, dove vanno questi cristi, scacciati da ogni dove?
Non dimentichiamoci però che proprio la Signora Chiesa prima ancora del 1500, spaventata da ogni minima intrusione, collocava il gitano alla destra di Satana stesso, trasmettendo così l’odio per i gitani alle coscienze di un pubblico ignorante, che ha iniziato ad identificarli fra quei Pagani che dovranno essere immancabilmente divorati nelle fiamme dell’ inferno.

Facesse la Chiesa allora un vero atto di contrizione esplicita, denunciando apertamente il falso delle sue passate ideologie, perché i blandi ammonimenti fatti ora dal balcone di piazza sanpietro non bastano certo a soffiare aliti di umanità nelle coscienze, in cui il veleno ristagna da oltre 600 anni.

Si assuma le proprie responsabilità morali facendo pubblica ammenda come già avvenuto per gli Ebrei.
Il nomadismo interpretato dalla bibbia come la punizione di Dio, la pratica di mestieri quali il forgiatore di metalli, riconducibile alla magia nella superstizione popolare; le arti divinatorie identificabili come stregonerie, il matrimonio in età impubere con conseguente scarsa scolarizzazione sono quelle diversità che creano un’inclinazione irrefrenabile a liberarsi di presenze invise anche a costo dell'eliminazione fisica. Tutti i paesi suggestionati dalla dottrina cattolica adottarono infatti bandi di espulsione nei confronti dei Rom, fino alla programmazione del genocidio finale insieme a quello degli Ebrei durante il nazismo.

Manet 1862 - Gipsy with cigarette
Da sempre gli Zingari, o Gitani, o Roma come vengono chiamati ultimamente, sono stati considerati un’etnia scomoda per la loro incapacità di adattamento perché i loro sistemi di sopravvivenza non riescono ad integrarsi con i nostri, troppo diversi. La loro filosofia li rende insofferenti nell' adeguarsi alla costrizione delle nostre leggi, volte soprattutto a garantire un’escalation di ricchezza e consumo a scapito forse di altri beni da loro giudicati più preziosi quali il vagabondaggio, il tempo libero, l’autodeterminazione, l’indipendenza da qualsiasi padrone.

Le nostre leggi vengono varate per il nostro sistema di vita, ben incanalato, regimentato, impostato in modo da mantenere un ordine di superficie, sotto al quale scorrono fiumi di immoralità, illegalità, ipocrisia ed egoismo, e al cui adattamento abbiamo anche noi non poche difficoltà.


La nostra rozza ignoranza ci fa identificare i Rom con i Rumeni, ma non vanno assolutamente confusi con loro: in Romania essi sono trattati peggio che da noi.
I Roma sono antiche popolazioni di provenienza dall’India settentrionale, e il loro nome è la contrazione di Romanes e le loro lingue sono tutte varianti del Sanscrito.
Gipsy flag
Distribuiti oggi in una miriade di minoranze, la loro diaspora li ha portati principalmente nei Balcani e in Europa centro-orientale e vengono ormai identificati  con la patria di residenza: è il caso appunto dei Roma radicati da svariati secoli nell'attuale Romania ma con i Rumeni non hanno niente a che vedere e pochi sono perfino in grado di esprimersi nella lingua di quel Paese.

Siccome i governi non sono capaci di fronteggiare i problemi di integrazione evitando di affrontare dei costi, come vorrebbero, preferiscono sbrigarsela emanado decreti di espulsione.
Ma noi cittadini, forse anche esseri umani, non possiamo adottare la politica dello struzzo: che un problema esista solo se lo si vede e se no vuol dire che non c'è.
E’ vero che le leggi vanno rispettate, ma spiegatemi il principio assurdo per cui si debba cacciare tutti in massa, perchè fra loro ci sono individui che non si mantengono nella legalità.
Sarebbe come dare il foglio di via a tutti i mariti perché ce ne sono alcuni (troppi per la verità) che ammazzano le loro mogli.

Insomma questi Roma non li vuole nessuno perché il mondo di oggi non è più fatto a loro misura. Intolleranti come siamo sempre verso il diverso, tutto ci disturba di loro, l’aspetto, il folklore, le abitudini, l’accattonaggio e la microcriminalità a cui ricorrono per campare, il degrado in cui si adattano a vivere, il mancato allineamento alla condotta e alla morale vigenti, l'insubordinazione a qualsiasi autorità e istituzione non da loro riconosciuta.

Oggi noi tutti ci indigniamo, come doveroso, del trattamento subito dalla Popolazione ebraica nell’Europa degli anni 30-40, fingendo di ignorare che la brutta storia è cominciata con modalità uguali: l’odio razziale che si insinua alimentato dall’ignoranza, dalle dicerie e dal fastidio che sentiamo naturale verso tutto ciò che appare diverso - in meglio o in peggio non fa differenza. 
Anche allora le cose sono iniziate così, fra l'indifferenza della gente che si finge sorda, fino ad arrivare agli abusi, alle persecuzioni, alla creazione dei ghetti, e ai campi di sterminio.

Già viviamo in una società che per quanto si dichiari civile, i diritti della persona li considera poco e ancor meno sa farli rispettare.
L’assimilazione delle minoranze col nemico è la cosa che ci viene più facile fin da bambini, la demonizzazione dei nemici, la diffusione dell’ostilità e della paura dovrebbero attivare un campanello d'allarme nelle nostre coscienze prima che sia troppo tardi, perchè molte delle grandi tragedie umane hanno avuto inizio da questo stesso punto.           mca


22.8.10

SENZA PAROLE

L'estinzione ci sarà, prevista e immodificabile.  
  
