Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

HEROIC ROSES Intuizioni dell'impalpabile

21.1.12

PIANURA




                                                               
immagine by mca



 

Certe sere vorrei salire
sui campanili della pianura,
veder le grandi nuvole rosa
lente sull'orizzonte
come montagne intessute
di raggi.

Vorrei capire dal cenno dei pioppi
dove passa il fiume
e quale aria trascina;
saper dire dove nascerà il sole
domani
e quale via percorrerà, segnata
sul riso già imbiondito,
sui grani.

Vorrei toccare con le mia dita
l'orlo delle campane, quando cade il giorno
e si leva la brezza:
sentir passare nel bronzo il battito
di grandi voli lontani.

Antonia Pozzi


20.1.12

ANCHE D'AMORE DEVE PARLARE IL POETA


Ex Rosa - immagine di Alessio Blve (diritti riservati 2012)
(mca ringrazia)

                                        

                                             La rosa che da giorni agonizza in questo bicchiere
                                             non smette di concedermi la realtà del suo profumo

                           corpo invisibile che aderisce ai libri
                           che eternamente si estende nell'aria.

                 Anche d'amore deve parlare il poeta
                 dissanguandosi in parole che la sua anima sono.

                             E' il canto degli uccelli che salutano la luna
                             è la morte trasformata in lingua.

                                                Non è che io solleciti le tue carezze
                                                né tantomeno il latte che ti promette il futuro:
                                                come un cane cieco inseguo la tua assenza.

                 I petali in cenere prima cadono a terra
                 poi viene il vento e li trasforma in aria

                                  ma nella mia carne continua a persistere il loro profumo
                                  mentre scrive il poeta agonizza dentro un bicchiere d'acqua.

                                                                       Alejandro Jodorowsky


27.11.11

TE FARURU

Le maggiori notizie di Paul Gauguin sono quelle rintracciabili nei Diari da lui stesso redatti, nei quali si rileva tuttavia un’evidente  tendenza a dipingere se stesso in modo piuttosto idealistico.
L’episodio più universalmente conosciuto su di lui è quello relativo al litigio con l’amico Van Gogh che in quel periodo, essendo egli senza mezzi, lo stava ospitando (e mantenendo) a Arles e in seguito al quale Vincent  si ritrovò con un orecchio mozzato. Le cronache ufficiali vogliono che fu lo stesso Van Gogh a tagliarselo in un raptus autodistruttivo, ma si vocifera che Van Gogh abbia invece cavallerescamente scagionato l’amico Paul dall’avergli procurato la lesione, asserendo di essersela auto-inflitta. Fatto è che Gauguin tagliò rapidamente la corda e se quella volta riuscì a scampare alla denuncia, la prigione non gli fu risparmiata in altre occasioni.

