Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

31.7.11

IL CoBrA NoN è Un SeRPeNTe


CoBrA è un movimento pittorico fondato in un caffè di Parigi nel 1948 da sei artisti e poeti nordici (danesi, olandesi e belgi): Asger Jorn, suo massimo rappresentante, insieme a Karel Appel, Constant, Corneille, Noiret  Dotremont e Alechinsky.
CoBrA non è altro che l'acronimo formato dalle iniziali delle città di Copenhagen Bruxelles e Amsterdam. 


La Pop Art nel secondo dopoguerra aveva segnato la rivincita dell'elemento figurativo su quello astratto e non era stata l'unica corrente artitica ad individuare tale tendenze.
All'interno della galassia informale, il gruppo CoBrA aveva come scopo evidente quello di ribellarsi all'egida incontrastata della cultura parigina, grazie ad un programma per nulla dogmatico e apertamente avverso al naturalismo borghese, al realismo socialista, all'astrazione geometrica post-cubista e al surrealismo.
Numerosi espressionisti avevano sconfinato verso la corrente realista, non per ultimi gli appartenenti al gruppo CoBrA , il cui apporto alla nuova figurazione fu di indubbio interesse. 


Ensor - Ironie 1911

Per un certo periodo la loro opera procedette con intenti abbastanza omogenei, vista la comune matrice espressionista, la loro nazionalità e le parentele artistiche con i grandi maestri dell'espressionismo nordico, come Nolde, Munch, Ensor.
Emile Nolde - Girasoli 1930

La principale caratteristica risiede in una forma di pittura semi-astratta, all'utilizzo di colori molto brillanti, stesi con violente pennellate, figure umane distorte, ispirate all'arte primitiva, motivi fantastici e grotteschi caratteristici della cultura nordeuropea, molto simile all'Action Painting americana.
Action Painting - Pollock
Convinti propugnatori della totale libertà d'espressione, nelle loro figurazioni antropomorfe usarono una discreta dose di violenza gestuale che spesso coincideva col totale disprezzo della forma.







Jorn
L'arte di CoBrA nasce in sintonia con la filosofia e la letteratura del tempo, con Camus e l' Esistenzialismo francese.

Dominata dal caos e dal disordine, è un'arte folklorica, primitiva, infantile, sofferente, in analogia con le ricerche di Dubuffet, il primo a teorizzare ed introdurre il concetto di Art Brut ad indicare quelle produzioni artistiche realizzate da non professionisti che operano al di fuori delle norme estetiche convenzionali: autodidatti, psicotici, prigionieri, persone affette da autismo, gente insomma completamente digiuna di cultura artistica.

Egli intendeva, in tal modo, definire così un'arte spontanea, senza pretese culturali e senza elementi di riflessione.
CoBrA verrà portato avanti come movimento artistico per tre anni, fino al 1951. L'ultimo evento di CoBrA sarà la "Seconda Esposizione Internazionale d' Arte Sperimentale" al Palais des Beaux-Arts a Liegi.
Ma Jorn alla fine non vi partecipò perché, gravemente ammalato di tubercolosi, nel 1951 era dovuto rientrare in Danimarca.
Questo gruppo è considerato una pietra miliare dell'Espressionismo astratto europeo e svolse un ruolo importante per il superamento del contrasto figurazione-astrazione tipico di quegli anni.
Attualmente esiste un museo dedicato al gruppo CoBrA ad Amstelveen, in Olanda, che mostra i lavori di Karel Appel e diversi altri artisti internazionali d'avanguardia.
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Asger Jorn 1914-1973
L'apporto di CoBrA alla storia dell'arte moderna in Europa fu determinante, ma ancor più lo furono gli anni successivi al loro scioglimento: da quel momento fu decisivo il ruolo assunto dalla cittadina ligure di Albissola, località balneare rinomata per la produzione della ceramica, dove già usava trascorrere le sue estati Lucio Fontana e nella quale Jorn si stabilì  per lunghi periodi su suggerimento dell'amico Enrico Baj, che in quegli anni presentava a Bruxelles il suo manifesto del Movimento Nucleare.
La presenza di Asger Jorn attirò ben presto nella cittadina anche altri ex componenti del gruppo CoBrA che cominciarono ad esporre in Italia presso Gallerie private o in grandi eventi come la Biennale di Venezia.