*
     Ecco la sentenza formulata nel saggio "Il prezzo del linguaggio. Evoluzione ed estinzione nelle scienze cognitive".
Autori: Antonino Pennisi e Alessandra Falzone




      La specie umana gode di un'ineguagliata capacità di adattamento all'ambiente ed esercita su di esso un controllo pressochè totale.
     Ogni specie si differenzia e si evolve in una specie diversa al mutare dell'ambiente.
     Questa dovrebbe essere la legge. Invece homo sapiens, a causa della tecnologia e dell'acquisizione del linguaggio, è stato capace di adattarsi e diffondersi su tutta la terra senza mai sentire il bisogno di differenziarsi.
     Questo processo ha impedito qualsiasi fenomeno evolutivo, costituendo un'anomalia ecologica che Konrad Lorenz definì " circuito a retroazione positiva" e che si palesa in un evento evolutivo caratterizzato da un rapidissimo incremento e da un altrettanto rapido esaurimento.
     L'homo sapiens ha difatti una storia evolutiva tanto breve ( solo 200 mila anni) quanto intensa. L'intensità del suo processo adattativo, che negli ultimi 10.000 anni lo ha visto passare  dalla lavorazione della pietra al computer, rappresenta l'altra faccia della sua corsa velocissima verso l'estinzione.
     Esistono altre specie di primati che per milioni di anni non hanno prodotto alcuna modifica sensazionale o alcuna speciazione e la cui vita evolutivamente è più lunga della nostra. Invece con il sapiens l'evoluzione presto si fermerà per sempre. Siamo l'ultimo anello di una catena brevissima.
Per usare una metafora di Darwin, la nostra storia evolutiva somiglia al braccio di un corallo grosso e corto che, malgrado la sua possanza, non genererà altro da sè.
     Armando Massarenti ci presenta il saggio degli autori Pennisi e Falzone, edito da  Il Mulino, invitandoci a leggere il libro come fosse una meravigliosa fantasticheria alla Borges oppure a cominciare a preoccuparci un po' di più, senza arrivare ad essere apocalittici, degli effetti che l'attività umana produce sul pianeta e a pensare se non sia il caso di correre ai ripari politicamente e tecnologicamente.
     Tuttavia, avvertono inesorabili gli autori, in una prospettiva strettamente naturalistica, l'estinzione è già insita nella storia naturale del genere umano, all'interno della quale è contenuta la sua storia culturale,  di cui il linguaggio è il perno fondamentale.
     Dobbiamo ammettere con umiltà che la storia naturale non doveva necessariamente portare alla nostra presenza e che essa si rivelerà alla fine solo come un fugace intervallo di consapevolezza, linguisticamente mediata, tra un prima e un poi, sterminatamente lunghi, trascorsi senza parole.

HOMO SAPIENS
fonte:
Armando Massarenti
Sole24Ore


14.8.10

SE NIENTE IMPORTA

Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?

Jonathan S. Foer
2010- Guanda Editore




Ogni volta che si prende una decisione sul cibo si compie un atto agricolo per delega.





Tanto per fare un esempio: sono 50 milioni i polli allevati in maniera intensiva nel mondo.
Il loro ciclo di vita dura 39 giorni, vengono uccisi non ancora adolescenti. Appena nati li affamano per obbligarli ad accettare cibo innaturale che sia quello che farà aumentare il loro peso.
Prima c’erano centinaia di varietà di polli e tacchini sul pianeta, ora ne è rimasta una sola, quella selezionata appositamente per sopravvivere alle torture dell’allevamento intensivo. Persino l’allevamento cosiddetto biologico viene fatto con lo stesso tipo di polli e tacchini che oramai la sofferenza l’hanno nei geni.
L’alta domanda di proteine animali e prodotti latteo-caseari ha indotto progressivamente i cambiamenti nelle pratiche di allevamento ed è oggi il fattore primario che influisce sulle zoonosi emergenti. Una delle nostre fissazioni è quella di procurarci cibo a basso costo. Per le strategie di mercato la carne dovrà costare sempre di meno intanto che altri generi cresceranno di prezzo secondo i ritmi di aumento della vita.
Però chi non vuole spendere troppo per la carne farebbe meglio a non mangiarla affatto.
La morte prematura dei polli per malattia ne fa finire a migliaia negli inceneritori; e nelle vasche di sbollentatura e raffreddamento, l’acqua impregnata di feci, sangue e pus, finisce di contaminare le carni di quelli che riescono a raggiungere la fine del loro pur breve ciclo di vita.
Siamo tutti restii ad interessarci dei problemi fintanto che non ci toccano personalmente.
Ci spaventiamo quando sentiamo parlare di mucca pazza, peste suina, influenza aviaria, SARS e quant’altro, ma appena ci sembra scongiurato il pericolo, ci rimettiamo il cuore in pace e via..
Il collegamento fra allevamenti intensivi e le pandemie degli ultimi tempi è lampante.
Roy Lichtenstein
Ma oltre ai rischi concreti per la salute dovremmo prendere coscienza anche del fatto che gli animali non sono creature secondarie messe al nostro servizio. Hanno capacità cognitive e memoria, pensano e soffrono. E la loro sofferenza non è di qualità inferiore alla nostra. Non concentriamoci solo sull’ultimo istante dell’uccisione, ma sull’intera vita dell’animale. Nulla di ciò che facciamo può provocare direttamente tanta sofferenza quanto il nutrirsi di carne. Il valore di questo libro sta dunque nel fare da ponte tra l’inconsapevolezza miope di coloro che mangiano tenendo presenti solo i dettami nutrizionali e calorici, e il grave problema sollevato dalle abitudini alimentari delle società avanzate che privilegia risorse  rappresentate all’ 80 per cento da altri esseri viventi.

