Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

28.2.09

THE READER


2008 USA/D

Regia di Stephen Daldry
con Kate Winslet,
Ralph Fiennes
David Kross
Bruno Ganz

Film centrato sulla relazione amorosa fra una donna matura e un liceale nella Berlino negli anni ’50.
Un legame che reggerà al gap anagrafico e culturale, sopravvivrà al tradimento, ai colpi di scena e alle ingiurie del tempo e della vita, oltre l’immaginabile.
Che l’amore durevole sia proprio quello che imbocca sentieri secondari più che strade maestre?
Sceneggiatura splendida, molto letteraria, che fornisce più di una chiave interpretativa, senza pretesa di dare giustificazioni o risposte alla domanda più scottante fra tutte le domande della storia recente: perché ci fu il nazismo, chi vi aderì, chi lo permise?
Del resto ancora non abbiamo avuto la risposta al perché ci fu l’Inquisizione ...Ognuno si faccia l’esame di coscienza e tragga le proprie tacite conclusioni.
Molto lirica tutta la prima parte, con una macchina da presa innamorata (come noi del resto) del tenero protagonista David Kross, al suo brillante esordio in questo film, e dell’affascinante e scafata Kate Winslet che s’è meritata in pieno la statuetta vinta agli Oscar come miglior protagonista.
La commozione è difficile da trattenere e quale miglior pretesto di questo per chi sa piangere senza inibizioni. Se siete del genere che si emoziona persino con Shreck, tenete a portata di mano un fazzoletto. Anche…due, meglio.

Voto al film 8/10

23.2.09

MAGRITTE - Milano, Palazzo Reale fino al 28 marzo


LE COUP AU COEUR 1952



LA PAGE BLANCHE 1967














THE EMPIRE OF LIGHT (1961)


Il meglio che possiamo augurarci è scoprire, dietro il muro che abbiamo appena abbattuto, altre muraglie più lontane di cui ignoriamo la consistenza e che richiederanno alla nostra intelligenza d’inventare nuovi congegni che dobbiamo costruire dal nulla. (1927)

LE RETOUR 1940











La natura ci offre la condizione di sogno, il che consente al nostro corpo e alla nostra mente quella libertà di cui hanno assoluto bisogno. (1938)


20.2.09

A PROPOSITO DELLA RAGAZZA CATTIVA...


...una tirata d'orecchie che ricevo ed estendo a chi mi legge


----- Original Message -----
From:
Luca
To: maricris

Sent: Monday, February 16, 2009 4:22 PM
Subject: Cattive abitudini

Ciao Cris
Tra gli obiettivi del mio lavoro c'è anche quello di informare sugli usi dell'energia e la riduzione degli sprechi.
Facendo riferimento a certe tue abitudini quotidiane risapute per così dire “poco virtuose”, mi sento in dovere di mandarti questa bella iniziativa che il sole24ore ha voluto fare in occasione dell' anniversario della firma del Trattato di Kyoto.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/SpecialiDossier/2008/risparmio-energetico/risparmio-energetico-default.shtml?uuid=59976d80-d662-11dc-b16c-00000e25108c
Sono articoli su come poter fare la propria piccola parte nella conservazione dell'ambiente attraverso semplici gesti quotidiani.
Non mi piace, invece, la troppa enfasi sul risparmio della bolletta rispetto al dovere etico di non partecipare al decadimento del nostro mondo. Il fatto che si guardi sempre prima al portafoglio che alla propria salute lo trovo un ulteriore fattore di decadimento del nostro mondo, un atteggiamento poco sensibile che sarebbe meglio cambiare.
Scusa il tono un po' paternalistico della mail e prendilo come un semplice modo per starti vicino, darti un consiglio da buon padre, seppure continuando a rispettare le tue scelte e le tue esigenze.

L'indifferenza e l'arroganza così diffuse inquinano molto più dei tubi di scappamento e la tua sensibilità così rara ossigena il mondo come una foresta vergine.

Dimenticati pure le luci accese e gli apparecchi in stand-by (se proprio capita) ma non cambiare il tuo cuore.
Luca

19.2.09

SOGNA RAGAZZO SOGNA

omaggio a Roberto Vecchioni
Sanremo 2009 - la più bella fuori concorso

http://www.youtube.com/watch?v=mSfYme_TL48

E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte;
ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte;
io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero,

e naviganti infiniti che san parlare col cielo.
Chiudi gli occhi, ragazzo, e credi solo a quel che vedi dentro;
stringi i pugni, ragazzo, non lasciargliela vinta neanche un momento.
.....
Sogna, ragazzo, sogna quando sale il vento nelle vie del cuore,
quando un uomo vive per le sue parole, o non vive più;
sogna, ragazzo sogna, non cambiare un verso della tua canzone,
non fermarti tu...
Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre
perché hai già vinto, lo giuro, e non ti possono fare più niente.
Passa ogni tanto la mano su un viso di donna, passaci le dita;
nessun regno è più grande di questa piccola cosa che è la vita.

E la vita è così forte che attraversa i muri senza farsi vedere.
La vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare.
La vita è così grande che quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire.
Sogna, ragazzo sogna, quando lei si volta, quando lei non torna,
quando il solo passo che fermava il cuore non lo senti più.
Sogna, ragazzo, sogna, passeranno i giorni, passerà l'amore,
passeran le notti, finirà il dolore e sarai sempre tu ...
.....
Sogna, ragazzo, sogna, ti ho lasciato un foglio sulla scrivania,
manca solo un verso a quella poesia…puoi finirla tu.

15.2.09

LA STRADA









(The Road)
AUTORE McCarthy, Cormac
EDITORE Einaudi
ANNO 2007

Un uomo e il suo bambino di nove anni viaggiano in uno scenario post-apocalittico, scampati ad un imprecisato disastro planetario, lungo i territori di un paese innominato che, pur se geograficamente irriconoscibile per il velo di fuliggine e la coltre di cenere che ricopre tutto, è identificabile con gli Stati Uniti.
Tentano di spostarsi da est ad ovest, confondendosi spesso perché il sole è oscurato, e da nord a sud, scacciati dal clima che si fa progressivamente più rigido, fiduciosi che il mare possa offrire loro qualche estrema risorsa introvabile altrove.
Laceri, malandati e lerci, avanzano faticosamente lungo la strada, come appestati in pellegrinaggio verso un santuario di redenzione, spingendo un carrello scassato in cui hanno accumulato nel tempo tutti i loro miseri beni: coperte sudice, cerate per le intemperie, qualche scatoletta di cibo sfuggita a precedenti saccheggi dei razziatori di negozi e supermercati, un giocattolo del bambino dimenticato sul fondo.
L’umanità è rimasta decimata dall’impatto devastante col fuoco, che ha divorato tutto, e i pochi sopravvissuti affrontano una lotta impari contro carestia, malattie e intemperie: un’espiazione quotidiana alla colpa di continuare ad esistere.
Gli unici esseri viventi nei quali ci si possa malauguratamente imbattere e dai quali è vitale non farsi sorprendere sono i “cattivi”, coloro che fanno della morte altrui la propria sopravvivenza, efferati assassini, barbari sanguinari continuamente alla ricerca di carne umana di cui nutrirsi. Di “buoni” non se ne vedono quasi: se ne stanno nascosti o sono finiti divorati dagli altri.
L’uomo e il bambino viaggiano in perenne stato d’allarme, pronti a fuggire e nascondersi al minimo segnale di presenza umana. La paura è una costante delle veglie e del sonno e la consapevolezza continua di poter morire da un momento all’altro non fa che alimentare l’invidia per chi è già morto.
- Ce ne sono tanti di questi cattivi! - Dice il bambino. - Noi invece siamo i buoni, vero papà?-
- Sì noi siamo i buoni. -
- E lo saremo sempre? –
- Sì, lo saremo sempre. - Promette il padre, osservando con strazio il corpicino scheletrito del figlio che non ha mai conosciuto altra realtà che quella.
Non gli racconta che il diritto alla sopravvivenza spetta ormai solo ai più spietati e che, se non vorranno fare una brutta fine anche loro, dovranno adattarsi a nuove leggi primitive per difendere se stessi e i loro pochi averi.
Il bene più prezioso che si portano dietro è una rivoltella con un solo colpo residuo in canna. Il padre ha mostrato al bambino come rivolgerla contro se stesso per salvarsi in caso di pericolo estremo.
Dovrà tenersi pronto anch’egli ad usarla contro il figlio in caso d’emergenza, ma lo tormenta il dubbio se ci sia davvero in lui un essere simile, capace al momento buono di risolversi a questo.
I due si sono ormai adattati ad una condizione subumana, in cui la morte non sembra più il male peggiore. Pezzenti che percorrono un mondo senza più stagioni, sfruttato e saccheggiato in ogni suo angolo, in cui restano solo detriti, rottami e macerie, alberi scheletriti e cadaveri mummificati, assistendo al pietoso controspettacolo delle cose che cessano di esistere, costretti ad un viaggio a vuoto, senza meta né progetto alcuno, come criceti su una ruota che gira.
In una desolazione e dolore perenne, con le poche energie sfruttate fino all’inverosimile e nell’obbligo funesto di provvedere alla loro sopravvivenza per guadagnare un giorno in più, resistono alla seduzione di una misericordiosa morte, continuando a lottare per un’opportunità di vita in un ipotetico futuro, pur nella mancanza totale di segnali che possano offrire uno spiraglio di speranza.
Unico elemento che dà ragione a tanto sacrificio è l’amore inalienabile che li lega, il senso di protezione che si ispirano vicendevolmente e l’alleanza incrollabile instaurata fra loro. Non potrebbero farcela se ognuno non avesse l’altro per cui lottare.
Si giunge alla fine della lettura affranti e stanchi. Stanchi di una stanchezza, oltre che morale, fisica, perché McCarthy ci prende per i capelli e ci trascina a forza per la sua strada, ci spinge e ci strattona, ci fa cadere e rialzare, scappare, ansimare per il terrore, tossire, pregare, bestemmiare e rimanere senza parole…
Un romanzo di grande impatto emotivo, ben tradotto da Martina Testa, la cui lettura non può non lasciare una cicatrice. Scritto magistralmente in uno stile teso, secco ed efficace da uno scrittore potente, che non fa sconti né concessioni, ma che riesce a riempirci di tenerezza col garbo e l’innocenza di un bambino che ci piacerebbe incontrare in qualche luogo, ma speriamo non ci stia veramente precedendo sulla strada del futuro.