All'epoca Jorn faceva parte
del gruppo francese
Surrealista Rivoluzionario


1964










Karel Appel - One cent life


* *
*

25.7.11

Essere anche noi la luna di qualcuno



                                                     diritti dell'immagine riservati AlessioBlve 2011
                                                                                                                                 (mca ringrazia)
                                     

Oh essere anche noi la luna di qualcuno!

Noi che guardiamo
essere guardati,
luccicare

sembrare da lontano
la candida luna

che non siamo.
 
                                            Vivian Lamarque





Vivian Lamarque è nata a Tesero in provincia di Trento. Da sempre vive a Milano, dove ha insegnato per molti anni. Ha tradotto diversi autori francesi come  Valéry, Baudelaire, Prévert, La Fontaine, Céline, oltre opere di Grimm e Wilde. Fa parte della Giuria Nazionale di Diaristica. Su Sette, inserto settimanale del Corriere della Sera, ha tenuto la rubrica Gentilmente, raccolta poi in volume da Rizzoli. La sua prima raccolta poetica, Teresino, ha vinto nel 1980 il Premio Viareggio Opera Prima. Ha pubblicato poi Il Signore d'oro, Il Signore degli spaventati e Poesie dando del Lei. Del 1996 è Una quieta polvere. È autrice di molti libri di fiabe e ha vinto il Premio Rodari  nel 1997 e il Premio Andersen nel 2000.


           Siamo poeti

           vogliateci bene da vivi di più,

       da morti di meno,                                                          
*
           che tanto non lo sapremo.      * (V.L.)

                                   *
* 

23.7.11

IL CONSUMO NON E' SINTOMO DI PROSPERITA'

Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo.   Oppure un economista.

Sappiamo da tempo che la crescita infinita dei consumi non è compatibile con un pianeta finito, sappiamo che il PIL non è un buon indicatore della felicità di un popolo, eppure ogni giorno  continuiamo a sentire la preghiera alla crescita come sola possibilità di progresso del genere umano. Non c’è notiziario televisivo che non dedichi uno spazio quotidiano a declamare aumenti o diminuzioni degli indici di borsa, numeri inutili, ridicoli, di fronte a quelli che dovrebbero sostituirlo: ettari di suolo cementificato, chilometri quadrati di foreste rasi al suolo, barili di petrolio bruciati, tonnellate di co2 emesse, tonnellate di pesce prelevato dagli oceani, numero incredibile di animali macellati, tonnellate di minerali estratti, tonnellate di rifiuti prodotti, numero esponenziale di nuovi nati…
Ma si sa che la cassetta degli attrezzi dell’economista è stata progettata proprio nella fase ascendente della disponibilità abbondante di energia fossile, caso unico nella storia dell’uomo, e oggi non si sta rivelando più adeguata a gestire la fase di scarsità.
Tim Jackson afferma che serve una definizione coerente di prosperità che non faccia affidamento su assunti basati sulla crescita dei consumi. Serve dunque oggi più che mai un nuovo paradigma invece nemmeno la crisi finanziaria indotta dai mutui tossici e dal rincaro inverosimile del petrolio è servita a far cambiare rotta. Dopo qualche timido dubbio, è seguita immediatamente la somministrazione massiccia della stessa medicina che aveva causato il tracollo.