L’ampia raccolta di lettere intercorse fra Gauguin, Van Gogh e il di lui fratello Theo tra il 1887 e il 1891 rappresenta una testimonianza fondamentale di quel particolare legame artistico e umano che unì i tre amici, evidenziando i più intimi particolari della loro personalità, del loro carattere e dei loro pensieri sull’arte, la pittura e la vita. Il rapporto tra Van Gogh e Gauguin era iniziato a Parigi nel 1887 con uno scambio reciproco di quadri che avrebbe fornito poi il pretesto per le prime lettere. L’anno seguente, mentre Theo si fermava a Parigi rimanendo un punto di riferimento per i due pittori, i due artisti partirono separatamente alla ricerca del “selvaggio”, guidati dalla comune e urgente smania di dipingere. Gauguin si recò in Bretagna mentre Vincent andò a sud, in Provenza, il paese dei toni azzurri e dei colori allegri, precisamente ad Arles.
Tutta la prima parte dell’epistolario è incentrata sulle difficoltà economiche di Gauguin, complicate dal suo debole stato di salute, e sull’invito ad Arles da parte di Vincent, desideroso di condividere il suo studio e la sua casa gialla con quel pittore assai in gamba che egli dimostra di stimare oltre misura. Le preoccupazioni per la salute, l’umore e lo stato economico di Gauguin da parte di Vincent erano reali e sincere. La soluzione auspicata per risolvere i comuni problemi di sussistenza che impedivano a entrambi il sereno svolgimento del loro lavoro, era quella di convivere temporaneamente ad Arles, dividendo vitto, alloggio e spese e lavorando affiancati con il sostegno economico di Theo.
Era il 22 ottobre 1888 quando Gauguin, senza eccessive aspettative o speranze, lasciò la Bretagna per la Provenza. Ripensando a quell’esperienza nel 1903, poco prima di morire, nei suoi diari avrebbe così ricordato: “ Impiegai alcune settimane per cogliere l’aspro sapore di Arles e dintorni. Ciò non toglie che si lavorasse sodo, soprattutto Vincent. All’interno di due esseri, lui e io, uno un vero vulcano e l’altro non meno focoso, si stava preparando i qualche modo una lotta.”
Per nove settimane i due quindi lavorarono insieme, realizzando ciascuno una ventina di quadri. Il loro rapporto però, che fino a quel momento era rimasto molto superficiale, riservò a entrambi più di una delusione. Così Gauguin scrisse. “ Io e Vincent ci troviamo in generale ben poco d’accordo, soprattutto in pittura. I miei quadri gli piacciono molto, ma quando ci lavoro, trova sempre che sbaglio a fare questo o quello. E’ un romantico, mentre io sono più portato a uno stato primitivo.”
A impedire un sereno rapporto c’era dunque una differenza di carattere e di personalità.
Gauguin era infastidito dalla debolezza della psiche e dall’instabilità delle emozioni di Vincent. Lo stato di estrema tensione fra i due sarebbe alla fine sfociata nel tragico evento del taglio dell’orecchio che avrebbe indotto Gauguin a lasciare Arles in tutta fretta. I due amici non si sarebbero mai più rincontrati.


Paul Gauguin - Otahi ( solitaria ) - 1893
Donde veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Ecco le cruciali domande a cui Gauguin tentò di dare risposta.
Nella sua costante ricerca espressiva, che aveva già registrato un fugace passaggio attraverso Impressionismo e Simbolismo, Gauguin si era aperto a uno stile di pittura che aveva sostanzialmente abolito prospettiva ed effetti luce-ombra per adottare forme piatte, semplificate e dai colori puri, stesi a grandi pennellate entro profili scuri ben delineati.
Quello che Gauguin capì di stare idealmente cercando era una società dove i rapporti fra uomo e donna fossero armoniosi, naturali, regolati da un codice implicito, tipico delle collettività ancora provviste di tradizione.
Nella società europea questo codice era stato profondamente sconvolto e il sogno artistico era ormai generalmente affollato da figure di donne minacciose e fatali.
Fu questo ideale di spiritualità quasi buddhista a determinare la partenza di Gauguin verso le isole remote del Sud Pacifico, ancora inesplorate dagli artisti fino a quell' epoca.
A bordo di un mercantile sbarcò a Papeete nella primavera del 1891, colmo di speranza e con questo saluto nel cuore:

Giungo in questo luogo dove è ignota la terra sotto i miei piedi
Giungo in questo luogo dove è nuovo il cielo sopra la mia testa.
Giungo in questa terra che sarà la mia dimora…
Spirito della terra, lo straniero t’offre il suo cuore perché tu te ne nutra.
Inseriti nell' eden naturalistico e spirituale delle isole, ecco rappresentati in un’inattività sognante i seni nudi e le magnifiche schiene e i fianchi delle Tahitiane solcate dalle nere ciocche dei capelli e fasciate nei parei fiorati .
La grande suggestione creata da queste atmosfere esotiche è principalmente frutto delle armonie coloristiche e della primitività delle forme.
Le figure semplificate fanno pensare ad una pittura eseguita di getto; in realtà ogni composizione è stata accuratamente studiata alla ricerca di nuove soluzioni stilistiche
Un' innovazione fondamentale nell'Arte, che avrà grande influenza sulla pittura posteriore e spianerà la strada all’astrattismo.