CHE TU SIA PER ME IL COLTELLO

AUTORE Grossman, David
EDITORE Mondadori
ANNO PUBBLICAZIONE 1999

Queste pagine provano come sia possibile vivere proprio di ciò che non si ha e ci fanno scoprire come, per ogni cosa che ci è impedita, sia possibile inventarne tante altre di cui non ci credevamo capaci.

Durante un raduno scolastico Yair nota per caso Myriam: qualcosa nel suo atteggiamento lo colpisce e lo seduce. I suoi gesti gli rivelano una donna indifesa e ricettiva. Tornato a casa non riesce a togliersela dalla mente, ha la sensazione d’averla cercata per anni, gli sembra di avvertire un principio di disgelo che preannuncia l’innamoramento. Che fare? Yair è un raccoglitore di libri rari, lei è insegnante al liceo locale, entrambi sono sposati e hanno un bimbo piccolo da accudire; la possibilità che lei possa accettare una relazione con chicchessia sembra piuttosto improbabile. Ma Yair è un uomo volitivo, ha risorse intellettuali da vendere e matura presto un nuovo progetto. Tentare con Myriam un tipo di relazione come lui stesso non ne ha mai avute prima: una relazione a distanza, esclusivamente epistolare, che sia condotta da entrambi col fermo principio di mai concedersi contatti fisici, “niente corpo né carne”, e la decisione di affidare alla casualità il compito sgradito di mettere la parola fine alla vicenda.
Non sarà facile convincere Myriam a dare risposta alle sue lettere; lui la sfida ad un gioco da giocarsi interamente al di fuori di qualsiasi realtà, dove potranno preservare più a lungo l’incanto e la bellezza di un legame costruito solo sulle parole e sul sogno, “gocce che stillano dalla glandola della solitudine”.
Rinunciando a qualsiasi contatto epidermico per non farsi contaminare dalle “molecole piccole e sudate del quotidiano”, le propone questa relazione come oasi di salvezza dalle schifezze del mondo circostante e la invita ad esplorare con lui un luogo dell’amore dove si possa arrivare a non capire più chi è l’uomo e chi la donna perché in esso sarà offerta la possibilità primordiale di essere se stessi e contemporaneamente anche l’altro. Myriam gli apre l’anima lentamente e col dolore di incominciare a capirsi mentre si racconta. Arrivano a scriversi anche più volte al giorno, per mesi, di notte, in ogni momento libero, trasformando i liquori corporei in inchiostro, aggrappandosi alla penna con la forza di un abbraccio che non possono concedersi, tutto diventa scrivere anche quando non c’è più penna né foglio, perché si scrive anche solo con la mente, quando si è ossessionati dall’altro. Con grande coraggio entrambi mettono in atto i loro giochi di seduzione, Yair rivelando aspetti di se stesso scomodi e imbarazzanti che potrebbero mettere in fuga Myriam piuttosto che attirarla a sé, chiedendole di essere per lui il coltello, affilato ma misericordioso, che farà stillare da lui la verità. Myriam, anziché ritrarsi, è sempre più ammaliata e vorrebbe sciogliere il loro patto e potersi finalmente incontrare.
David Grossman, scrittore israeliano di grande sensibilità analitica, si destreggia abilmente nella psicologia maschile e femminile, delineando due personaggi che, al di là della simpatia o dell’antipatia che ci possono suscitare, nelle loro poliedriche sfaccettature risultano veri pur nei loro comportamenti a volte assurdi, fino all’epilogo nel quale, molto onestamente, lo scrittore farà autocritica maschile sulla condotta finale di Yair, confermando, una volta di più, l’antico cliché secondo cui, se la donna è disponibile ad amare e a giocarsi tutto per i propri sentimenti, l’uomo cerca più che altro di farsi amare e celebrare da lei ma è assai poco propenso a sacrificare per lei qualcosa di sé. Anzi, ottenuto lo scopo, spesso perde l’interesse e cerca di ritrarsi dalla storia con la stessa determinazione con cui vi era entrato. La circolarità del comportamento maschile lo riconduce ogni volta al punto di partenza, quasi una coazione a ripetere all’infinito gli stessi sbagli, mentre gli slanci ascensionali che la donna compie nell’impegno che offre alla relazione, la portano a subire un’evoluzione positiva anche nel fallimento.
Una lettura che piacerà soprattutto a coloro che, nell’era delle chat e della posta elettronica, abbiano già sperimentato la ”corrispondenza d’amorosi sensi” che si può instaurare fra due persone nell’approccio virtuale e, prima di riuscire a vedersi e toccarsi, abbiano assaporato il gusto dolce del desiderio e dell’attesa di un evento che spesso resterà migliore del suo concretizzarsi.

DOMANI NELLA BATTAGLIA PENSA A ME


AUTORE Marias, Javier
EDITORE Einaudi - i coralli
ANNO 1998

Per un pubblico raffinato ed esigente che cerchi, oltre alla storia, una letteratura di alto livello

Che fare quando una bella donna invita a casa sua per cena un uomo da poco conosciuto, gli lascia intendere quale sarebbe il modo migliore di concludere la serata e non la smontano né le telefonate del marito che la chiama dal suo viaggio di lavoro a Londra, né i capricci del suo bimbo di due anni che non vuole saperne di lasciarsi mettere a nanna, quasi presagendo l’evoluzione degli avvenimenti?
E ancor più che fare quando poi questa bella donna, mentre ancora sono in atto i preliminari amorosi, inizia a sentirsi male e nel giro di pochi istanti avrà la pessima idea di morire?
Se lo chiede ripetutamente Victor la notte in cui questo fatto accade proprio a lui, obbligandolo ad affrontare l’oscura circostanza che tinge all’improvviso di nero la sua vita, investendolo di una responsabilità mai assunta prima: quella di dover prendere una decisione, fra le tante possibili, consapevole che la propria scelta potrà condizionare in modo irreversibile la vita di altre persone.
Victor riflette, valutando le soluzioni più opportune per trarsi d’impaccio con il minor danno possibile per gli altri ed evitando nel contempo il rischio di trasformarsi da semplice testimone ad un possibile sospettato. Abbandonare in fretta la casa con la morta nel letto e il bimbo innocentemente addormentato nella sua cameretta, oppure chiamare un medico, dare l’allarme ai vicini di casa e dover quindi spiegare la sua presenza lì in piena notte, affrontando le proprie responsabilità e le probabili conseguenze derivanti? Mentre si aggira nell’appartamento buio e silenzioso col proposito di eliminare tutte le tracce di un delitto non commesso, si sente via via più coinvolto nella vita di questa mancata amante.
Deciderà sul momento di dileguarsi senza lasciare tracce, ma nei giorni a seguire avrà un ripensamento e metterà in atto un piano per reintrodursi senza destare sospetti nell’ambiente di colei che, essendo morta prima di lasciarsi conoscere, gli ha impresso un segno ancor più profondo che se fosse vissuta e sollevato in lui interrogativi che premono per avere risposta.
Avrà così occasione di venire a conoscenza di situazioni famigliari morbose e imprevedibili, in cui ognuno è l’ingannatore di qualcuno o, se non di altri, di se stesso e, a sua volta, subisce inganni dagli altri.
L’abilità descrittiva di quest’autore ci cala immediatamente nell’atmosfera di aspettativa e turbamento che apre la storia, con pagine di narrazione indimenticabili, descritte con una molteplicità di dettagli da farci percepire con anima e corpo le stesse emozioni del protagonista. In un ritmo narrativo lento e rilassato, sapori, suoni, silenzi e odori arrivano ai nostri sensi magistralmente descritti da Marias con perfetta nitidezza.
Il romanzo, narrato in prima persona, è ambientato nella moderna Madrid, descritta in modo riconoscibile nel suo profilo urbanistico, in cui strade, palazzi e ristoranti sono facilmente identificabili e fanno da imponente cornice alla storia principale e alle piccole storie minori in essa incuneate.
Marias è uno scrittore avvincente e ricercato, capace di architettare situazioni impensabili e sapendole raccontare in modo credibile. Non tralascia occasione per sedurre il lettore, solleticandone in modo elegante le curiosità, facendolo sentire suo complice nei giri notturni, nello spiare non visto, nell’intrufolarsi senza riserbo nelle emozioni e nei pudori delle persone ignare, nello scavare nell’intimità come un predatore dell’anima, trasmettendoci il messaggio inequivocabile che la vita di tutti è dominata dall’inganno.
E’ una lettura impegnativa e intrigante, che merita senz’altro il piccolo sforzo che ci richiede per superare i pochi passaggi un po’ prolissi, unico, modesto peccato veniale di questo eccellente autore.
Marias non ha fatto della sintesi il suo modello stilistico, non risparmia mai sulle pagine; non è un ruscello che precipita a valle veloce, ma un lento fiume che scorre in pianura e ci concede di placidamente navigare ammirando i panorami circostanti, senza tenere il cannocchiale puntato verso il luogo di destinazione.

MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO


AUTORE Foer Jonathan Safran
EDITORE Guanda
ANNO PUBBLICAZIONE 2005

Nulla di ciò che si legge in queste pagine è scontato; Foer è il geniale inventore di situazioni e personaggi finora inediti dimostrandosi un autore veramente innovativo.

E’ la storia piuttosto fantastica di un bambino newyorchese di nove anni, Oskar, che si trova a fare i conti con l’inaspettata tragedia del padre perito nel disastro che ha raso al suolo le Twin Towers quel triste mattino del settembre 2001. Rispedito a casa da scuola senza ancora sapere cosa sia realmente successo, ascolta dalla segreteria telefonica gli inquietanti messaggi lasciati del papà alla famiglia nei minuti che precedono la tragedia e che aprono per lui l’inquietante interrogativo su come siano stati gli ultimi momenti vissuti dal padre.
Oskar è un ragazzino sveglio, geniale e spiritoso, ma allo stesso tempo candido, tenero, bisognoso di attenzioni, e se dapprima spera che il padre possa anche essersi salvato, visto che al funerale viene interrata una bara vuota, col tempo perde speranza e finisce per cadere in uno stato depressivo.
Non riesce a rassegnarsi ad una realtà in cui l’assenza del padre diventa presenza, una tortura che non gli consente di riprendere la sua vita regolare.
Esce da casa a qualsiasi ora, trascura la scuola sfuggendo abilmente alle domande di una mamma distratta dal dolore, vigilato unicamente dall’affetto costante della nonna sul cui personaggio s’impernia un racconto collaterale, altrettanto avvincente del primo, che si sviluppa attraverso continui flash-back e che, prendendo inizio dalla seconda guerra mondiale in Europa, arriva a confluire nella storia attuale, per concluderla positivamente.
Oskar, aiutato da un buon senso e da un’intraprendenza incredibili per la sua età, inizia un pellegrinaggio fra tutti gli abitanti di New York il cui cognome è Black, impegnandosi nella ricerca dell’ipotetico proprietario di una misteriosa chiave rinvenuta per caso fra le cose del padre. E’ convinto che si tratti della chiave che aprirà la porta della rivelazione facendo luce sull’enigma che la fine del padre ha aperto e fornirà le risposte alle domande che gli premono dentro e che per la sua giovane età non sa nemmeno come formulare in concreto.
Il percorso intrapreso da questo ragazzino, candido e sensibilissimo, non privo di furbizia e animato da spiritosa intraprendenza, nient’altro è se non l’inconscia ricerca di guarigione che, infatti, avverrà gradualmente, guidandolo attraverso un’inconsapevole elaborazione del lutto cui lo porteranno i singolari personaggi che incontrerà per la città di New York, tutti eccentrici e generosi, descritti con fertile fantasia dall’autore, ognuno con la propria storia dolorosa di perdita o di lutto con cui Oskar si confronterà, imparando come ognuno cerca di lenire le ferite con strategia personale, inventandosi un sistema proprio di adattamento e consolazione.
Una galleria di personaggi, quella che Oskar conosce, tutti a loro modo positivi, anche se in certi casi un po’ estremizzati.
L’abbiamo detto da subito: è una storia fantastica, delicata, una medicina onirica per chiunque desideri un po’ di sollievo dalle tragedie insopportabili, innominabili e inspiegabili che tutti i giorni colpiscono l’umanità a tradimento.
Perché leggerlo: il libro è ben scritto, originale e ben strutturato con numerosi passaggi temporali fra il presente e il passato dei nonni di Oskar che sono la struttura portante dell’intero racconto e tengono alta l’attenzione del lettore. Contiene molte idee inedite e piacerà soprattutto a coloro che ancora non hanno dimenticato completamente il bambino che un tempo sono stati.
Non piacerà a coloro che vogliono una storia a tutti i costi credibile, che si sviluppi con logica e linearità e che dalla lettura esigono quella verosimiglianza e concretezza che non li faccia troppo scartare dal loro bisogno di contare sempre su punti fermi.