La tesi sostenuta dall’autore è che non è vero che per essere più felici bisogna essere più ricchi. Jackson ci propone un modello di economia che sia socialmente e psicologicamente sostenibile, in cui la parola crescita economica sia associata a quella di felicità e di tutela dell’ambiente. Una quantità crescente di studi e ricerche dimostra che nei paesi sviluppati la crescita a ogni costo porta a una maggiore infelicità e a livelli pericolosi di disuguaglianza. E come se non bastasse, è sempre più chiaro che gli ecosistemi che consentono alle nostre economie di funzionare stanno collassando sotto il peso dell'"iper consumismo". "Prosperità senza crescita" delinea una proposta concreta di economia sostenibile, l'unica che consentirebbe alle società umane di svilupparsi nel rispetto dei limiti ecologici del pianeta su cui viviamo. Prefazione di CarloPetrini. (IBS)
*
Luigi Sertorio, docente di Ecofisica all'Università di Torino, ha così definito i consumatori: esseri che vivono ricoperti di protesi tecnologiche che sono un passo intermedio fra pensiero scientifico e discarica.
Verrà la morte ad estrarli dalle loro ville abusive.  Resterà di loro un messaggio, un ricordo? No, ma lasceranno un’eredità a quelli che verranno dopo di loro: il dovere di trovare una sepoltura anche alle loro scorie.
*
Foto di Lino Rusciano - Napoli Emergenza rifiuti

http://www.fotocommunity.it/
Il consumatore non vuole la conoscenza, perché la conoscenza fa soffrire, brucia, gela, ferisce; l’opinione è tiepida come i liquidi fisiologici, fluisce facile come l’insulto delle risse televisive, come l’abuso che si subisce oggi e si infligge domani..
*
Il sociologo Gianpaolo Fabris, riconoscendo tutti i mali della crescita ma pure le incoerenze  della decrescita tout court, propone almeno come inizio una più praticabile terza via, quella di una società post-crescita che contempli una maturazione dell’individuo consumatore..
Fabris distingue lucidamente tra bisogni, desideri e capricci: i primi hanno un limite, si possono saturare, i secondi sono effimeri, innumerevoli, ma ancora legati alla realtà, i terzi sono infiniti, casuali, infondati e infantili..
E qui entra in gioco la psicologia e il perché del desiderio di soddisfazione che non risulta mai appagato.

Nella transizione alla postmodernità, protagonista è un nuovo consumatore che ha ben poco in comune con la tradizionale figura che conosciamo. Non solo ha ormai terminato il suo noviziato come consumatore ed è divenuto più esigente, scaltro, selettivo, autonomo, competente, pragmatico, infedele alla marca. Ma sta riscrivendo radicalmente il nostro sapere sul consumo. Che, accanto ai suoi significati tangibili, va ampliando i suoi aspetti di segno, comunicazione, scambio sociale. Un nuovo linguaggio, quello del consumo, con una sua grammatica e sintassi che è indispensabile conoscere. (IBS)
*
*
Perché abbiamo la cronica impressione che i soldi oggi non bastino mai? La risposta è che siamo schiavi di un modello mentale economistico che ci ha trasformato in servi del lusso, del superfluo e dell’apparire invece che dell’essere.
A volte ciò avviene solo per andare dietro al branco, per competitività, per narcisismo..
Desideri e capricci ci fanno ambire a case sontuose in più parti del mondo, lussuosi yacht, automobili potenti, abiti firmati, viaggi di vetrina: tutta roba da dozzinali telenovele. 
Per la maggior parte si tratta di obiettivi impervi, difficilmente raggiungibili, della società no-limits particolarmente esaltata e sdoganata dalle televisioni commerciali  degli anni Ottanta, con le loro esagerate telenovele e il messaggio devastante che, se non fai così, non sei nessuno;  per cui vengono inutilmente spese un mucchio di risorse, e corsi gravi rischi e alla fine, per poi alla fine, non avendo raggiunto l'obiettivo, sentirsi ancora più  frustrati e falliti di prima.
**