Oggi si fa la spesa in modo automatico gettando tanta roba nel carrello, concentrati solo sul conto finale da pagare alla cassa. Le carni sono presentate sui banchi molto spesso già disossate, modellate, abbellite in modo invitante con rametti aromatici o già infilzate sugli spiedini, sigillate e confezionate in modo anonimo nelle loro piccole bare da imballaggio, senza odori né visioni sanguinolente. La maggioranza della gente non si confronta con il fatto spiacevole che il cibo di origine animale, compresi latticini e uova implicano l'uccisione di esseri viventi e la maggior parte non ha idea di quello che succeda all'interno delle industrie che producono questi alimenti. Di sicuro qualsiasi consumatore inorridirebbe se sapesse come funzionano e al  pensiero di trovarsi nel piatto pezzi di cadavere di animali nati in cattività, spesso per inseminazione artificiale, tenuti in vita tra inimmaginabili sofferenze, in condizioni innaturali, ammassati uno sull'altro, senza aver mai visto un filo d'erba.
E poi ancora ingozzati di mangimi studiati appositamente per accelerarne la rapida crescita, imbottiti di antibiotico e ormoni, trasportati al macello sotto stress  e poi lasciati spietatamente a dissanguare vivi o finiti in modo barbaro con una scarica elettrica o un chiodo conficcato in testa. 

Questo cibo non solo è orribile immaginarselo nel piatto, ma è nocivo, saturo com'è di mangime chimico, di farmaci somministrati senza controllo, dell' adrenalina scatenata dallo stress e dalla paura, un mix tossico micidiale che passa nel nostro sangue e DNA.
Forse seduti sul seggiolone da piccoli giravamo istintivamente la testa e storcevamo il naso davanti al boccone necessario per crescere che ci allungava la mamma, ma avendoci poi fatto l’abitudine continuiamo ad aspettarci la fettina nel piatto tutti i santi giorni, anche se l'apporto proteico è ormai superfluo e perfino dannoso alla salute.
Lo testimonia la natura: gli animali più forti, spesso utilizzati anche dall’uomo per compiti che richiedano grande energia, sono gli erbivori: elefanti, cavalli, asini, tori e cervi ecc, mentre i carnivori, usano le loro energie aggressive solo per la caccia, e trascorrono spossati il resto della giornata in uno stato di fiacchezza letargica.
Il libro si propone abbastanza umilmente, attraverso la buona scrittura di un autore che ha già conquistato la sua credibilità presso il pubblico, di avvicinare i lettori a queste problematiche e a prendere atto dei metodi cruenti di allevamento intensivo istituiti per fare fronte alla sconsiderata richiesta di proteine animali. Ciò che non è abbastanza chiaro per nessuno è la portata della nostra complicità come singoli consumatori, con il comportamento delle grandi imprese che è sempre consequenziale alle decisioni che noi prendiamo. Le nostre scelte quotidiane sono quindi in grado di plasmare il mondo.


Forse in Italia il problema sembra ancora remoto per coinvolgerci pienamente, ma non è così, la bomba è già stata innescata; non tutto quello che succede nel backstage ci viene raccontato, soprattutto le verità scomode che potrebbero nuocere al portafoglio delle potenti multinazionali e delle grandi aziende di distribuzione.
Ma chi ci garantisce, visto che il mondo avrà risorse sempre più scarse, che un domani non possa essere qualcuno di noi a rappresentare una fonte alimentare alternativa per chi sarà in grado di sopraffarci ?
Renato Guttuso
Una delle maggiori opportunità di vivere i nostri valori, oppure tradirli, sta nel cibo che decidiamo di mettere nei nostri piatti, oggi.

mca





lettera aperta @ Signor Fabricio " l’uomo è una bestia malvagia"

Caro Signor Fabricio mi duole MMMHolto che lei ci paragoni a dei semplici vegetali MMMH

Non vorrei sembrarle insensibile ma Le pare che la loro vita emotiva possa essere messa alla stregua della nostra MMMH
Anche noi ci siamo evoluti nel tempo come voialtri umani si fa per dire siamo diventati più intelligenti del nostro bisnonno Dino  
Lei lo sa che noi procreiamo allattiamo cresciamo la nostra figliolanza fintanto che non è autonoma proprio come voi uMMMHani non tutti e in più siamo collaborativi con voi nel lavoro essendo in grado di capire e eseguire i vostri comandi
Ha mai provato ad impartire un ordine ad una pianta
Ha per caso sentito urlare di dolore una spiga di grano o una piantina di riso quando vengono raccolte
Almeno fintanto che dura il loro ciclo vitale stanno gioiosamente libere nel vento con la pioggia e con il sole e nessuno le disturba, cosa che non capita a noi
E poi non esce il sangue e non smette di battere un cuore quando vengono recise
Se l’uomo non le estirpasse morirebbero ugualmente senza vantaggio per nessuno
MMMH noi il sole non lo vediamo MMMHai, stiamo con la luce elettrica sempre, quella cosa costosa che avete inventato voi stupidi per sovvertire le leggi del giorno e della notte che bisogno c'era
EEHMM certo voi di notte state svegli c’avete un sacco di cose interessanti da fare e caso mai recuperate il sonno di giorno se siete stanchi  Avete anche tanto da pensare poi 
Infatti di strada ne avete fatta un sacco sì col treno gli aerei i missili le bombe atomiche
Volevo anche dirLe che l’uomo non è nato per nulla carnivoro come lei dice
Infatti nella dentatura dell’uomo primitivo non c’è la presenza dei canini che si sono sviluppati solo in un secondo periodo
L’uoMMMMHo si è adattato a mangiare la carne per non dover patire la fame per lunghi periodi  attendendo la crescita delle piante
La cosa che sa fare meglio è infatti liberarsi della sofferenza sua a danno di tutti gli altri 
La MMMHi scusi lo sfogo sa ma ho appena assistito allo spettacolo de la mi' moglie decapitata e lasciata lì ad agonizzare per ore 