NORWEGIAN WOOD e ...il giovane Holden





(Tokyo Blues)
AUTORE Murakami, Haruki
EDITORE Einaudi
ANNO 2006

E’ sempre più difficile orientarsi fra gli oltre 600.000 titoli proposti! Però anche voi siete stufi di certo fast food editoriale che ci strizza l’occhio dai banchi delle librerie, col suo gusto plastificato, insipido o pesante da digerire, spesso dato in pasto anche ai nostri ragazzi, e avete nostalgia di vecchi sapori, di cibo cucinato a fuoco lento, raffinatamente servito, da gustare con calma e su cui meditare. Perché allora non andare a ripescare qualcosa negli scaffali del passato?
Segnalo due romanzi di formazione che la polvere del tempo non ha reso opachi: Il giovane Holden, scritto da Salinger nel ’51, un classico ancora godibilissimo, e il più recente Norwegian Wood, già edito da Feltrinelli alla fine degli anni ’80 col titolo Tokyo Blues e che Einaudi ha avuto la felice idea di ripubblicare, in omaggio ai palati fini, ribattezzandolo col nuovo titolo scippato al repertorio dei Beatles.
Cito non a caso questi due romanzi assieme perché qualcuno ha attribuito loro una sorta di gemellaggio letterario. Entrambi gli autori trattano, infatti, il tema comune della delicata età di passaggio, scrutando nei mali endemici che l’adolescenza reca in sé: il senso d’inadeguatezza e d’amara solitudine che accompagnano questo periodo critico in cui l’incanto -o il disincanto- di sperimentare la propria autonomia si scontra con le difficoltà ad omologarsi ai modelli adulti imposti dalla società.
Il sedicenne Holden e Toru, diciannovenne protagonista di Norwegian Wood, hanno in comune la vita di collegio, gli studi mal tollerati, la passione per la musica vissuta come elemento identificante di ogni passaggio generazionale. Condividono persino certe letture, sono capaci in un attimo di annegare nella malinconia e un momento dopo sentirsi esplodere di gioia. Hanno entrambi lo spessore intellettuale necessario per assurgere a dignità letteraria, la cui qualità non è certificata da ciò che fanno, ma piuttosto da ciò che pensano e dicono (o preferiscono non dire).
Si esprimono comunque secondo modelli opposti, come il dritto e il rovescio di una stessa medaglia. Se sono gemelli, non sembrano certo omozigoti, anzi a ben guardare sono proprio figli di genitori diversi: Holden è il rampollo di un’America ottimista e carismatica che regge la torcia di custode della libertà dopo le vittorie ottenute nella seconda guerra mondiale, Toru è nato in un Giappone che invece la guerra l’ha persa, non si è ancora emancipato dalle tradizioni millenarie che lo ancorano al passato e solo verso la fine degli anni ’60, grazie al boom economico, deve ubbidire all’imperativo urgente di occidentalizzarsi e porgere la mano a chi gli ha sganciato la bomba atomica. Holden, pur essendo più giovane, ha il vantaggio delle proprie certezze, che gli consentono atteggiamenti impulsivi e ribelli a differenza di Toru che, oltre a fare i conti con le normali difficoltà di crescita, deve saltare l’ostacolo del gap evolutivo che lo distanzia dai coetanei americani. Se Holden non si preoccupa di mostrarsi spavaldo, disfattista e caustico (persino verso se stesso) grazie all’impunità concessagli dalla sua posizione di ragazzo di buona famiglia, per il timido Toru, che si sente inferiore, pur non essendolo, sono doverose la prudenza e la riservatezza, qualità già intrinseche alla natura orientale. Egli lascia spesso galleggiare le sue opinioni nella palude delle possibilità, evitando di ferire le persone, di assumere posizioni radicali, attendendo che alla fine siano le circostanze a decidere per lui. Se Holden non smette un attimo di “vomitare” sentenze, affermando e contraddicendo tutto (“vomito” è uno dei termini più frequenti nel suo vocabolario), a Toru bisogna invece cavare le parole dalla gola chiusa, come cercheranno di fare le due ragazze da cui è affettivamente attratto, ma fra la cui scelta non si sa decidere.
Tenterà per prima la sensibile Naoko, già fidanzata al suo migliore amico, purtroppo finito suicida, che lo magnetizza con una bellezza, eleganza e raffinatezza senza pari: una ragazza all’antica, quasi una geisha che sa sedurlo con sensuale femminilità, ma allo stesso tempo sembra volerlo imprigionare in un immobilismo esistenziale.
Poi l’altra, Midori, sua compagna d’università, moderna ed emancipata, che tenterà di far breccia nelle sue resistenze e trascinarlo in un mondo più concreto e prosaico, sì, ma sicuramente più virile e più adulto. Fra l’una e l’altra ci sarà per Toru un brevissimo interludio, magicamente vissuto con un’affascinante quarantenne, grazie alla cui esperienza e maturità egli troverà la forza di staccarsi dal passato e fare il primo passo verso la propria inevitabile crescita.
Murakami si è dedicato alla stesura di questo libro molti anni dopo gli avvenimenti, quando riascoltando per caso una vecchia canzone (Norwegian Wood, appunto), ha sentito riaffiorare i ricordi dal mare della coscienza che, come punte di iceberg, tenevano celato sotto la superficie un patrimonio d’immagini, parole, emozioni che sembrava disperso.
L’andamento è lento, di quella lentezza con cui è tessuta la vita in certi periodi, quando il tempo sembra non passare mai, si vive nell’attesa di qualcosa, una telefonata, un incontro, anche solo un piccolo imprevisto che possa incrinare la noia e la ripetitività. Pur con delicatezza l’autore, cui la memoria si va riattivando nello scrivere, ci racconta anche i suoi ricordi più scomodi: il disagio per i propri imbarazzi di fronte ai coetanei, la paura di rimanere isolati per convinzioni e opinioni che però non si osano difendere, l’abuso d’alcool per disincagliarsi dagli ostacoli che la mente appone, gli insoddisfatti approcci alla sessualità, prima di capire che il sesso, in ogni sua espressione, può perdere attrattiva se isolato dalle emozioni. Ci colpiscono anche gli episodi di suicidio da cui entrambi i nostri protagonisti restano traumatizzati. Se però il suicidio è trattato da Salinger come via di fuga, estrema trasgressione, quasi un dispetto fatto al mondo, nella realtà di Toru questo assume significato di ideale interiore, perché per la cultura giapponese la vita non è come per noi un dono divino che solo Dio può toglierci, ma un bene privato e personale, a cui poter rinunciare liberamente se altri valori si impongono. Murakami ci trasmette il concetto, degno di considerazione, che la vita e la morte non sono opposte né contraddittorie, ma elementi complementari della stessa unicità.
Due romanzi che lasciano il segno, in cui il desiderio di capire l’altro dal profondo è sempre dominante, conferendo densità a tutto ciò che si legge, dalle implacabili elucubrazioni che Il giovane Holden ci somministra senza pausa, fino ai lunghi silenzi carichi di significato che incontriamo in Norwegian Wood.
Adatti anche a quegli adolescenti che non stanno “tre metri sopra il cielo” e non hanno “voglia di te” e non “cercano Niki disperatamente”. Da conservare fra i nostri libri per almeno altri cinquant’anni.
E’ doveroso un ringraziamento all’impeccabile Giorgio Amitrano che sempre sa impreziosire le impegnative traduzioni dal giapponese con doti proprie di fluidità, sensibilità e lirismo. Brava anche Adriana Motti che è riuscita a trasmetterci con grande spontaneità il blasfemo e corrosivo linguaggio di Holden, riuscendo a farci divertire senza mai oltrepassare la misura.

IL MANDOLINO DEL CAPITANO CORELLI




AUTORE de Bernières, Louis
EDITORE Guanda
ANNO PUBBLICAZIONE 2001

Se meditate un giro per le isole greche, non dimenticatevi della bella Cefalonia. La s’incontra lungo le limpide acque dello Ionio, a sud di Corfù, incastonata fra le altrettanto belle Itaca e Lefkada. Merita una sosta. E’ un piccolo gioiello con meravigliose spiagge bianchissime, accogliente, festosa e verdeggiante. Mai si immaginerebbe, visitandola oggi, che abbia potuto essere teatro di una pagina di storia italiana fra le più sconvolgenti dell’ultima guerra, non fosse che per un piccolo monumento commemorativo eretto sulla piazza del suo capoluogo Argostoli.
Di questo evento non si è mai saputo molto perché i sopravvissuti che lo hanno potuto o voluto raccontare erano rimasti in pochi e le testimonianze appaiono ancor oggi fra loro contraddittorie. Per di più sono accadimenti che si preferirebbe lasciar scivolare via dalla memoria collettiva per il male che continua a fare il ricordarli. Louis de Bernières racconta questa storia di guerra e d’amore con autentico lirismo, ma senza concessioni ai facili sentimentalismi con cui spesso sono infarciti i racconti che parlano di eroi, riparando con il suo contributo alle lacune dovute alle omissioni e falsificazioni volontariamente operate per glissare sulle responsabilità etiche, civili e umane attribuibili all’Italia nel corso dell’ultimo conflitto mondiale.
E per la crudezza e il realismo con cui gli eventi sono stati descritti, sarà possibile che riesca a strapparvi una lacrima anche se opporrete strenua resistenza.
Il 1 maggio 1941, Cefalonia al pari delle altre isole ioniche, è invasa dai nazi-fascisti decisi, secondo l’ordine di Mussolini, a spezzare le reni alla Grecia. Gli isolani, abituati alla presenza italiana per quasi 7 secoli di pacifica dominazione veneziana, pur traditi nell’antica amicizia, si sentono il dovere di soccorrere, più che di far loro la dovuta resistenza, gli invasori italiani, male in arnese e male addestrati, più versati nel gioco del pallone che abili nell’imbracciare un fucile, e nei quali si sta insinuando il dubbio di star combattendo dalla parte sbagliata. Essi vengono subito accolti amichevolmente per l’esuberanza e la giovialità con cui si propongono, in antitesi al freddo militarismo ostentato invece dai Tedeschi. Instaurandosi bonari rapporti fra la popolazione locale e gli occupanti, si stabilisce fra loro anche una stretta alleanza per la sopravvivenza quotidiana alla fame, alle malattie e alle privazioni di una guerra che, oltremare, si trascina lenta e logorante.
Qui si inserisce la piacevole storia del dottor Iannis e sua figlia Pelagia, costretti ad ospitare in casa loro il Capitano Corelli, appartenente alla Divisione Acqui che ha preso il comando dell’isola, e che più che un militare si dimostra un affabile musicista che mai si separerebbe dal suo prezioso mandolino. Superati i primi malumori, il rapporto fra i tre si imposta su sentimenti di lealtà e rispetto, amicizia e amore, solidarietà e sacrificio. Una vita semplice in cui tutti gli abitanti si conoscono e si aiutano, ognuno ritrovando, nell’emergenza, le proprie sorgenti di coraggio e generosità. Una vita che si consola con piccole gratificazioni come le partite di pallone organizzate sulla spiaggia, i festeggiamenti dei santi patroni, le serenate e i corteggiamenti sotto gli ulivi, a cui presto si abituano tutti, occupati e invasori, nel soave e malinconico scorrere del tempo, lontano dai rombi di guerra. Questo clima quasi idilliaco è purtroppo sconvolto quando, all’alba del fatidico 8 settembre 1943, il generale Badoglio firma l'armistizio e le truppe italiane dislocate nei territori occupati si ritrovano gomito a gomito con gli ex alleati Tedeschi trasformati di colpo nel nemico che intima loro l’immediata resa delle armi. Ma gli Italiani, rimasti allo sbando senza ordini precisi, speranzosi di farla finita al più presto e rientrare in patria, anziché costituirsi prigionieri, si oppongono alla nuova offensiva tedesca tentando di ostacolare lo sbarco dei rinforzi e, nell’eroico tentativo, subiscono un massacro. Benché il numero preciso sia tuttora incerto, si teme che nella sola Cefalonia i soldati italiani trucidati per rappresaglia dai Tedeschi siano stati oltre 4000, tutti appartenenti alla Divisione Acqui, di cui il Capitano Corelli rimarrà per miracolo unico superstite.
Mentre per tutta l’isola ardono a centinaia le pire dei cadaveri che i Tedeschi hanno fretta di far sparire, il Capitano Corelli verrà aiutato nottetempo dai Greci ad abbandonare l’isola, lasciandovi in pegno il suo adorato mandolino, con la promessa di tornare a riprenderselo a guerra ultimata.
L’autore, inglese anche se il nome potrebbe indurre all’equivoco, si mostra molto ben documentato sui fatti che narra, descrivendo personaggi e accadimenti con rigore storico. Il romanzo è comunque scritto in uno stile lieve e piacevole: idealismo e realismo si mescolano con armonia, Storia e invenzione si fondono così sapientemente da arrivare a confondere il lettore stesso, che potrà facilmente giudicare incredibile la verità storica per i drammatici vertici che raggiunge e ritenere cronaca la parte romanzata. Sicché, dovesse prima o poi sbarcare a Cefalonia, gli verrà istintivo di mettersi alla ricerca dei luoghi e dei protagonisti che hanno dato vita e colore a queste belle pagine, o, visto il tempo ormai trascorso, di posare idealmente un fiore sulle loro tombe invisibili.
Un libro indimenticabile, un romanzo istruttivo che ci rende migliori, da leggere e rileggere e, perché no, raccomandare ad altri come capita a me in queste poche righe, sicura di far centro.