Difficile farsi un’idea di come sarà possibile cambiare l’economia della crescita e abbattere il capitalismo prima che vada ad infrangersi contro i limiti termodinamici del pianeta. Sperando di riuscirci, il primo passo da fare è cominciare da se stessi. Diventare avanguardie e capiscuola di nuovi comportamenti virtuosi, adottando accorgimenti che diminuiscano i fattori di rischio personale, sopprimendo lo stillicidio di spese inutili che, cumulate, a fine anno permetterebbero di poter fare investimenti anche di tipo ecologico. E' necessario lasciar perdere con questa competitività forsennata, sia economica, sia sociale, che ci fa inseguire mete che dopotutto non fanno parte del nostro volere, e conducono alla distruzione del nostro territorio e della nostra cultura.
Siamo una piccola nazione, con meno dell'uno per cento della popolazione globale, ma con arte, storia, cultura, buona tavola, paesaggio e natura (o quel che ne resta).
Godiamoci di più la nostra heimat*, una piccola patria senza retorica, amata e familiare, dove star bene con noi stessi, accogliere chi ci vuole far visita, e studiare, progettare, lavorare e costruire solo ciò di cui abbiamo veramente bisogno e ciò che siamo più bravi a fare. Liberiamoci della febbrile e declinante American way of life a favore di un nuovo Marketing mediterraneo lento e moderato, più gioioso e meno possessivo.
Riconosciamo che la terra, in pianura, collina o montagna, è la base per produzioni anche tecnicamente avanzate, con vantaggi per la decongestione delle zone urbane, per la difesa delle acque e la prevenzione di frane e alluvioni.
Non vergognamoci di convincere chi è indifferente ai problemi ambientali a cambiare stile di vita; e al diavolo la competitività: la mano invisibile del mercato ormai sta per sferrarci un sonoro ceffone!

Luca Mercalli
Prepariamoci...a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza e forse più felicità
(ed. ChiareLettere 2011)



*indica il territorio in cui ci si sente a casa propria perché vi si è nati, vi si è trascorsa l'infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. ndr


***

LUCIAN FREUD


La pittura inglese perde uno dei suoi fiori all'occhiello: Lucian Freud figura emblematica della pittura contemporanea, che mercoledì scorso è morto pacificamente  nella sua casa londinese all'età di 88 anni.

Lasciatevi pure ingannare dal cognome:  l'artista Lucian Freud, nato l' 8 dicembre 1922 a Berlino dall'architetto Ernst Ludwig Freud,  era proprio il nipote di quel Sigmund Freud,  padre della psicoanalisi.
Ancora bambino si era trasferito nel Regno Unito con la famiglia, di origini ebraiche, per trovare riparo dalle persecuzioni del nazismo. 
Naturalizzato inglese prima di compiere i diciotto anni, prestò anche servizio nella Marina Mercantile Britannica ma la sua vita la consacrò interamente alla pittura, trasferendo nel mondo dell'arte un cognome tanto famoso quanto ingombrante.
Anche se molto ricco, Lucian Freud visse sempre semplicemente, in una casa con giardino situata nel quartiere di Notting Hill, dove aveva installato il suo laboratorio al piano superiore. L'artista, avendo avuto due mogli, numerose compagne e una diecina tra figli e nipoti, non apprezzando però i vincoli della vita familiare, aveva vissuto gli ultimi anni come un single.


Il pittore era noto per i suoi nudi e i suoi autoritratti, ispirati ad una sensibilità neo-espressionista che metteva in evidenza i segni che l'esistenza lascia sui corpi umani, soffermandosi anche sui particolari più impietosi e brutali, così come il nonno aveva fatto con quelli della psiche.  I punti di riferimento, all'inizio della carriera, erano stati i grandi del passato: Cezanne e Corot, passando per Watteau e i ritrattisti olandesi come Frans Hals, oltre che, naturalmente, gli espressionisti tedeschi.

Nelle sue relazioni sociali, L.F. è stato ispiratore umile, caldo e spirituale. Ha vissuto per la sua pittura e dipinto fino alla sua morte, in piedi, lontano dal frastuono delle arti.

Nicholas Serota, direttore della Tate Gallery di Londra, gli ha reso questo omaggio: "La vitalità dei suoi nudi, l'intensità delle sue nature morte e la presenza dei suoi ritratti di familiari e amici hanno assicurato un unico Lucian Freud nel pantheon degli artisti della fine del ventesimo secolo ". 
Nel 2010, anche il Centre Pompidou a Parigi aveva ospitato una sua mostra .