Vuole la foto Peccato non è a colori
Eccola
MMMHaremma ladra














 Risposta @ risposta signor Fabricio







Caro Signor Fabricio
Ho letto la Sua risposta nei commenti grazie
Che succede Lei sembra così arrabbiato
Qualcuno ha calpestato le sue aiuole o il cagnolino ha spisciacchiato nell’orto sui suoi pomodori Può essere che c’abbia il dente avvelenato per la foresta amazzonica del Brasile che gliela stanno disboscando tutta un po’ alla volta

Sì ma allora se la pigli con i suoi simili per favore mica con noi cosa c’entriamo

Comunque sappia che non divoriamo per niente quintalate d’erba come Lei sembra sostenere che di pascolo noi non se ne vede uno nella vita nemmeno da lontano

Noialtri mica si vive allo stato libero che crede

Si nasce nei superallevamenti grazie all’inseminazione artificiale e il nostro cibo è mangime industriale da voi studiato apposta per aumentare il più possibile il nostro peso e poterci ammazzare in fretta e con più guadagno

Il guaio vostro cari umani è che agite senza punto criterio e pretendete roba troppa con spesa poca impostando tutto secondo regole vostre

Mi dica Lei se abbiamo noi qualche possibilità di scelta alternativa cosa possiamo decidere costretti come siamo in schiavitù cornuti e mazziati insieme tanto per dirla a modo vostro

Se davvero per Lei sta unicamente nel sangue se scorre oppure no tutta la differenza fra il patimento di un animale e quello presunto di un fiore reciso, allora sono io a dirLe che dovrebbe mostrare più rispetto per la sofferenza da qualunque parte essa scaturisca
La mi scusi ma sono talmente imbufalito che persino di muggire mi son dimenticato

Le allego a testimonianza due esempi di vite recise
MMMHaremma ladra






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12.8.10

FRANCESCA WOODMAN


Proseguirà fino al 24 ottobre la mostra retrospettiva che Milano sta dedicando a Francesca Woodman, la giovane artista che negli anni ’70 ha indagato e messo a fuoco le proprie nevrosi esistenziali con l'aiuto di un obiettivo fotografico. La confusione intima e l’impotenza a chiarire in modo definitivo la propria identità interiore, di cui gli scatti eseguiti sono l’esplicito racconto, l’hanno condotta al suicidio a neanche 22 anni.
116 fotografie e alcuni video di confezione amatoriale, in cui l’artista statunitense ritrae se stessa con l'ausilio dell’ autoscatto, sono in qualche modo la testimonianza di una tragedia annunciata, quella che si compì il 19 gennaio 1981, giorno in cui la Woodman ha voluto porre termine alla sua giovane esistenza.

Inizia già partendo dall’ ingrata età dei 13 anni la sua ossessiva ricerca di una verità propria, che avverte istintivamente, 
più allineata a impalpabili intuizioni che omologata alle correnti del suo tempo.
Nonostante l'inesperienza dei suoi pochi anni, Francesca segnala subito un’acuta sensibilità critica e  una presa di coscienza prematura dando vita ad immagini cariche di pathos e thanatos, se da un lato ancora intrise di infantile ingenuità, dall'altro caratterizzate da una crudezza sconcertante e quasi perversa.

L’appendere se stessa e gli oggetti (abiti, volatili crocefissi ) sembra un atto rappresentativo di uno stato d’animo sospeso, indeciso di fronte alle scelte, sempre in cerca di risposte.

Messaggi visivi che riescono a turbarci , attraverso il linguaggio del disagio, con le domande che pongono e le risposte che apertamente reclamano.
Ossessivo è l'autoritratto, con cui Francesca amava rappresentarsi in scenografie da lei stessa progettate  nel suo ambiente domestico o circondata dalla natura, in situazioni enigmatiche e in contesti fatiscenti, in piena solitudine o organizzandosi con le sue poche amiche, ma sempre mettendosi al centro di azioni di sua inventiva, con forte contenuto metaforico e simbolico. Ad un’amica che le domandava perché utilizzasse quasi esclusivamente se stessa come modello, pare che la Woodman abbia ribattuto: - "E' una questione di convenienza: io sono sempre disponibile".

La risposta, puntuale ed ironica sottolineava la condizione di giovane artista, ancora studentessa, nella necessità di contenere quanto più possibile i costi di produzione del proprio lavoro. Malgrado ciò, la sua opera non appare affatto monotematica o ripetitiva. Ogni scatto (o serie di scatti) è un’allusione o una rappresentazione teatrale in cui Francesca oltre che fotografa, è attrice, scenografa e regista di se stessa.