 *
*

22.11.11

 *
*
*






  From morning to night I stayed out of sight Didn't recognize I'd become
                 No more than alive I'd barely survive


                              In a word...overrun
Won't hear a sound From my mouth
                  I've spent too long On the inside out My skin is cold

To the human touch This bleeding heart's
Not beating much
                               I murmured a vow of silence and now

I don't even hear when I think aloud Extinguished by light I turn on the night

 Wear its darkness with an empty smile
                        I'm creeping back to life My nervous system all awry

                         I'm wearing the inside out Look at him now

He's paler somehow But he's coming round He's starting to choke
It's been so long since he spoke
                             Well he can have the words right from my mouth

And with these words I can see Clear through the clouds that covered me

                                      Just give it time then speak my name Now we can hear ourselves again
         I'm holding out For the day

When all the clouds
                                                Have blown away I'm with you now

   Can speak your name Now we can hear
                                                               Ourselves again



*
*
*Wearing The Inside Out


Pink Floyd


 Image by mca







11.11.11

È UNA FORTUNA

                                                              Immagine Matteo Zarini diritti riservati (mca ringrazia)
                                 





                                                                È una fortuna passeggiare tra i castagni
                                               mi dici un mattino di novembre
                 mentre i gambi riversi del granturco
                                                      splendono sotto le finestre e le donne dei paesi
                                                                                   aprono la porta della bottega. È una fortuna
 
                                                                       marinare la vita che non ci appartiene
                                                            per ascoltare lo scricchiolìo tutto nostro
                                     delle foglie: le parole cadono felici
                                                                   come le bacche rosse dal corniolo.
                                                                                           È una fortuna non sbagliare sentiero
                                             verso il poggio da dove l'eremita
                                                        qualche secolo fa guardava la Lombardia
                                                                                            e dove noi ci abbracciamo tra le stoppie.

                                                                                                                Alberto Nessi


*

8.11.11

IN SOGNO O NO

On aura vu aussi ces femmes - en rêve ou non
mais toujours dans les enclos vagues de la nuit -
sous leurs crinières de jument, fougueuses,
avec de longs yeux tendres à lustre de cuir,
non pas la viande offerte à ces nouveaux étals de toile,
bon marché, quotidienne, à bâfrer seul entre deux draps,
mais l'animale soeur qui se dérobe et se devine,
encore moins distincte de ses boucles, de ses dentelles
que l'onduleuse vague ne l'est de l'écume,
le fauve souple dont tous sont chasseurs
et que le mieux armé n'atteint jamais
parce qu'elle est cachée plus profond dans son propre corps
qu'il ne peut pénétrer - rugirait-il d'un prétendu triomphe -,
parce qu'elle est seulement comme le seuil
de son propre jardin, ou une faille dans la nuit
incapable d'en ébranler le mur, ou un piège
à saveur de fruit ruisselant, un fruit,
mais qui aurait un regard - et des larmes.

*
Philippe Jaccottet




Ophelia



Le avremo ben viste anche queste donne - in sogno o no,
ma sempre nei recinti vaghi della notte -
focose sotto le loro criniere di giumenta,
con larghi occhi teneri dai bagliori di cuoio,
non già la carne in quotidiana svendita alle nuove
macellerie di immagini, che ingurgiti
solo, fra le lenzuola,
ma l'animale sorella che sfugge e s'indovina,
ancora meno distinta dai suoi riccioli, dalle sue trine
di quanto la vaga linea dell'onda sia dalla schiuma,
l'agile fiera di cui tutti vanno a caccia
e che il più armato non raggiunge mai
perché è nascosta giù in fondo al suo stesso corpo
ch'egli non può penetrare - se anche ruggisse di vano trionfo -
perché ella è soltanto la soglia
del suo stesso giardino,
o un'incrinatura nella notte
incapace di abbatterne il muro, o una tagliola
dal sapore di frutto gocciolante, solo un frutto,
ma dotato di sguardo - e anche di lacrime.




- trad. Philippe Jaccottet (chapeau!)  -






Philippe Jaccottet è un poeta, traduttore e critico svizzero nato a Moudon il 30 giugno 1925. Dopo gli studi in lettere all'università di Losanna, ha vissuto a Parigi, lavorando come corrispondente dell'editore Mermod.
Dal 1953 si è stabilito nel Sud della Francia con la moglie pittrice.
Traduttore dal greco (Odissea), dal tedesco (Goethe, Hölderlin, Rilke, l'opera omnia di Robert Musil), dall'italiano (Leopardi, Carlo Cassola, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Raboni) e dallo spagnolo (Góngora).
Considerato uno dei maggiori poeti contemporanei europei è stato più volte candidato al Premio Nobel. (Wiki)

*



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6.11.11

TAMARA E GABRIELE

Tamara De Lempicka - La Camicia Rosa
olio su tavola - 1927
(collezione privata)