Benefits Supervisor Sleeping
ritratto del 1995, è stato battuto da Christie a New York
per la cifra di 33 milioni di dollari

 .
Debitore dei movimenti dell'espressionismo internazionale, e di Egon Schiele in particolare, Lucian Freud  resta legato a una dimensione figurativa peculiare, in un figurativo che   sulla stessa linea di Bacon, subisce una sorta di sottile deformazione che permette quasi di intravedere la viva carne sotto la pelle, di cogliere dietro la facciata rispettabile una psiche che porta in sé angoscia, smarrimento, disagio.





I nudi, sensuali e tragici al tempo stesso, mettono in luce appieno questo trionfo di una fisicità spesso eccessiva e debordante. D'altra parte, era stato lui stesso a dichiarare che, ad un quadro, chiedeva di «stupire, disturbare, sedurre, convincere». Non certo di essere ameno o di allietare l'osservatore….



***

16.7.11

CORTECCIA DURA




Stremata dall' estiva arsura
chiedo riparo alla corteccia di un albero,
ruvida quanto il bordo del mondo.

E' una lancia rovente ogni raggio di sole,
 una falce affilata l'alito del vento.

Basterebbe un po' d'acqua a salvarmi la vita
ma uccide tutto l'indifferenza del mondo.


mca


*

13.7.11

****
Di solito la storia non  permette che una nazione sia allo stesso tempo ricca e stupida per più di una generazione.  Forse il nostro tempo sta scadendo.

Guido Rampoldi,
(Roma 1952) è  giornalista e scrittore, vincitore del Premio Bagutta, sezione opera prima, nel 2009.
Scrive per il quotidiano La Repubblica.


La grotta paleolitica Cosquer -
alle foci del Rodano presso Marsiglia
Siamo emersi in Africa dagli scimpanzé circa cinque o sei milioni di anni fa. Ci siamo evoluti in homo sapiens circa de centomila anni fa. Per millenni e millenni siamo stati dominati dall’ambiente e dai suoi limiti: una lunga stagione di caccia e raccolta, poi, negli ultimi ottomila anni i frutti agricoli ora abbondanti ora scarsi per via di anomalie climatiche o parassiti, la ridotta possibilità di estrarre minerali o procurarsi energia dall’acqua, dal vento, dal legno con fatica, la scarsa capacità di contrastare malattie e ferite, ci rendevano esseri profondamente vincolati al mondo fisico, poco coscienti del funzionamento dei fenomeni naturali e piuttosto avvezzi al fatalismo. Ciò non ha impedito la nascita del linguaggio cinquantamila anni fa e lo sviluppo della civiltà con espressioni altissime del pensiero e dell’ingegno e dell’arte: le pitture rupestri della grotta Cosquer, l’acquedotto romano del Pont du Gard, la cupola del Brunelleschi, la musica di Bach e le rivoluzione copernicana sono state frutto della sola energia solare nelle sue varie forme.



Grotta Cosquer
 Con l’invenzione della macchina a vapore, nel giro di un paio di secoli di rivoluzione termo-industriale, l’uomo ha completamente mutato il proprio approccio con la natura: la potenza ottenibile dal tesoretto di energia fossile attinta  da un remoto passato geologico, lo ha improvvisamente promosso da sciavo a dominatore incontrastato dell’ambiente terrestre.