I suoi soggetti preferiti oltre al suo stesso corpo, ritratto in una nudità che potrebbe essere simbolicamente rappresentativa del valore della spontaneità e sincerità, sono pezzi di arredamento e di vestiario vintage, specchi, sedie, teli e carte da parati dietro a cui cerca sempre di mimetizzarsi, quasi a simboleggiarne il contraltare, cioè  l'inevitabile utilità della bugia, del  "falso" o del non dichiarato.

Some Disordered Interior Geometries, ecco come la giovane Woodman ha battezzato la sua prima ed unica collezione fotografica.
Quasi tutte le fotografie sono senza titolo tranne pochissime, fra cui questa : Three Kinds of Melon , da cui irrompe tutta la sagacia ironica e creativa di questa ragazzina, lei pure, come un frutto, maturata un po'  troppo in fretta.
E’ un’indagine su di sé, una ricerca di coesione con i simboli degli oggetti ritratti.

Caratteristica di Francesca è che in ogni foto tiene nascosta una parte di sé: molto spesso si tratta del volto, che resta tagliato fuori dall'immagine, oppure celato dietro alla capigliatura o a maschere che lei stessa costruisce.
Anche questo fatto potrebbe far pensare  ad un suo conflitto interiore: l'incapacità di manifestarsi nella propria interezza, la prudenza nel tenere segrete le emozioni, celare la propria cerebralità, se vissuta come aspetto maschile dominante, a differenza del corpo nudo che si può invece mostrare trattandosi per eccellenza del simbolo più rappresentativo della femminilità.

Nascoste però da gesti di pudore, sono quasi sempre le parti intime, che, per le pose assunte, risulterebbbero ostentate in modo eccessivamente provocatorio, cosa che non sembra essere nelle  intenzioni di Francesca benchè in ultima analisi,  si potrebbe essere indotti a sospettarlo.

Benché per ragioni di comodità abbia prediletto se stessa come modella delle sue foto, la sua opera non si fonda sull’autoritratto in sé, né lo scopo della fotografa sembra mosso da forme di mero narcisismo o esibizionismo; sembra piuttosto la messa in scena di un messaggio, anche se quale non appare ben chiaro, perché l’artista, data la sua morte precoce, non ha avuto il tempo necessario per scoprirlo.

Pareti scrostate e muri sbrecciati, pavimenti sporchi e sconquassati sono i fondali prediletti su cui si muovono tutte le scene fotografate o ripresa in video.
Nella mia interpretazione più semplicistica, la fanciulla sembra sospesa sul fragile limitare del dualismo fra maschile e femminile, in cui la parte femminile è quella di lei nuda che si espone e si lascia guardare mentre il ruolo maschile voyeristico e decisionale è giocato dalla Francesca che manovra attivamente macchina fotografica e cinepresa.
mca
 
 
 
“Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè, e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate.” FW







11.8.10

DIFENDIMI





20.000 FIRME IN 10 GIORNI!
6 agosto 2010 - Tema: LEAL informa:
Insieme con Leal sostengono la campagna di protesta contro la Direttiva europea sulla vivisezione Chiliamacisegua, il Movimento antispecista, Savethedogs, Associazione animalista Lillipet, Le Sfigatte, Sos animali, Amicio Mio.

VORRESTI SALVARLO?
ECCO COSA PUOI FARE TU: FIRMA!
(NON COSTA NULLA)

...

5.8.10

JOHN FANTE

Sono sveglia dalle sei e sta piovendo a dirotto. 
Siamo d'agosto e forse è proprio l'inconsueto  tichettio della pioggia a destarmi in anticipo.
Di solito intorno alle cinque mi sveglia il caldo . E quando non è il caldo allora è l’aria condizionata, con i suoi spifferi che, a una cert'ora del mattino, cominciano a farsi gelidi. Sento le spalle intorpidirsi e così mi stiracchio le membra impossessandomi  di ogni diagonale del letto peraltro già esclusivamente mio, e se non resto subito attanagliata da un crampo micidiale, mi accalappiano i pensieri delle responsabilità disseminate come tagliole sul mio percorso ad ostacoli e allora di riprender sonno non c'è proprio più da contarci.
Così mi alzo e premo il pulsante che solleva le tapparelle; lo so, il ronzio emesso dal motorino turberà il sonno dei vicini, ma che ci posso fare, è il prezzo del progresso che si paga tutti. Davvero non ci riesco a restarmene tappata dentro con la luce elettrica accesa fino alle otto del mattino.
Questo problema prima non c'era. Nelle notti calde d'estate le finestre rimanevano spalancate sul giardino e il mio respiro tranquillo si fondeva con quello degli ulivi e delle mimose, e del gelsomino abbarbicato sulle spalliere di ferro battuto; erano i primi raggi rosati dell'aurora a darmi il buongiorno, posandosi direttamente sul mio guanciale. Ho sempre preferito sopportare un po' di caldo in più piuttosto che rinchiudermi in un bunker per beneficiare del fresco artificiale.
E’ stata la visita inattesa di un acrobatico ladro che all’alba di un ferragosto si è arrampicato lungo le condutture del gas, e che io, pur mezza addormentata, ho immortalato in un flash mentale incancellabile  sulla porta della mia camera, a farmi cambiare radicalmente le vecchie abitudini.
Se non smette di piovere oggi darò buca in ufficio.
Mi sono messa tranquillamente a leggere ma, tolte le barriere acustiche , lo scroscio della pioggia battente  sta assumendo un'intensità allarmante, diventa elemento di disturbo;  mi sorprendo a rincorrere  pensieri alieni. Vuoi vedere che anche oggi si finirà con un'allerta meteo?
No... davvero, oggi da qui non mi scolla nessuno!
Sono distesa sul letto a divorare un romanzo di John Fante. E' il secondo che leggo da quest'estate. Una scoperta letteraria un po' tardiva per una lettrice accanita come me che si pappa da tre a cinque libri al mese come media: mi ritrovo a pagina 85 senza quasi essermi accorta del tempo che scivolava rapidamente verso fine mattinata.