Il nudo nell’arte era stato considerato fino alla metà dell’Ottocento decoroso soltanto se nobilitato da riferimenti storici, mitologici, o religiosi. Già Platone, nel suo Simposio, aveva spiegato che esistono due tipi di venere: quella divina e quella volgare. Renoir aveva ribadito il concetto in modo più schietto: “ la donna nuda sorge dal mare o dal letto”. In sintesi se non era santa era puttana.
La bellezza che impose Tamara nei suoi nudi era invece rassicurante per la società dell’epoca, dagli albori del fascismo fino al dopoguerra.
Allineata al modello della diva o della pin-up promosso da Hollywood, era il tipo di donna che usciva dalle pagine patinate dalla rivista Vogue, additata come prototipo del fascino dalle grandi industrie cosmetiche come Elisabeth Arden e Helena Rubinstein, un simbolo di successo che le donne si sforzavano d’imitare.
I ritratti di Tamara de Lempicka emanano un fascino particolare perché avvolti nella luce del desiderio: le sue modelle sembrano godere e compiacersi nel ricordo del piacere assaporato. 
Scarna la biografia di Tamara: nata a Varsavia sul finire dell’Ottocento, fu attiva dapprima in Francia, dove studiò arte negli anni ‘20, e in seguito negli Stati Uniti dove tenne numerose esposizioni che la resero ricca e famosa. La sua formazione artistica prese ispirazione dall’Art Déco e dal Futurismo.
Sue caratteristiche personali furono fascino, eccentricità e ambivalenza, che si ritrovano ampiamente riflesse nelle sue opere. Sposata due volte, le cronache dell’epoca la ricordano soprattutto per la tormentata liaison con il poeta Gabriele d’Annunzio a quei tempi celebrato in tutta Europa come romanziere, drammaturgo e soprattutto dongiovanni.








Mademoiselle Poum Rachou - 1933

Scarna la biografia di Tamara: nata a Varsavia sul finire dell’Ottocento, fu attiva dapprima in Francia, dove studiò arte negli anni ‘20, e in seguito negli Stati Uniti dove tenne numerose esposizioni che la resero ricca e famosa. La sua formazione artistica prese ispirazione dall’Art Déco e dal Futurismo.
Sue caratteristiche personali furono fascino, eccentricità e ambivalenza, che si ritrovano ampiamente riflesse nelle sue opere. Sposata due volte, le cronache dell’epoca la ricordano soprattutto per la tormentata liaison con il poeta Gabriele d’Annunzio a quei tempi celebrato in tutta Europa come romanziere, drammaturgo e soprattutto dongiovanni.


Per Tamara può significare l'inizio del successo e il passaggio dalla bohème alla dolce vita. Se però D'Annunzio mira ad aggiungere questa creatura straordinariamente smart alla sua collezione di amanti, Tamara, da parte sua, fiuta subito una ghiotta occasione per farsi pubblicità. L'intera operazione fu condotta da lei con grande cinismo. Ansiosa di affermarsi nel suo successo d'artista e ossessionata dal ricordo della povertà, si era posta l'obiettivo di riuscire a fare un ritratto all'uomo dall'eccentrica personalità che stava influenzando un'intera epoca e che una larga cerchia di frequentazioni altolocate ammirava e celebrava.
Un ritratto di D'Annunzio eseguito dalla Lempicka avrebbe fatto notizia, richiamato l'attenzione e messo in ombra la sua rivale Romaine Brooks, che già con D'Annunzio aveva avuto una relazione ambigua.
Tamara aveva capito perfettamente le intenzioni del poeta, sapeva come erano fatti gli uomini e lei ci si era abituata, fondendo arte e sensualità.  D'Annunzio era ormai un anziano signore non più molto attraente, ma aveva un carattere molto forte ed era dotato di fascino non comune che Tamara voleva esplorare e catturare sulla tela.