LE CORREZIONI


AUTORE Franzen, Jonathan
EDITORE Einaudi
ANNO 2002

Jonathan Franzen osserva i suoi personaggi con occhio beffardo e a momenti spietato, riuscendo a cogliere di loro proprio quello che invece essi preferirebbero nascondere o, meglio ancora, fingere di non sapere.

Franzen è un giovane scrittore che sfrutta il suo talento per tessere un ritratto sociale all’acido muriatico, senza risparmiarsi argomenti ingombranti come l’incapacità di sacrificare i propri principi davanti agli imperativi della vita, il senso d’inadeguatezza di fronte al mondo, l’amor proprio ferito per le delusioni arrecate e subite, i bisogni affettivi delusi, la vergogna per la privacy violata, i compromessi inevitabili con se stessi e col nemico nei momenti estremi, le umiliazioni insopportabili dell’avanzare dell’età e delle malattie. Non lasciamoci spaventare dalle 600 pagine di lettura: il romanzo è interamente godibile per i lettori navigati che apprezzino la letteratura americana delle nuove leve, abbiano un background culturale di notevole spessore e ancor meglio se anglofoni. Il libro è consigliabile leggerlo speditamente, non i dieci minuti prima di addormentarsi la sera: si potrebbe rischiare di perdere il filo e quindi la fluidità del racconto, che merita invece la giusta attenzione, ripagandoci ampiamente delle energie impiegate.
Meglio che attendano invece i lettori alle prime armi perché questo romanzo è impegnativo per le proporzioni e per gli argomenti trattati: si rischierebbe di affibbiare una bocciatura motivata solo dai propri limiti.
Ne “ Le Correzioni” Franzen ci presenta una famiglia middle-class, i Lambert, inserita in uno spaccato di vita americana che mette in evidenza il gap culturale fra la realtà disordinata e trasgressiva delle grandi città dell’East cost, come New Nork e Philadelphia, e il persistente provincialismo benpensante del Mid-west, in cui prevalgono ancora i vecchi principi di un puritanesimo radicale, che da sempre ha sfornato i personaggi più farisaici o più trasgressivi della storia americana.
Alfred ed Enid si sono sposati alla fine degli anni ‘50 senza nutrire eccessiva stima reciproca ma per ragioni futili o di comodo: Alfred, intelligente e ligio al dovere fino al parossismo, è convinto che Enid sia in fondo una sciocca, mentre Enid considera Alfred noioso e intransigente ma lo sposa perché sa ballare e ha un ottimo stipendio da ingegnere, illudendosi che col tempo riuscirà a cambiarlo.
Entrambi vittime di principi rigidi e superati, e condannati dall’obbligo sociale di mantenere una facciata che li renda integrati nella comunità cittadina e simili in tutto alle altre famiglie più agiate di loro, i due coniugi precipitano presto in una realtà domestica grigia ed opprimente che non risparmierà neppure i loro tre figlioletti, allevati secondo imperativi morali asfissianti e ossessivi, obbligati a contegni da manuale, sempre sottoposti all’obbligo di obbedienza sotto minaccia di sanzioni o castighi corporali.
Il figlio maggiore Gary, il più ambizioso, ostinato ed integrato fra i tre, eredita il carattere intransigente del padre, ma la frustrazione e le forti conflittualità che ne derivano, lo esporranno pericolosamente ai richiami dell’alcool e ad una depressione incombente che egli vive come vergogna e si sforza con ogni mezzo di mimetizzare sotto altri segni.
Il secondogenito, Chip, il più ribelle e brillante fra i due maschi, è quello che maggiormente ha sofferto del rigore paterno e, nonostante l’evidente superiorità intellettuale, è inaffidabile, costantemente squattrinato e disattenderà tutte le attese della famiglia, accumulando fallimenti ed aggravandoli ad ogni tentativo di recupero.
Vittima del moralismo e dei condizionamenti, la figlia minore Denise, apparentemente la più assoggettata all’autorità familiare, si abitua ad esiliarsi dalle proprie emozioni e cresce in una sorta di confusione morale che la renderà incerta persino della propria identità sessuale.
Nessuno di loro alla fine sarà ciò che i genitori avrebbero desiderato o essi stessi avrebbero voluto essere.
Le correzioni sono dunque quelle che ognuno riceve o cerca di infliggere agli altri; i piccoli o grandi cambi di rotta necessari per aggiustare quello che non funziona, le correzioni molte volte impossibili da dare a se stessi e alla propria ineluttabile esistenza.

Pagine memorabili quelle in cui Franzen affronta la malattia senile del padre-marito tirannico ma in fondo amato che, di fronte allo sgomento impotente della famiglia, metterà in ginocchio questo mastodonte di moralità, smantellandolo crudelmente pezzo per pezzo, risparmiando di lui solo un senso della dignità incrollabile fino alla fine.

ISTANBUL




Autore Pamuk, Orhan

Editore Einaudi

Anno 2006

Un’avvincente monografia su Istanbul (per favore, pronunciamolo correttamente con l’accento sulla a), vera chicca editoriale, impreziosita da una generosa raccolta di stupende foto d’epoca, con cui l’autore ci illustra l’anima triste della città e la malinconia e l’irrequietezza da lui provati nei primi vent’anni della sua vita in un parallelismo quasi simbiotico.

La narrazione, avvalendosi di numerose descrizioni geografiche, cronache di eventi storici, resoconti giornalistici e il corale ammirato giudizio di intellettuali giunti in visita da tutta Europa, è documentata da centinaia di foto d’autore pescate dagli archivi cittadini o dall’album di famiglia, e va ad intrecciarsi con la nostalgica rievocazione dei ricordi d’infanzia dell’autore, cresciuto in un ambiente agiato e borghese che gli ha fornito una comoda posizione di osservatore privilegiato.
Nei primi capitoli, Pamuk cerca di farci comprendere come mai questa città babilonica, multirazziale e pluriculturale, centro del glorioso impero bizantino e contraltare di Roma, poi califfato dei nababbi ottomani che vi regnarono sfarzosamente fino alla prima guerra mondiale, sia entrata in profonda crisi d’identità quando, scalzata dal suo ruolo millenario di capitale morale e politica e inglobata nel processo di nazionalizzazione turco, per pagare il tributo dovuto alla modernizzazione, ha visto mutare in breve tempo la sua fisionomia. Dispersa l’aristocrazia ottomana, aboliti la poligamia e gli harem, epurato il tessuto sociale dalle minoranze etniche, europeizzato l’abbigliamento, unificati la lingua e la religione e adottato l’alfabeto occidentale, si è trasformata in una città in bianco e nero in cui aleggia un sentimento collettivo di tristezza e perdita irreversibili.
Attraverso la sensibilità visiva di Pamuk bambino e poi adolescente, si va a zonzo come viaggiatori immaginari nel presente e nel passato di Istanbul, per strade sconnesse, taverne e venditori ambulanti, fra tram sferraglianti e cani sciolti che rovistano fra le rovine, nel tentativo di comprendere la confusione, l’anarchia e il disordine che regnano in questa città sospesa fra la gloria di un passato ormai chiuso e l’immane sforzo di guardare con umiltà ad occidente, cosciente dei propri limiti economici e culturali.
La magia delle luci notturne, le nebbie che sfumano i contorni dei minareti, la pittoresca fatiscenza di vicoli e strade disseminati di ruderi in fantastico contrasto con la sontuosità dei palazzi principeschi, lo sfarzo delle moschee, l’imponenza delle vestigia bizantine, tutto questo è documentato con aneddoti e istantanee in cui le biografie d’Istanbul e di Pamuk continuano ad incontrarsi e sovrapporsi in chiaroscuri di grande suggestione.
La descrizione degli interni di vita famigliare, tratteggiati nelle abitudini casalinghe, nei vizi, nei comportamenti sociali e nella mentalità benpensante dell’epoca, vi sorprenderanno per la stretta somiglianza con i ricordi che farà affiorare, svelando un legame d’insospettata affinità con i nostri vicini mediterranei.
E non manca lo spettacolo grandioso del Bosforo, con lo sfolgorio incessante delle acque agitate dalle navi in transito, i suoi cieli arruffati dall’aria gelida di neve che spira dal mar Morto e copre tutto di bianco con effetto da fiaba, le antiche costruzioni di legno abbandonate, disseminate sulle rive, che s’incendiano all’improvviso e ardono per ore spandendo scintille nelle notti estive. Folgorato da questi panorami e suggestionato dalla pittura e dal fascino negativo di Utrillo, l’adolescente Pamuk inizia a dipingere Istanbul come fosse a Parigi, in un’ostinata ricerca espressiva, convinto di poter accedere alla propria anima attraverso quella della città.
Verso i vent’anni, una cocente delusione gli farà intuire con chiarezza la sua reale vocazione e, abbandonando le fisime di pittore maledetto, butterà i pennelli per dedicarsi alla scrittura e dimostrandoci che si può dipingere altrettanto bene con le parole.
Una lettura per viaggiatori e sognatori romantici, per i nostalgici del tempo perduto, per gli avidi di conoscenza. E per chi si sente attratto anche dalle cose piccole, trascurate e umili non disdegnando il lato in ombra delle cose. Se ne esce più colti, più consapevoli, quasi stupiti di un incontro che forse sembrava improbabile.