Il mio vecchio non aveva mai desiderato dei figli. Aveva desiderato apprendisti muratori e scalpellini. Si può dire che avesse cercato di trasformare i suoi figli in scalpellini allo stesso modo con cui sapeva trasformare la pietra, ma il colpo era andato a vuoto. Naturalmente aveva fallito, perché più ci martellava e più ci allontanava da qualsiasi forma d’amore par la sua arte...
Certe sere mio padre incastrava uno di noi ragazzi seduti sulla veranda e, uscendo sulla sua andatura ciondolante, fermandosi ad accendere un lungo Toscanello nero, faceva schioccare le dita e diceva – bene, ragazzo, muoviti, si va.
- Dove?
- Seguimi.
Per la strada procedeva svelto mentre io gli arrancavo dietro cercando di tenere il passo. Era il Gran Tour, il giro per l’opera omnia di Nick Molise. Toccava a tutti fuorché mamma e mia sorella. Può darsi che non lo ritenesse una cosa da donne.
La prima fermata nell’itinerario di mio padre era dall’altra parte della città, nel quartiere dei ricchi, là dove si trovava la biblioteca pubblica, una struttura in mattoni bianchi, in puro stile New England, con quattro colonne di pietra a sormontare una cascata di gradini d’arenaria rossa.
Si fermava dall’altra parte della strada, con le mani sui fianchi e, guardando l’edificio la faccia gli si distendeva in un’espressione ammirata.
- Eccola là, ragazzo. Non è carina? Sai chi l’ha costruita?
- Sei stato tu, papà.
- Niente male, davvero niente male.
- E’ una bellezza, papà.
- Durerà mille anni.
- Perlomeno.
- Guarda quella pietra, quei gradini. Vengono giù come acqua.
- Stupendi.
- Una cosa grande.
Mi metteva una mano sulla spalla. – Andiamo ragazzo, c’è qualcos’altro che voglio mostrarti.
Eccoci quindi su Maywood: dopo due isolati c’era la chiesa metodista con il suo campanile di pietra e in cima la celletta a vista e le pareti ricoperte d’edera. Cinque minuti di silenzio, di ammirazione rituale: rapidi sguardi verso il campanile, in quell’aria di magia impregnata della gioia di mio padre, i cui occhi danzavano sui dettagli del proprio manufatto, il cui viso era soffuso di contentezza.
- L’ho fatta io, affermava, - Sissignore: l’ho fatta io.
- Certo che sì.
Via di nuovo, di corsa, appresso a lui. Il municipio, la Banca della California, la sede dell’azienda dell’acqua e dell’energia, in stile spagnolesco, col colonnato di cotto e il tetto di tegole rosse…..
E poi via alla San Elmo High School, con qualche pausa rispettosa in corrispondenza di siti di un certo interesse….
La scuola, mattoni rossi e immense scalinate di pietra; e papà, le mani dietro alla schiena che socchiudeva gli occhi al fumo del suo sigaro.
- Non noti niente?
Scuotevo il capo. Era una dannatissima scuola, che altro?
- Guarda bene. Non si vede, non lo vedrai mai, ma io te lo mostrerò.
I miei occhi andavano a posarsi sull’epigrafe in mezzo alla facciata dell’edificio SAN ELMO HIGH SCHOOL – 1936.
- Non quella, protestava, seccato – Guarda il palazzo! Che cos’ha di speciale?
- L’hai costruito tu.
- Che altro? Cos’è quello che non vedi?
- Come posso saperlo se non lo vedo?
- Puoi se usi la testa.
Avanzavo allora lo sguardo verso il muro della scuola e lo toccavo qua e là, esaminandolo di sopra e di sotto, per largo e per lungo, stufo marcio di quel viaggio nel suo ego in cui ero costretto a recitare quella stupida parte.
- Non vedo niente.
- Quello che vedi è un edificio che è passato indenne attraverso quattro terremoti. Ora guarda da vicino e dimmi ciò che non riesci a vedere.
- I morti.
Scuoteva il capo seccatissimo. – Razza d’asino! Io dico le crepe! Le crepe del terremoto. Trovami una sola crepa in quel muro. Avanti.
- Non posso, dal momento che non ce n’è.
- Orbene. Cos’ha di evidente quest’edificio proprio perché non si può vedere?
- Le crepe.
- Perché?
- Perché l’hai costruito tu.
Si frugava in tasca. – Eccoti un quartino. Non spenderlo tutto in una volta.
Io lo pigliavo e scappavo via finalmente libero.
   Altre volte mi toccava il giro al Valhalla Cemetery, subito fuori città. Poteva accadere inaspettatamente di domenica pomeriggio, ed era allora un duro cimento, una vera agonia per un tredicenne che doveva scendere in campo come lanciatore contro i Nevada City Tigers alle due in punto ed era già l’una e mezza, ma lui era del tutto indifferente alla tua casacca, al guantone e all’imbottitura, e ti toccava andargli dietro ben sapendo che il campo di gioco si trovava a dieci isolati di distanza dall’altra parte della città.
Il Valhalla Cemetery brulicava di angeli marmorei fatti da mio padre, con le braccia e le lunghe dita distese, con le loro facce arcigne da sparvieri, spaventevoli apparizioni che parevano avvoltoi nell’atto di proteggere una carogna. Dovunque fossero appollaiati, si aveva l’impressione che già avessero profanato le tombe. 
In fondo al viale fiancheggiato dai cipressi c’era l’enorme busto del sindaco Hal Shriner, austero, dalla mascella d’acciaio, con l’espressione minacciosa e crudele di un politico truffaldino che ti fissava da un piedistallo al di sopra della fossa: gli occhi vuoti, qualche caccola d’uccello sui capelli di pietra. Mio padre si scappellava e guardava, ammirato, come un turista incantato dal David di Michelangelo; io intanto davo colpi al mio guantone da baseball, impaziente.
- Fanno nove anni da quando è morto - rimuginava mio padre. - Ormai se n’è andato, finito. –
I suoi occhi incrociavano quelli del sindaco – Salve, sindaco, vecchio figlio di puttana, come ti trattano laggiù?
Io facevo vagare il mio sguardo su quel mare di lastre tombali e gemevo. Mi pareva che avessimo ancora interi acri da attraversare. Il mondo intero si era tramutato in un cimitero. Bel modo di riscaldarsi prima di una partita di baseball! Lui lo sapeva perché fremevo e ribollivo, scalpitando sulla ghiaia con le mie scarpe chiodate: sapeva ma non gliene importava un fico mentre solennemente si dirigeva, lungo il viale, alla tomba della vecchia Loretta Stevens, la bibliotecaria, modellata a forma di libro aperto, con le date della defunta cesellate sulla pagina aperta.