Foto autografa con dedica a Tamara
A quei tempi il suo successo era ancora più di natura sociale che artistica ed essendone consapevole voleva fargli credere di poter rivolgergli le sue attenzioni e sfruttare l'infatuazione del poeta per dare una spinta alla propria arte.
Alla fine degli anni '70, quando furono ritrovati i diari della governante di D'Annunzio, che era stata anche sua amante, con i dettagli di quella storia per certi versi quasi grottesca dati in pasto al pubblico, Tamara ne fu contrariata e protestò energicamente perché il suo nome era stato accostato a quello di una serva, lamentando anche l'oltraggio inferto al grande poeta italiano, che però lei stessa aveva un tempo definito come "un vecchio nano in uniforme". Protestò anche contro un libro pubblicato dall'editore Ricci che, con la pretesa di discutere d'arte, traboccava di pettegolezzi sulla sua vita intima. Nonostante le sue vivaci proteste, il libro conobbe un grande successo in tutta Europa, risvegliando il generale interesse verso le sue opere e le quotazioni dei suoi quadri schizzarono alle stelle.


La parte del diario intitolata " Tamara al Vittoriale" risulta oggi abbastanza innocua.
Il Vittoriale, com'è noto, era una proprietà sulle sponde del lago di Garda che D'Annunzio, seguendo la sua non comune fantasia, aveva trasformato in un castello da favola, una sorta di scenografia hollywoodiana.
A giudicare dalle lettere che i due si scambiarono, fu Tamara che gli propose di incontrarlo, lo si deduce dal tono delle sue prime lettere, scritte in un francese non sempre impeccabile:
Venerdì.
Caro maestro e amico (come spero e desidero) eccomi a Firenze!!! Perché proprio Firenze? Per lavorare e purificarmi a contatto della vostra arte sublime...
Quanto mi rattrista non essere in grado di esprimere le mie idee. Avrei tanto voluto poter parlare con voi, confidarvi i miei pensieri, perché credo che voi capireste tutto...
Per Natale rientro a Parigi poi passo per Milano, dove conto trattenermi due giorni. Volete che passi anche da voi (in senso buono, s'intende). Io ne sarei felice, e voi? V’invio, caro fratello, tutti i miei pensieri, quelli buoni e quelli cattivi, quelli lascivi e quelli che mi fanno soffrire.
Tamara de Lempicka
E questo stile galante e affettato non si esaurirà con il primo scambio epistolare:
Domenica.
Grazie, vengo! Sono così felice, ma anche intimidita.
Come siete? Chi siete? E io, chissà se vi piacerò, così, una studentella, senza il mio guardaroba parigino, i miei cosmetici....ecc. ecc.
Il fratello D'Annunzio intanto non perde tempo e tende la sua trappola: l'unico punto delle lettere che lo interessa veramente riguarda la lascivia a cui Tamara allude.
Tuttavia D'Annunzio è cinico e scaltrito,  non si lascia ingannare facilmente.
Venite al Vittoriale, le scrive, troverete qui riunite le Muse dell'Arte, della Musica e della Letteratura.