Con il petrolio abbiamo migliorato la qualità della nostra vita e fatto cose meravigliose, sintetizzabile con l’invio delle sonde spaziali su altri pianeti. Ma abbiamo subito quasi un’ubriacatura, una tossicodipendenza da velocità e gigantismo, al punto che con l’inizio del XXI secolo, le forze messe in campo da sette miliardi di individui rivaleggiano con quelle dei cicli biogeochimici planetari. Muoviamo più suolo, divoriamo più vegetali e animali, bruciamo, seghiamo, costruiamo più di quanto facciano l’erosione, le frane, e eruzioni e tutto il complesso della vita sulla terra.
Siamo prepotentemente entrati nell’Antropocene, gli ultimi due secoli di storia naturale che il Nobel Paul Crutzen ha così battezzato in ragione della preponderanza della specie umana su tutto il resto solo le cinque generazioni del novecento, sulle diecimila che ci separano dalla comparsa dell’homo sapiens, hanno usato intensamente le risorse fossili, in un tempo durante il quale ci siamo culturalmente e tecnologicamente evoluti, pari allo 0.01 per cento di quello complessivo.
Ma ogni medaglia ha il suo rovescio, e l’accumulo di scorie e rifiuti nell’aria, nell’acqua e nei suoli, unitamente al prelievo sovradimensionato di stock alimentari, idrici, ittici, minerari, forestali ed energetici, sta provocando cambiamenti epocali, dal clima alla biodiversità.
Di fronte all’ipotesi altamente probabile di mettere in crisi le condizioni di sopravvivenza dell’uomo sulla terra, occorre dunque mobilitare l’intero corpus di conoscenza maturato dalla civiltà. Mentre le scienze naturali, fisiche e naturali elaborano scenari e raccolgono dati sul funzionamento del mondo, quelle umane – psicologia, sociologia, antropologia, storia e economia – dovrebbero diffondere comportamenti saggi, concepire soluzioni politiche ed economiche, comunicare urgenze e speranze.
E sopra tutti i saperi, la filosofia dovrebbe tornare ad assumere il ruolo di guida dell’Uomo: dove andare, quali obiettivi porsi, come individui e come collettività, quali limiti fisici rispettare, a quale etica conformarsi. E’ probabilmente la più grande avventura con cui siamo chiamati a confortarci dal’inizio della nostra avventura terrestre: come vivere a lungo, noi e le altre specie viventi, su un pianeta dalle risorse limitate, senza comprometterne il rinnovamento e mirando a una buona vita.
*
Questi sono i principali fattori forzanti dei nostri tempi che rappresentano una sfida inedita e di enorme portata per la nostra civiltà:
*

email: paul.crutzen@mpic.de

- Il cambiamento del clima dovuto alle emissioni di CO2 sta preparando per noi un pianeta più caldo tra i 2 e i 5 gradi in più alla fine del 2100. il Mediterraneo è destinato a diventare più torrido e siccitoso d’estate.
*
- I ghiacciai alpini saranno pressoché estinti verso la metà di questo secolo e i fiumi europei avranno meno portata idrica in estate, con riflessi su agricoltura e produzione energetica.
*
- Gli eventi estremi (alluvioni, tempeste, ecc.) potranno aumentare di intensità e frequenza con maggiori danni per le attività umane.
*
- Il livello dei mari è in aumento e verso fine secolo potrebbe essere di circa un metro più elevato.
*
- Gli oceani si stanno acidificando a causa dell’aumento della CO
*
-  Atmosferica, mettendo a rischio molte forme di vita.

*
- Il ciclo dell’azoto è già pesantemente alterato
*
- Il fosforo, elemento fertilizzante indispensabile ai vegetali, è sovra sfruttato e costituirà presto un limite alla produttività agraria.
*

- La popolazione è troppa( sette miliardi) e continua ad aumentare. Anche l’Italia è sovrappopolata ( 60 milioni)
*
- Le risorse petrolifere mondiali facili sono in rapido esaurimento
*
- Le risorse naturali, le foreste e gli stock ittici sono sovra sfruttati. La biodiversità è gravemente minacciata e molte specie si stanno estinguendo a un tasso molto superiore a quello geologico medio.
*
- Cementificazione ed erosione stanno riducendo la disponibilità di suolo agrario fertile.
*
- Inquinamento e rifiuti sono ovunque in aumento e minacciano la salute dell’uomo e degli altri viventi.
*
- L’economia di mercato non funziona e le disparità aumentano.