Ditemi come si può vivere una vita ignorando la piacevole lettura di John Fante. La sua signorilità che non viene mai meno neppure nell'uso (infrequente) del turpiloquio, le sue decisioni brucianti affossate da rapidi ripensamenti; e che occhio attento, che eleganza di stile, che facilità di linguaggio e quale sopraffina ricercatezza nell'impiego dei termini più semplici. Finchè non lo conosci non sai cosa ti stai perdendo, ma dopo che l'hai conosciuto diventa un’altra faccenda: chi me lo risarcisce tutto il tempo perduto? Come non essersi accorta per anni che Antonio Banderas è un vicino di casa. Un'occasione buttata al vento, una vita a ramengo, con danno esistenziale emergente per cui fare causa all’amministratore di condominio..
Spiegatemi un po’ voi perché, per esempio, nella società mediatica di oggi, si debba venire a conoscere tutto, ma proprio tutto, di quella imbelinata vita di Belan e non aver mai sentito nominare da nessuno un genietto come John Fante. Ditemi perché, girando tutte le librerie della “grande metropoli itagliana", non si riesca a trovare una sola copia dei racconti di Flannery O’ Connor e si venga invece travolti dalla valanga  di copie, fra stampe e ristampe, del Volo di Fabio? C'è di peggio, lo ammetto, ma è pur vero che c'è anche di meglio e questo meglio è sempre più arduo riuscire a procurarselo.
Che andassero un po’ affannnculo quelli che tengono i cordoni della cultura di massa, scribacchini da monnezza, bottegai del papier hygiénique imprimé, merdivendoli disalfabetizzanti, notiziaristi inabili a qualsiasi informazione che meriti più di trenta secondi di ascolto.
E tanto per rimanere in tema, nella pausa che mi sono concessa per sbocconcellare qualcosa seduta davanti al TG5 delle 13,00, ecco che ti sento dire da uno di questi telegeni, proprio pochi minuti fa.
Riferendo di un' impiegata infedele delle Poste italiane , che avrebbe nel corso della sua modesta carriera sottratto alla consegna qualcosa come quindicimila missive: L'ha fatto per il carico di lavoro TROPPO ECCESSIVO. Ora va bene enfatizzare tutto, come vostra abitudine, lo teniamo in conto, ma “troppo eccessivo” è veramente troppo! 
O è troppo o è eccessivo, d'accordo?. 
E tutti i giorni ce n'è qualcuna di nuova. Sarà mai possibile che lì dalle vostre parti non ci sia nessuno allergico a tutta sta vergogna che producete e spiattellate davanti a milioni di vittime ? E guadagnatevelo un po' lo stipendio che di tasca nostra vi paghiamo, oppure fateci il piacere di sloggiare. (Dove le ho già sentite ste parole?)
Vabbè, colpa mia! che ho sempre 'sta fissa dei TIGGI’: manco dovesse cadere il governo da un momento all'altro!
Meglio avrei fatto ad impegnami nella preparazione di qualche manicaretto succulento: leggere della signora Molise, cuoca sopraffina che, con gli odori mediterranei e afrodisiaci emanati dalla sua cucina, richiama affetto a volontà e commensali alla sua tavola quanti ne vuole, mi ha risvegliato il capriccio di una bella spaghettata con le melanzane. Quanto sarà che non mangio un piatto di spaghetti? Un anno, se togliamo quelle due, tre volte in cui mi sono lasciata tentare al ristorante.
Ci vogliono spaghettini numero 3 o 4 cotti ben al dente, calcolando un minuto di meno sul tempo di cottura raccomandato, e melanzane affettate fini, passate preventinamente nell'olio bollente, e ben asciugate dall'unto in eccesso sull'apposita carta assorbente.
In un largo tegame si fa poi scaldare un po' d'olio a bassa temperatura, con alcuni spicchi d'aglio, un pizzico di origano e un peperoncino, ci si buttano a tempo giusto le melanzane con la passata di pomodoro, si sala e si lascia andare a fuoco lento intanto che la pasta cuoce. Bisogna saper conciliare bene i tempi di preparazione perchè la pasta non deve venir pronta in anticipo altrimenti incolla. Va buttata nel tegame a fine cottura e spadellata con le melanzane e, solo alla fine, con l'aggiunta di due cucchiaiate di ricotta fresca. Un po' di parmigiano grattato in cima non guasta. Il trucco sta tutto nell'uso di ingredienti di ottima qualità, soprattutto per l'olio, compreso quello usato per la friggitura iniziale, l'origano che deve essere fresco, ancora attaccato al suo rametto, e la ricotta, che io suggerisco di pecora, perchè dei formaggi vaccini, al di là del parmigiano, credo non ci sia molto da fidarsi.
E' chiaro che la signora Molise, anche seguendo una ricetta diversa da questa che è la mia, (regolatevi di conseguenza se vorrete fare degli esperimenti) non avrebbe avuto tempo restante per occuparsi di telegiornali: la sua soddisfazione si sarebbe misurata interamente sull'appetito dei commensali riuniti e sull'onore fatto alla sua abilità di cuoca. Sono scelte.
Basta! Finché non spiove non mi scollo più dal libro; non penso, non sento, non parlo e non esco; voglio fare indigestione di John Fante e della signora Molise, donna timorata di Dio e del marito, e di Nick Molise, muratore eccelso  e gran figlio di puttana e di tutta la combriccola di squinternati che gli fanno corona.
Lo voglio come risarcimento, ingozzarmi delle sue chicche fino a sentirmi scoppiare la pancia e la testa e, quando sarò finalmente sazia, manderò un ringraziamento telepatico a quel vecchio dannato di Bukowski,  che nel suo romanzo   "DONNE" ha avuto il merito di officiare il rito di resurrezione di questo autore dalla tomba della mia memoria: sarà stato merito tuo, caro zio Hank, tuo e di quell' adorabile  nipote che tieni e che ci ha presentati,  se non morirò avendo ignorato il grande John Fante.
E' una regola da cui non si scappa, che se non si muore ignoranti di una cosa si dovrà morire ignoranti di un’altra, non siamo enciclopedie, l’importante è non rendersene conto.
Ignorare la propria ignoranza è un fattore determinante per tutelarsi dall'infelicità…