 
Scrive questo mentre la Principessa del Piemonte, un'altra delle sue amanti, è appena partita lasciando il letto ancora tiepido.
E' comunque intenzionato a essere molto discreto anzichè impetuoso come al solito e di volerla trattare come una vera signora.
Chi non si fa nessuna illusione è il primo marito della Lempicka, Tadeusz che sa che gli uomini da lei ritratti sono stati anche suoi amanti e l'accusa di umiliarlo agli occhi del mondo intero con quei ritratti incriminati. Tadeusz seguirà da lontano l'evolversi della relazione con D'Annunzio, inviando ogni due giorni un telegramma alla moglie, intimandole di ritornare o almeno di scrivergli.
Nel frattempo il Vittoriale è in subbuglio per l'arrivo della bella polacca. L'anziano poeta è circondato da un vero e proprio harem - ospiti di passaggio, la sua concubina, la sorella di lei, la governante del famoso diario e uno stuolo di prostitute (non si chiamavano ancora escort) - che si preoccupa di organizzare per lui ogni sorta di piaceri, compresa la dose quotidiana di cocaina.
D'Annunzio il cui principio era do ut des, ha deciso di fare le cose in grande e all'arrivo di Tamara fa sparare un paio di cannonate a salve dall'incrociatore Puglia che si trova alla fonda davanti al parco della villa. Insieme ad ogni sparo risuona un sonoro "Alla Polonia! " " Alla vostra Arte!" " Alla vostra bellezza!".
Ma i suoi auguri non servono a molto: Tamara non è affatto disposta a farsi conquistare per così poco.
Lei che ha già avuto così tanti amanti, uomini e donne, decide di fare la preziosa... 
D'Annunzio dal canto suo è poco avvezzo a incontrare una qualche resistenza, la giudica capricciosa e non tarda a volersene sbarazzare. O almeno così fa credere alla governante che scrive sul diario: La Polacca non la può vedere e non aspetta altro che se ne vada. E' una smorfiosa, spera di fargli perdere la testa (povera illusa!). Una volta gli ha detto di temere di rimanere incinta perché ha solo ventisette anni - così dice - in realtà ne dimostra trentacinque. Una volta gli ha detto che per paura della sifilide non si è mai lasciata andare ad avventure sentimentali. "Vedete, ho un marito giovane e preferirei evitargli un regalo del genere." Voi avete così tante donne perciò mi chiedo se potrei fidarmi".
Come si vede Tamara se non altro sa fare buon uso della litote, ma D'Annunzio non crede alle proprie orecchie: una donna che osa parlargli in quel modo!
La governante ci va giù dura nel parlare col maestro: "Cose del genere le può pensare solo una prostituta! Del resto accetta i vostri omaggi fin troppo di buon grado: in due giorni le avete dato più di venticinquemila lire!" Avreste fatto meglio a donarle ai poveri."
La leziosità porta i suoi frutti e il fratello scalpita. Tamara capisce che è anche venuto il momento di concedere qualcosa,  si lascia baciare la nuca e il collo e poi  si spoglia per farsi accarezzare tutta, ma quando lui tenta un approccio più stretto, lei gli mette altri paletti, imponendogli di fare ciò che crede rimanendo vestito.
Il fatto che qualcuno tenti di resistergli non lascia indifferente il maestro che sa come vendicarsi con le parole . " Voi non siete una signora, siete solo una sgualdrina. Ma una sgualdrina di classe, lo ammetto. Solo la cortesia mi impedisce di farvi mettere alla porta dall'ultima delle mie serve. Ma resterò un signore fino alla fine. Lo faccio per vostro marito, che d'altra parte posso solo compatire per aver avuto in sorte una donna come voi."
Sempre sul diario si può leggere che il poeta cenò quella sera con Tamara per poi lasciarla sola molto presto e passare la notte con una giovane amica. Il loro rapporto continua a limitarsi al petting spinto  ma senza avere mai da lei il consenso a penetrarla.
La commedia giunge al suo apice con una lettera dal tono mellifluo con cui Tamara gli fa sapere che lo sta aspettando. D'Annunzio va da lei convinto che questa volta avrebbe ceduto, portando con sé persino la valigetta dell'amore, con tutti gli "accessori".
Sempre secondo il diario la trova più lucida che mai ma contraria a sniffare cocaina per paura di ricadere nel vizio che già l'aveva tormentata anni prima. Lui allora si toglie il pigiama per cercare di sedurla con la prestanza del suo fisico atletico, ma lei distoglie lo sguardo e dicendogli che detesta la pornografia.
A questo punto Gabriele le domanda una volta per tutte che cosa vuole da lui e Tamara inizia a parlargli del ritratto e dei prezzi che lei chiede. Lui risponde che non si permetta di parlare in questo modo a Gabriele D'Annunzio e le dà l'addio.
I protagonisti sono senz'altro uno più irriducibile dell'altro, ma pur sempre troppo civili e intelligenti per far scadere la commedia in un dramma e il duello terminò quindi senza vincitori nè vinti .
Tamara pensava al quadro che non avrebbe mai dipinto, mentre il maestro sarebbe rimasto schiavo infelice della sua voluttà insoddisfatta, solo in mezzo al suo harem.
Tuttavia non manca un finale degno di predatori del loro rango.
Nel diario si racconta ancora che qualche giorno più tardi Tamara, che nel frattempo si era trasferita a Gardone da alcuni amici, si vide recapitare uno scrigno con un rotolo di pergamena contenente una poesia che D'Annunzio le dedicava mentre nel portagioie c'era un anello d'argento massiccio, sormontato da un gigantesco topazio, che scivolò perfettamente lungo il dito della sua mano sinistra.
Nell'ultimo scambio epistolare il poeta la saluta con queste parole: "Ho trascorso notti di grande tristezza, grazie!" a cui lei rispose: "Ho trascorso ore di grande tormento, grazie!"



fonte:
Avventure sentimentali:
la giovane e bella
e il nano brutto e vecchio
Gilles Néret