*

Questi condizionamenti stanno già determinando reazioni:


- Crisi economica e finanziaria globale, con enormi debiti pubblici.

- Aumento della conflittualità tra gli stati e nuove guerre per le risorse energetiche e naturali (petrolio, land-grabbing).

- Aumento del prezzo dell’energia.



- Riduzione della produttività agraria e della disponibilità alimentare, a causa dell’aumento del prezzo del petrolio e dei cambiamenti climatici.

- Instabilità sociale e migrazioni, masse incontrollabili di profughi climatici ( al confronto, i barconi di Lampedusa sembreranno in futuro allegre gite turistiche).

- Riduzione del benessere e della qualità di vita.

- Aumento delle disparità sociali.

- Aumento della disoccupazione.


- Rischio di derive autoritarie e riduzione della democrazia (laddove già c’è).



Testi tratti da:
Prepariamoci… di Luca Mercalli
Chiarelettere 2011  
(mca ringrazia)







Tutte queste argomentazioni erano già state evidenziate dal rapporto pubblicato dal Club di Roma nel 1972. Il Club di Roma:

"Fu fondato nell'aprile del 1968 dall'imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali, fra cui Elisabeth Mann Borgese. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell'Accademia dei Lincei alla Farnesina.


Conquistò l'attenzione dell'opinione pubblica con il suo Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. La crisi petrolifera del 1973 attirò ulteriormente l'attenzione dell'opinione pubblica su questo problema.


In realtà le previsioni del rapporto riguardo al progressivo esaurimento delle risorse del pianeta erano tutte relative a momenti successivi al primo ventennio del XXI secolo, ma il superamento della crisi petrolifera degli anni settanta contribuì alla nascita di una leggenda metropolitana, secondo cui le previsioni del Club di Roma non si sarebbero avverate. Nella pratica, l'andamento dei principali indicatori ha sinora seguito piuttosto bene quanto previsto nel Rapporto sui limiti dello sviluppo, e l'umanità è destinata a confrontarsi nei prossimi decenni con le conseguenze del superamento dei limiti fisici del pianeta. Un esempio di ciò è dato dal picco di Hubbert."(da Wikipedia). Intanto sono passati 40 anni e ben poco si è fatto, anzi...

Postato da Anonimo in HEROIC ROSES Intuizioni dell'impalpabile alle 12.20 - 13 luglio, 2011




12.7.11

sulla strada per Olduvai

Olduvai è uno dei più importanti siti archeologici africani; è un avvallamento lungo circa 40 km, chiuso da ripide pareti, situato nella pianura di Serengeti, nel nord della Tanzania. I ritrovamenti effettuati in questa zona hanno svolto un ruolo importante nella nostra comprensione dello sviluppo e delle origini della specie umana. Nel 1972, a circa 40 km dalla gola, vennero scoperte le famose “orme di Laetoli”, impronte fossilizzate degli ominidi più antichi, risalenti a circa 3 milioni e mezzo di anni fa.


Olduvai è il luogo, in Tanzania, considerato la culla della civiltà umana.

Esiste una teoria detta teoria di Olduvai  elaborata nel 1989 da Richard Duncan che ipotizza che la civiltà industriale, definita sulla base della produzione elettrica pro-capite, avrà una durata di vita pari a cento anni:  quindi dal 1930 al 2030. Secondo Duncan, il surplus energetico che ha consentito lo sviluppo industriale globale ha già smesso di crescere e vedrà presto una rapida discesa, fino al ritorno ad una situazione di equilibrio energetico con le risorse naturali.
La teoria è stata accusata di catastrofismo e neomalthusianesimo, per il suo legame energia-popolazione e previsione di un crash di quest’ultima in seguito al crollo della produzione elettrica.
Il malthusianesimo è una dottrina che, rifacendosi all'economista inglese Thomas Malthus, attribuisce principalmente alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame nel mondo.
La teoria malthusiana si fa assertrice inoltre di un energico controllo delle nascite e auspica il ricorso a strumenti tesi a disincentivare la natalità, al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e l'erosione delle risorse naturali non rinnovabili. Ralph Waldo Emerson criticò il malthusianesimo osservando che esso non contemplava l'incremento della capacità inventiva e tecnologica dell'essere umano.