NON LASCIARMI


AUTORE Ishiguro, Kazuo
EDITORE Einaudi
ANNO PUBBLICAZIONE 2006

Una storia già definita “incubo postmoderno” che ci vuole mettere in guardia dagli sbocchi che la nostra civiltà sempre più fredda e calcolatrice va cercando nei progressi della scienza.

La storia inizia a svolgersi in un prestigioso collegio inglese, Hailsham, dove nulla manca della migliore tradizione scolastica britannica: metodi educativi impeccabili, istitutori preparati, attrezzature sportive e spazi comuni ben mantenuti, incoraggiamento a tutte le attività creative e libertà sufficiente perché i bambini non si sentano oppressi e crescano pacificamente in un regime di eguaglianza e democrazia.
La vita si svolge come in tutte le collettività scolastiche che si rispettino con le regole e la consuetudine che rispecchiano la normalità più assoluta. Fra lezioni, attività creative e sport all’aperto, i bambini crescono intrecciando le solite amicizie e rivalità, complotti e alleanze, senza che però venga mai a mancare uno spirito solidale di gruppo che li accompagnerà per tutto il periodo dell’internato.
Ma per quale ragione non rientrano mai a casa, nessuno mai viene a far loro visita se non, di tanto in tanto, una misteriosa signora francese, Madame appunto, come la chiamano loro, che ogni volta sceglie e si porta via i loro migliori disegni o altri lavori artistici per esporli, si suppone, in una fantomatica Galleria?
Chi sono realmente questi ragazzini? Rampolli di agiate famiglie messi in parcheggio in un ambiente privilegiato o solo poveri orfanelli pietosamente presi in cura dalle istituzioni?
Ben presto il lettore incomincerà a porsi questa domanda, la prima delle tante che andranno a seguire, giustamente dubbioso che le cose non stiano proprio come appaiono e che sotto l’apparente normalità si possa nascondere qualcosa di inquietante.
Il sospetto che progressivamente s’insinua nel lettore è trasmesso dagli stessi studenti, prima fra tutti Kathy, la voce narrante, che si fa interprete anche dei dubbi dei compagni con i quali parlotta in segreto, facendo congetture sui possibili concreti significati di termini quali “donatori” e “assistenti” che gli insegnanti pronunciano in modo sibillino ogni volta che i ragazzi rivolgono loro domande dirette sulle loro vite e i loro destini.
Ma persino le domande che i ragazzi possono fare in questa circostanza sono limitate, non avendo essi mai conosciuto altra realtà se non quella circoscritta all’istituto.
Passano gli anni e, usciti dal college, gli studenti di Hailsham si disperdono, smistati a piccoli gruppi in altre comunità tipo casa-famiglia dove sono presi in custodia da studenti più anziani, congedati prima di loro da altri istituti similari sparsi per la Gran Bretagna.
Tre di loro, Tommy e Ruth, nonché la stessa Kathy, si ritrovano insieme ospitati nello stesso Cottage, dove, in attesa di essere avviati alle donazioni o ai corsi d’assistenza, viene loro concesso di familiarizzare con il mondo esterno e di adattarsi a uno stile di vita più reale rispetto a quello del collegio da cui non si erano mai allontanati.
Ancora ignari delle loro origini e incerti sul destino che li sta attendendo, ma ognuno a modo suo deciso almeno a ritardarne l’ineluttabile compimento, i tre amici si godono un periodo sabbatico apparentemente idilliaco, dando origine ad un triangolo amoroso, nel quale Kathy avrà però la peggio e da cui sarà costretta a fuggire. Ormai trentenne e divenuta “assistente” da parecchi anni, Kathy ci narrerà nei dettagli la loro storia sentimentale, e l’evolversi dei loro percorsi, fino al compimento del ciclo esistenziale dei suoi due compagni “donatori” e prima di ritrovarsi a sua volta inesorabilmente “donatrice”.

Un romanzo inquietante che ci mette di fronte ad ipotetici progetti che il lettore percepisce come non così lontani dal poter essere realizzati davvero. E’ un avvertimento, una messa in guardia da ciò a cui potrebbero condurre le spietate esigenze individualistiche dell’ essere umano.

UN UOMO SULLA SOGLIA




AUTORE NICOLE KRAUSS
EDITORE GUANDA
ANNO 2004

Un romanzo dedicato a chi interessa addentrarsi nei circuiti misteriosi della mente.



“La caratteristica incredibile degli esseri umani è la loro capacità di dimenticare: così passa il tempo e la speranza torna ad insinuarsi in noi”
Ecco come l’autrice americana Nicole Krauss sintetizza la storia appassionante di Samson Greene, brillante professore di letteratura, sparito misteriosamente da New York, dopo una lezione all’università, e rintracciato dopo giorni dalla polizia del Nevada mentre vaga malridotto ai margini del deserto in preda a totale amnesia.
Ricoverato in un ospedale di Las Vegas, Samson si risveglia da un’operazione chirurgica che gli ha asportato un tumore cerebrale, forse responsabile della sua perdita di memoria.
Ventiquattro dei suoi trentasei anni di vita si sono inspiegabilmente dissolti dalla sua mente ed egli non riesce a riconoscere neppure la moglie Anne che lo ha raggiunto per riportarselo a casa. Gli unici ricordi a cui si può riallacciare sono quelli riguardanti i suoi primi dodici anni vissuti con la madre a Los Angeles, di là dai quali si ritrova a percorrere una landa deserta dove, per quanto possa inoltrarsi, sente che non incontrerà mai nessuno, neppure se stesso.
Al rientro a New York, Anne tenta di riconsegnargli il suo passato, reinserendolo con delicatezza nel loro ambiente, ma tutti i suoi sforzi falliscono perché Samson ha l’esperienza e l’ingenuità di un dodicenne, non riconosce niente come suo, si sente esule in casa propria, estraneo ai suoi oggetti personali, incapace di riappropriarsi delle vecchie abitudini e reintegrarsi nella vita precedente, imbarazzato dagli amici e dalla stessa moglie con cui non riesce a ricostruire intimità affettiva né sessuale a meno di sforzi sovrumani al solo scopo di non dispiacerle.
A nulla serve la paziente e ansiosa comprensione di Anne che al contrario lo innervosisce, né la psicoterapia con cui il medico che l’ha in cura tenta di decifrare le possibili ragioni psichiche della sua perdita di memoria e dell’incapacità di recupero manifestata.
Che l’amnesia gli sia servita come inconscio espediente per sfuggire un rapporto logorato con la moglie, rendendosi a lei irriconoscibile e irraggiungibile? Che sia stata la scappatoia ideale per ripudiare vecchie abitudini, rigenerarsi e costruire un individuo nuovo? Una risposta certa a questi interrogativi non sembra conseguibile e nemmeno la confidenza ristabilita con una sua ex allieva, che gli fornisce testimonianza su come fosse considerato e rispettato dai suoi studenti prima, serve a diradare in lui le nebbie fitte dell’oblio.
Samson è sempre più solo, prigioniero di un presente che non può ancorarsi a nulla, privo di affetti e senso di appartenenza. Decide quindi di lasciare anche il poco che possiede, separandosi e andandosene da casa, affinché la sua solitudine interiore possa coerentemente coincidere con una solitudine di fatto.
Inizia così per lui un’esistenza condotta ai minimi termini, con pochissime relazioni esterne e senza prospettive che vadano oltre la giornata in corso.
Una sera lo raggiunge inaspettatamente la telefonata di un medico ricercatore californiano che, venuto a conoscenza del suo caso, gli offre, dietro rilevante compenso, di sottoporsi ad un ambizioso esperimento che potrebbe comportare risultati clamorosi e decisivi per l’intera umanità, arrivando a cancellare perfino il concetto stesso di solitudine.
Samson, in mancanza di alternative concrete, si farà convincere a raggiungere questo medico carismatico e a sottoporsi alla sperimentazione da lui proposta, da cui uscirà un uomo diverso che darà l’avvio alla seconda parte della storia.
Il romanzo si snoda da un capo all’altro degli Stati Uniti, fra le città di Las Vegas, New York, Los Angeles e il deserto del Nevada dove è situata la clinica di ricerca; un territorio di rara bellezza, che - non dimentichiamolo – negli anni ’50 e ’60 è stato impiegato dagli Americani, in quanto completamente disabitato, come zona di sfruttamento per numerosi test nucleari, e che in questo contesto può essere interpretato come rappresentazione simbolica della mente di Samson desertificata dalla mancanza di ricordi e sfruttata come materiale da esperimento. La storia è condotta sul filo di una sottile suspense che riesce ad avvincerci pur senza arrivare mai a risolversi in clamorosi colpi di scena, dimostrandosi più sobria di quanto sembrerebbe prometterci.
E’ l’opera d’esordio di una giovane autrice che mostra in questo suo primo lavoro una grande potenzialità creativa ma, a causa della sua immaturità letteraria, sembra bloccarsi in una sorta di timidezza narrativa prima di riuscire a sviluppare le sue idee a tutto tondo. Scrivendo tuttavia benissimo e con ritmi abbastanza veloci, si stempera facilmente la sensazione che la storia rimanga un po’ irrisolta con risultati inferiori alle attese che crea.
In America Nicole Krauss, maturata negli anni come dimostra nella sua successiva “ Storia dell’Amore “, è oggi considerata, al pari dell’altro genio suo coetaneo Safran Foer, un astro nascente della nuova letteratura newyorchese. Questo suo primo lavoro è consigliabile a chi desideri accostarsi ai nuovi autori statunitensi con un approccio non eccessivamente impegnativo.
Sconsigliato invece agli smaliziati della narrativa, agli ultraesigenti, a chi va a cercare sempre il pelo nell’uovo, perché senz’altro riuscirebbe a trovarcelo.
I temi affrontati dall’autrice in questa storia sono quelli della solitudine umana, sempre invincibile per quanti sforzi si facciano nel tentare di superarla, e dell’amore che ogni volta apre la porta alle speranze e ci inebria, promettendoci la fusione totale con l’altro, ma, per le rinunce e le delusioni che per forza comporta, alla lunga ci conduce inevitabilmente al fallimento.Un’opera che nel complesso merita la promozione perché originale, avvincente e con lo sguardo puntato sul futuro.