1.11.11

DANAE

« Danae Acrisii et Aganippes filia. Huic fuit
fatum, ut, quod peperisset Acrisium interficeret;
quod timens Acrisius, eam in muro lapideo
praeclusit. Iovis autem in imbrem aureum
conversus cum Danae concubuit, ex quo
compressu natus est Perseus. Quam pater ob
stuprum inclusam in arca cum Perseo in mare
deiecit. Ea voluntate Iovis delata est in insulam
Seriphum, quam piscator Dictys cum invenisset,
effracta ea vidit mulierem cum infante, quos ad
regem Polydectem perduxit, qui eam in coniugio
habuit et Perseum educavit in templo Minervae.
Quod cum Acrisius rescisset eos ad Polydectem
morari, repetitum eos profectus est; quo cum
venisset, Polydectes pro eis deprecatus est,
Perseus Acrisio avo suo fidem dedit se eum
numquam interfecturum. Qui cum tempestate
retineretur, Polydectes moritur; cui cum
funebres ludos facerent, Perseus disco misso,
quem ventus distulit in caput Acrisii, eum
interfecit. Ita quod voluntate sua noluit, deorum
factum est; sepulto autem eo Argos profectus
est regnaque avita possedit. »
Igino Astronomo - Fabulae
II secolo-III secolo d.C

<>     
Gustav Klimt - Danae - 1907/08
olio su tela ( Graz, collezione privata )


La più alta espressione della bellezza rigogliosa è qui rappresentata dalla mitica Danae,
fecondata da Zeus con la penetrazione di una pioggia d'oro.
La forma, e l'elemento ornamentale curvilineo ripetuto,
sono i principi compositivi dell'intera rappresentazione
che risultano particolarmente accentuati dalla cromaticità dell'oro.
Apposita, da parte dell'artista, la scelta del taglio e della prospettiva deformante
che si rivelano utili a sensualizzare l'intensa corporeità di questo nudo dormiente.


Racconto di Danae
*
Dell'epoca in cui il mito era storia, si racconta che nella lontana città di Argo, regnasse il re Acriso, assieme alla sua sposa Euridice (o Aganippe secondo altri) e alla loro figlia Danae.
La tragica storia di re Acriso ebbe inizio quando si recò a Delfi per consultare l'oracolo. Non riuscendo ad avere figli maschi, era preoccupato per la sorte del suo regno, non sapendo a chi dover lasciare i suoi possedimenti. Il responso dell'oracolo fu travolgente in quanto gli predisse che non solo non avrebbe avuto figli maschi ma che un giorno sarebbe morto per mano di suo nipote, il futuro figlio di sua figlia Danae.
Il re, terrorizzato dalla profezia, fece rinchiudere la figlia in una torre dalle porte di bronzo, sperando in questo modo che non fosse mai avvicinata da uomo alcuno.
Ma Zeus che dall’alto dell’Olimpo seguiva le vicende mortali, impietosito dalla sorte toccata alla fanciulla ed invaghitosi di lei, entrò nella sua cella e, sotto forma di pioggia di gocce d’oro, concepì con lei quello che un giorno sarebbe diventato uno dei più grandi uomini della storia antica: Perse