La notte era fredda e nebbiosa. Portai i bagagli e un sacco di attrezzi dal furgone alla casetta sette. Era una tipica sistemazione da motel: cucinotto con bar, divano, tappeto e un paio di poltrone, un televisore e il letto.
Il letto non mi piacque. Era matrimoniale, il che voleva dire che avrei dovuto dormire con il vecchio. Infastidito mi ci sedetti sopra e considerai il dilemma. Mai avevo dormito con mio padre. Raramente l'avevo appena toccato in vita mia, a parte qualche isolata stretta di mano nel corso degli anni, e adesso proprio non avevo nessuna voglia di dormirci assieme. Considerai le sue vecchie ossa, la sua vecchia pelle, la sua vecchiezza solitaria e stramba, quella vecchiezza fradicia di vino che era sua e di quei suoi amici beoni e immorali; e considerai che razza di figlio di puttana era stato, un irragionevole wop, tirannico, zoticone, dissipato che mi aveva attirato nel tranello di questo safari su per le montagne, lontano da casa, dalla moglie, dal lavoro, e tutto per via della sua leziosa vanità, tutto per far vedere che era ancora un mastro di prima categoria.
E allora tutto mi tornò in mente. Avevo dieci anni e mi trovavo ad un ballo per strada a San Elmo, era la festa del 4 luglio. Me ne stavo da parte, ai margini del ballo. A frugare nei bidoni dell’immondizia. Nell’oscurità intravidi un uomo e una donna che facevano l’amore appoggiati a una cabina del telefono, la donna si teneva alzata la sottana e l’uomo le si spingeva addosso. Sapevo che cosa stavano facendo, però ebbi paura e mi accucciai dietro una pila di cassette. Mano nella mano l’uomo e la donna vennero nella mia direzione. L’uomo era mio padre. La donna era Della Lorenzo, una che abitava a due porte da noi, era sposata e aveva due figli, miei compagni di scuola.

Da quel momento in poi non giocai più coi fratelli Lorenzo. Provavo vergogna a guardarli in faccia. E odiavo mio padre, odiavo la signora Lorenzo, mi sembrava così ordinaria, così sciatta e banale. Odiavo la casa dei Lorenzo e il loro cortile. Presi a calci il loro bastardino e tirai il collo a uno dei loro pollastri. Quando l’anno dopo la signora Lorenzo morì di cancro al seno rimasi indifferente. Se l’era voluta. E senza dubbio adesso si trovava all’inferno, a preparare il posto a mio padre.

Brani tratti da:
La confraternita dell'uva
di John Fante
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