SABATO (Saturday)



AUTORE McEwan, Ian
EDITORE Einaudi
ANNO 2005


Il Dottor Henry Perowne lascia l’ospedale il venerdì sera del 14 febbraio 2003 dopo una serie d’interventi impegnativi, eseguiti con successo nel reparto di neurochirurgia del suo ospedale londinese; è esausto ma soddisfatto: la sua professione non gli lesina soddisfazioni e riconoscimenti quotidiani. Si affaccia la prospettiva di un week-end rilassato, pianificato nei minimi dettagli, durante il quale potrà sia ritemprare le forze, sia svagarsi e dedicarsi ai suoi impegni privati. L’indomani la famiglia si riunirà per intero e sarà lui stesso, per l’occasione, ad allestire una cena per tutti, cimentandosi nella preparazione della sua rinomata zuppa di pesce. Pregusta anche l’arrivo di sua figlia Daisy, che porterà da Parigi la bozza definitiva della sua prima raccolta di poesie con cui sarà definitivamente consacrata poetessa a soli ventidue anni.
Il sabato si preannuncia oneroso per Perowne che ha già fissato in mattinata una partita a squash col giovane collega anestesista e nel pomeriggio la visita settimanale alla casa di riposo dove l’anziana madre lo accoglierà con un sorriso ma purtroppo senza riconoscerlo. Ha già messo in preventivo che i tempi saranno forzatamente dilatati a causa della manifestazione organizzata contro l’intervento inglese alla guerra in Iraq, che vedrà Londra mobilitata da un’immensa folla, forse fino a duecentocinquantamila partecipanti.
Percorrendo i dieci minuti a piedi che separano l’ospedale dalla sua splendida residenza vittoriana, ereditata dalla famiglia della sua bella e ricca moglie Rosalind, con cui ha uno splendido rapporto, nonostante gli oltre vent’anni di matrimonio, Henry si dichiara intimamente soddisfatto, realizzato, se non addirittura felice. Due figli che, ancora giovanissimi, hanno già imboccato la via del successo e una moglie avvocato, donna bella, desiderabile e intelligente come poche altre. Egli stesso, pur al varco dei cinquant’anni, non può che sentirsi fiero del suo aspetto ancora giovanile e dell’invidiabile forma fisica, senza contare la posizione ottenuta nell’ambito della carriera, favorita dal grande amore per la sua specialità, che gli assicura una resistenza fisica oltre il verosimile. Non gli pesano infatti le sette, otto ore di intervento in piedi davanti al tavolo operatorio, intento a risolvere patologie complicatissime che gli richiedono lucidità e concentrazione costanti. Anzi gli capita di gestire perfino due interventi contemporaneamente, dividendosi fra più sale operatorie senza perdere il filo, gratificato unicamente dall’idea di aver assolto il proprio dovere e poi, una volta a casa, di provare ancora la voglia e il piacere di fare sesso con Rosalind.
Henry s’interroga sul concetto di felicità: se – per citare Edipo - “ nessun uomo si può dire felice fintanto che non è morto”, egli può almeno definirsi fortunato; nessuna nube attraversa il suo cielo privato e la vita gli appare come un insieme di tasselli dall’incastro perfetto.
Unica turbativa prevista per l’indomani: quella dannata marcia pacifista, che manderà il traffico in tilt per ore e nella cui confusione potrebbe essere più facilmente portato a termine il già annunciato atto terroristico di cui Londra è sotto minaccia. In ogni caso Henry non perde mai il suo aplomb, né in sala operatoria né in altre circostanze: sa come dettare il passo e le modalità della sua esistenza.
Il Dottor Perowne avrà come tutti il suo tallone d’Achille? Sarà lui stesso a chiederselo proprio l’indomani, sabato, quando un piccolo incidente di viabilità andrà ad innescare tutta una serie di conseguenze indesiderate, scombussolando la sua giornata fino a sfociare in un vero e proprio dramma. Minacciato da alcuni teppisti, fra cui un pericoloso psicopatico armato di coltello, in cui individua immediatamente le spie di una grave malattia neurologica degenerativa, Henry si rende improvvisamente conto della propria vulnerabilità, dell’incapacità di agire al di fuori degli schemi prestabiliti, fosse anche solo per disarmare un avversario pericoloso, salvarsi la pelle e difendere i propri cari dalla violenza. Le tattiche difensive di Henry si dimostrano inappropriate e inefficaci di fronte all’incongruo: abituato alle emergenze, si ritrova goffo e inetto di fronte alla forza bruta, incapace di reagire con mezzi diversi dalla consueta logica e correttezza da persona per bene. Pur maneggiando abilmente il bisturi e praticando incisioni anatomiche da mattina a sera, non avvicinerebbe mai una lama se non ad epidermidi preventivamente anestetizzate e in ambienti sterili e sicuri. Sfidato di fronte a tutta la famiglia, è costretto a subire senza reazione l’oltraggiosa e umiliante prevaricazione del farabutto psicolabile finché, imprevedibilmente, non gli verrà offerta su un piatto d’argento l’occasione di pareggiare i conti, vendicandosi. Ne approfitterà?
Buona performance d’autore e protagonista. Personaggi un po’ snob, ma il romanzo è ben scritto, documentato con dettagli quasi giornalistici: McEwan riesce a fare una scansione precisa di ogni minuto dell’interminabile sabato del Dottor Perowne, monitorandone pensieri, paure, azioni e reazioni in un crescendo di tensione, sempre però col parafulmine del typical english self-control.
Per chi è innamorato di Londra, per i seguaci di “Dr. House” e gli appassionati di cronache da pronto soccorso. Meno consigliabile invece a chi è normalmente sbrigativo e dotato di poca pazienza.