Ma l’ipotesi di un ritorno a Olduvai si riaffaccia inevitabilmente ora,  leggendo come il  Giappone, nella fase post-nucleare, sia alle prese con un medioevo datato XXI secolo.
" La produzione elettrica giapponese, per la chiusura delle centrali nucleari, ha subito un brusco taglio del 30%. Nove raffinerie di petrolio sono rimaste danneggiate, e al momento il 30% dei distributori di carburante di Tokio non ha nulla da vendere. La capacità di raffinazione sta tornando alla normalità, ma il problema è che la domanda di carburanti è quasi triplicata a causa dell’emergenza che ha colpito mezzo Paese. Le autorità locali chiedono carburante con persino più disperazione di quanto chiedano cibo o acqua o medicine.

Tokio sembra così avviarsi sulla strada per Olduvai e confortare la narrazione di Duncan. Le fabbriche chiudono a rotazione per mancanza di energia, e perché i dipendenti non hanno modo di recarsi al lavoro; le luci in casa si spengono alle 9 di sera, e lo skyline della metropoli è costellato da macchie di buio; gli eventi sportivi sono rimandati a data da destinarsi, i rifiuti si affastellano agli angoli delle strade perché i camion non hanno gasolio per effettuare la raccolta; i giornali dedicano intere pagine agli orari dei black-out zona per zona. “E’ abbastanza buio da essere anche un pochino spaventoso, e per la mia generazione è impensabile avere scarsità di elettricità“, dice un ragazzo. Secondo un ingegnere della compagnia elettrica intervistato in forma anonima dal Los Angeles Times, tale situazione potrebbe durare anche un anno.

Tokio sta lentamente diventando una wasteland. Pian piano, senza troppo rumore, pochi alla volta, i cittadini se ne vanno al sud in cerca di un posto migliore. Incluso, a quanto pare, Masataka Shimizu, presidente della Tepco di cui non si hanno più notizie e che si sospetta fuggito dal Paese. Mentre alle decine di migliaia di contadini profughi della zona intorno a Fukushima si comincia a spiegare, con tatto, che forse non potranno mai più mettere piede sulla terra che i loro padri hanno coltivato per millenni. Ma sembra che al momento rifiutino ostinatamente di afferrare il concetto."
(da: Il fatto quotidiano)
  

Lo scrittore di montagna Mario Corona ha ben intepretato la fragilità della nostra società fossile-dipendente nel romanzo incazzato La fine del mondo storto (Mondadori 2010): finisce il petrolio e la gente prima brucia i mobili per scaldarsi e poi si scanna per sopravvivere. 
Un altro celebre romanzo che descrive un mondo di sopravvissuti è La strada di Cormac McCarthy (Einaudi 2007), di cui si è già parlato in questo blog nel febbraio 2009.  Ma forse, il romanzo più inquietante è La parete della scrittrice austriaca Marlen Haushofer, il diario di una donna immensamente sola su una Terra improvvisamente privata dell’umanità, che tenta, giorno dopo giorno, di mantenere un’esistenza dignitosa in un piccolo angolo alpino, lottando contro la paura e la natura in un’oasi di autosufficienza totale.
Tuttavia, quando si affronta questo argomento, l’angoscia della catastrofe respinge in genere ogni possibilità di dialogo costruttivo, ritenuto sempre estremista e improbabile.
Ma è proprio la consapevolezza e l’interiorizzazione della catastrofe a permetterci di evitarla.
Solo l’immanenza del mostro sconfigge il mostro.
Mettere la testa sotto la sabbia e dire che il mostro non esiste ci fa solo cadere nelle sue fauci.
(da Prepariamoci di Luca Mercalli - Chiarelettere 2011)

*

Lettori fissi