Re Acriso, scoperta la gravidanza della figlia che fu costretta a confessare le origini divine del figlio, nonostante la paura e la grande rabbia, non ebbe il coraggio di ucciderla ma aspettò che il bambino nascesse, per rinchiudere entrambi in un sarcofago che abbandonò alla deriva in mezzo al mare. La loro sorte sarebbe stata sicuramente segnata se Zeus non avesse sospinto il cofano verso le rive dell’isola di Serifo, nelle Cicladi, dove un pescatore la trovò e una volta apertala, vide che la donna ed il bambino erano ancora vivi. Immediatamente li portò dal re Polidette, che li accolse nella sua reggia.
*
Passarono gli anni e Perseo, circondato dall’amore della madre, cresceva forte e valoroso. Danae, che la maturità aveva reso ancora più bella, era diventata oggetto dei desideri del re Polidette che cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo, ma Danae, il cui unico pensiero era il figlio, non ricambiava il suo amore. Polidette allora cercò di averla con l'inganno: finse di voler sposare un'altra donna e chiese ai suoi amici di fargli come dono nuziale un cavallo ciascuno. Perseo, che non possedeva e non poteva comprare un cavallo da donare al re, si scusò e disse imprudentemente che gli avrebbe procurato qualsiasi altro dono fosse di suo gradimento.
<>    <> <>   
Bernini -Musei Capitoli, Roma
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Narra la leggenda che Medusa una delle tre Gorgoni e l’unica alla quale il fato non avesse concesso l’immortalità, era un tempo tra le donne più belle. Invaghitasi di Poseidone, aveva fatto con lui l’amore nel tempio di Atena.
Quest'ultima profondamente irritata dall’affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un orribile mostro: le mani le aveva trasformate in pezzi di bronzo; aveva fatto comparire delle ali d’oro e ricoperto il corpo di scaglie; i denti erano diventati simili alle zanne di un cinghiale; i capelli erano stati trasformati in serpenti ed al suo sguardo aveva dato la capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse negli occhi.
Aiutato da Ermes e Atena, Perseo, nel paesaggio desolato di uomini e animali che lo sguardo del mostro aveva pietrificato, camminando all’indietro e guardandola riflessa nello scudo lucente si avvicinò a Medusa. Non appena le fu dappresso, vibrò il colpo mortale che tagliò di netto la testa mentre i serpenti tentavano in tutti i modi di avvolgerlo nelle loro spire.

Presa la testa, la ripose immediatamente nella bisaccia mentre dal sangue che sgorgava copioso nacque Pegaso il magico cavallo alato che divenne suo fedele compagno nelle avventure lungo il ritorno a casa.
Le sorelle della vittima cercarono in tutti i modi di inseguirlo ma grazie all’elmo di Ade che lo rendeva invisibile e al magico
Pegaso, riuscì a sfuggire, volando via veloce come il pensiero, da quell’isola tetra e nefasta.
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Benvenuto Cuto Cellini - 1545/1554
Firenze Piazza della Signoria




Stanco del lungo viaggio costellato di vicessitudini e lutti, Perseo ritornò a Serifo, dalla madre Danae, appena in tempo per salvarla dalla morte alla quale il re Polidette l’aveva condannata perché continuava a non ricambiare il suo amore. Il re, messo di fronte alla testa di Medusa, fu pietrificato all’istante.  



Morto Polidette, madre e figlio poterono finalmente fare ritorno ad Argo, loro terra natale, per riconciliarsi con re Acriso, verso il quale gli anni avevano oramai cancellato ogni risentimento.
Ma il re Acriso, saputo dell’arrivo del nipote e della figlia, temendo l’antica profezia fuggì dal suo regno e riparò a Larissa in Tessaglia dove si svolgevano i giochi olimpici.  
Sembrava che finalmente il triste destino di Perseo fosse giunto al termine.

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Invece il destino volle che grazie alle sue doti atletiche fosse invitato a partecipare proprio a Larissa alle stesse gare sportive e mentre lanciava il disco, la potenza impressa dal suo forte braccio fece sì che questo oltrepassasse gli spalti, per colpire uno sfortunato spettatore che altri non era che il re Acriso mischiato alla folla. Scoperta la triste fine toccata al nonno al quale Perseo, nonostante tutto, voleva bene, triste e sfiduciato fece rientro ad Argo. Ma non accettò di diventare re anche se gli spettava di diritto e scambiò il suo trono con quello di Tirinto dove regnò in pace e con saggezza fino alla fine dei suoi giorni.
 

mca ringrazia
Wikipedia - Danae
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29.10.11

Nei miei primi anni


                Nei miei primi anni abitavo al terzo piano
                e dal fondo del viale di pitòsfori
                il cagnetto Galiffa mi vedeva
                e a grandi salti dalla scala a chiocciola
                mi raggiungeva.


                                 Ora non ricordo
                                 se morì in casa nostra e se fu seppellito
                                 e dove e quando. Nella memoria resta
                                 solo quel balzo e quel guaito né
                                 molto di più rimane dei grandi amori
                                 quando non siano disperazione e morte.


                                                                 Ma questo non fu il caso del bastardino
                                                                 di lunghe orecchie che portava un nome
                                                                 inventato dal figlio del fattore
                                                                 mio coetaneo e analfabeta,
                                                                 vivo meno del cane, e strano,
                                                                 nella mia insonnia.
                                                                                                                  Eugenio Montale


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