FENG SHUI




L’arte di vivere in armonia con l’ambiente


AUTORE Too, Lillian
EDITORE Mondadori – Oscar Guide
ANNO 2006

Il Feng Shui è la dottrina cinese antica di millenni che suggerisce i dettami per vivere in uno stato di armonia ed equilibrio, agevolando con questo anche la buona fortuna. E’ il nuovo decalogo dei moderni architetti e degli arredatori più trendy, che non muovono un dito senza aver prima rilevato dalla data di nascita del committente il suo numero “gua”, che sarà il fondamento su cui prendere tutte le decisioni importanti: l’esposizione dei locali fino all’orientamento del letto. Il design del mobilio e la distribuzione delle luci, le forme e i materiali degli oggetti d’arredo, le combinazioni dei colori disseminati nelle stanze, saranno tutte opzioni finalizzate a creare l’habitat di maggior benessere per lui e il suo nucleo famigliare. E’ la bibbia per chi crede che la fortuna o le disgrazie non siano soltanto conseguenza del nostro carattere e delle nostre scelte, ma dipendano anche da energie contrapposte che possono agevolarci od ostacolarci a seconda di come interagiscono fra di loro e con noi.
Se siete fra coloro che non si perdono un oroscopo di Astra, consultano il libro dei “Ching” prima di prendere decisioni, osservano rituali per propiziarsi la fortuna o hanno reazioni scaramantiche davanti al gatto nero o al sale versato, credo che questa lettura vi si addica. Potrà essere interessante anche per gli agnostici e i cinici. E coloro che generalmente si affidano solo al proprio istinto: forse troveranno una risposta al perché dormono meglio in un certo letto, perché sono prevalentemente attratti da alcuni colori e hanno idiosincrasia per altri, perché restano affezionati ad oggetti apparentemente senza valore, oppure perché non si sentono tanto bene da quando hanno traslocato. Insomma, un manuale chiaro e di facile lettura, piacevole anche per le persone più razionali.
Non si può infatti bollare il Feng Shui come pratica di superstizione tout court, dato che questa dottrina sopravvive da oltre seimila anni in oriente e sta quotandosi sempre più anche entro i nostri confini.
I committenti più facoltosi mettono ormai a budjet, oltre alle spese di edificazione o ristrutturazione, progettazione e materiali d’impiego, anche una quota (modesta) per la consultazione di un maestro di Feng Chui o comunque di un professionista esperto in materia.
Pare che la stragrande maggioranza di banche e multinazionali, al pari del più modesto bottegaio cinese, mai aprirebbero una filiale se la sede preposta non dovesse aderire alle caratteristiche necessarie richieste da una posizione propizia a sviluppare buoni affari secondo le regole Fen Shui.
Il Feng Shui tiene sotto controllo il ciclo produttivo e distruttivo di tutti gli elementi che devono relazionarsi in modo armonioso e favorevole per non provocare ostilità fra le forze “yin e yang” che devono invece essere presenti con equilibrio.
Mai l’acqua accanto al fuoco, quindi attenzione all’alloggiamento di forno, piani di cottura, lavastoviglie e lavelli nell’area cucina. Il caminetto troverà la sua posizione ideale nella parete sud dell’abitazione, dove sarà simbolicamente potenziata l’energia positiva del fuoco che simboleggia la possibilità di fama e onori.
Benché pulizia, ordine e minimalismo sono ingredienti fermamente raccomandati per un Fen Shui positivo, aspettiamo a disfarci di un oggetto desueto quale potrebbe essere un mappamondo abbandonato dai nostri figli, in quanto, se posizionato strategicamente, può trasformarsi in un elemento portafortuna per tutta la famiglia.
Consigliata anche la presenza di un animale domestico, non importa se piccolo, come un pesce rosso o un pappagallino, che aiuterà a mantenere attive le energie vitali yang in contrapposizione a quelle yin prodotte dal silenzio e dall’oscurità in cui la casa rimane immersa quando tutti sono fuori.
Attenzione invece agli specchi che, a seconda di ciò che riflettono, possono arrecare buona o cattiva fortuna.
Le scale, spesso presenti nei lussuosi attici e superattici, così come nelle semplici villette a schiera, potrebbero, a seconda della loro posizione e forma, arrecare danno agli abitanti della casa. Anche piante e fiori, che sono presenze vive, devono trovare la collocazione ideale: mai quindi nelle camere da letto dove ci derubano delle energie utili per la rigenerazione vitale di cui dobbiamo beneficiare durante il sonno.
Per i fiori il divieto in questo locale è assoluto, non sono ammessi neppure quelli finti, di plastica o di seta che siano, no anche ai dipinti che li rappresentano. Se ne abbiamo uno in camera da letto, fosse pure un autentico Van Gogh, spostiamolo subito nella sala da pranzo, dove avrà maggiore opportunità di favorire l’abbondanza e la prosperità, nel caso il dipinto non fosse già da solo sufficiente allo scopo.
Generalmente da evitare invece quadri astratti con figure acuminate o soggetti minacciosi come battaglie, scene di caccia e mari in tempesta.
Non spaventiamoci subito se riscontriamo che la nostra casa non rispecchia i criteri che il Feng Shui ci suggerisce: esistono infatti rimedi ed espedienti facili da adottare per ovviare a questi inconvenienti e difenderci efficacemente dalle frecce avvelenate che ci potrebbero colpire se scagliati simbolicamente da strutture e oggetti per noi negativi di cui ci siamo inconsapevolmente circondati.
Tutti possono imparare il Feng Shui, non è necessario avere una particolare fede religiosa o extra doti metafisiche. Questo manuale suggerisce come disporre il proprio spazio in modo da attingere alla moltitudine d’energie propizie che circolano intorno a noi e che aspettano solo di essere catturate.

MARE DELLE VERITA’
















Autore De Carlo Andrea
Editore Bompiani
Anno 2006


Andrea De Carlo ci dimostra ancora una volta il suo impareggiabile talento lessicale.

La voce narrante è di Lorenzo Telmari, richiamato a Roma dalla notizia della morte improvvisa del padre, virologo di fama mondiale, che lo raggiunge nel suo rifugio isolato sull’Appennino umbro dove si è ritirato per dedicarsi alla stesura di un romanzo.
Rientrato a Roma per i funerali, Lorenzo subisce subito l’impatto opprimente col suo vecchio entourage e riaffronta senza entusiasmo i ricordi che si era lasciati indietro molto tempo prima, allontanandosi dalla famiglia paterna per dedicarsi all’attività di skipper in giro per il mondo.
Lorenzo sente subito riemergere l’antico disagio per l’ambiente da cui si sente estraneo e l’antica avversione per le situazioni e la mentalità borghesi che ha sempre mal sopportato ed era stata la causa primaria della sua presa di distanza dalla vita romana e dalla famiglia stessa.
Per l’occasione è ospitato nella ricca casa del fratello minore Fabio, divenuto nel frattempo un personaggio di spicco nella politica italiana e di sua moglie Nicoletta, in apparenza lucida e controllata donna di successo, che non tarderà però a rivelargli il suo aspetto nevrotico, giungendo persino a tentare di sedurlo per vendicarsi dei tradimenti subiti dal marito. Dietro l’apparente, affettuosa sollecitudine da cui viene circondato, si cela una continua, sottintesa critica che fa sentire Lorenzo inadeguato alle loro esigenze di facciata e sempre più oppresso dalle richieste di omologarsi agli standard famigliari, un imbarazzo che l’autore definisce “sgomento da radici tagliate”.
Lorenzo progetta di ripartire quanto prima, ma, a funerali avvenuti, un tentativo di furto nell’ex casa del padre, apre un nuovo capitolo e introduce un susseguirsi di eventi inaspettati e gravissimi che portano alla luce un intrigo di cui il loro stesso padre potrebbe essere rimasto vittima. Una congiura che poco alla volta coinvolge tutti i personaggi della storia e porta all’incontro del protagonista con una giovane attivista politica, Mette, una bella danese dai capelli rossi da cui Lorenzo si sente subito irresistibilmente attratto.
Gli eventi precipitano fino a giungere ad una serie di efferati omicidi, compiuti nel tentativo di recuperare un dossier custodito in copia da più persone a cui il loro padre le aveva affidate per tutelarne il contenuto ritenuto fortemente compromettente per gli alti vertici del Vaticano. Minacce e sospetti iniziano ad incombere su tutti, ed essi stessi finiscono per rimanere impigliati nelle trame del complotto che vorrebbero smascherare.
Inizia così la parte più accattivante del romanzo: la descrizione delle peripezie affrontate da Lorenzo e Mette per far perdere le loro tracce, la fuga precipitosa da Roma, la loro latitanza in una casa di vacanze all’Argentario, poi in Corsica, dove giungono con la barca a vela del fratello, dopo una burrascosa traversata notturna. Stremati e pieni di angosciosi interrogativi ma solidali fino alla fine, Lorenzo e Mette trovano riparo nell’antico paesino di Bastia dove, nel terrore di essere scoperti, vedono sbocciare sentimenti a lungo trattenuti, raccontati dall’autore in pagine molto intense e finale a sorpresa.
Un Andrea De Carlo che tenta il rinnovamento prendendo a pretesto una trama socio-politica, ma annacquandola e sorvolando ampiamente sui dettagli, nell’intento preciso di accontentare i lettori che prediligono la narrazione intimistica, a lui più congeniale, condita con i suoi ingredienti migliori, l’insofferenza per l’ipocrisia perbenista e borghese, la strepitosa abilità di analisi introspettiva, la capacità di contagiarci con la sua rabbia sociale e di caricarci delle sue tensioni emotive.
Un libro indiscutibilmente ben scritto, raccontato “alla De Carlo”, con un linguaggio attuale ed efficace, che si legge come si guarderebbe un film, senza interruzione.

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