Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

15.2.09

LA STRADA









(The Road)
AUTORE McCarthy, Cormac
EDITORE Einaudi
ANNO 2007

Un uomo e il suo bambino di nove anni viaggiano in uno scenario post-apocalittico, scampati ad un imprecisato disastro planetario, lungo i territori di un paese innominato che, pur se geograficamente irriconoscibile per il velo di fuliggine e la coltre di cenere che ricopre tutto, è identificabile con gli Stati Uniti.
Tentano di spostarsi da est ad ovest, confondendosi spesso perché il sole è oscurato, e da nord a sud, scacciati dal clima che si fa progressivamente più rigido, fiduciosi che il mare possa offrire loro qualche estrema risorsa introvabile altrove.
Laceri, malandati e lerci, avanzano faticosamente lungo la strada, come appestati in pellegrinaggio verso un santuario di redenzione, spingendo un carrello scassato in cui hanno accumulato nel tempo tutti i loro miseri beni: coperte sudice, cerate per le intemperie, qualche scatoletta di cibo sfuggita a precedenti saccheggi dei razziatori di negozi e supermercati, un giocattolo del bambino dimenticato sul fondo.
L’umanità è rimasta decimata dall’impatto devastante col fuoco, che ha divorato tutto, e i pochi sopravvissuti affrontano una lotta impari contro carestia, malattie e intemperie: un’espiazione quotidiana alla colpa di continuare ad esistere.
Gli unici esseri viventi nei quali ci si possa malauguratamente imbattere e dai quali è vitale non farsi sorprendere sono i “cattivi”, coloro che fanno della morte altrui la propria sopravvivenza, efferati assassini, barbari sanguinari continuamente alla ricerca di carne umana di cui nutrirsi. Di “buoni” non se ne vedono quasi: se ne stanno nascosti o sono finiti divorati dagli altri.
L’uomo e il bambino viaggiano in perenne stato d’allarme, pronti a fuggire e nascondersi al minimo segnale di presenza umana. La paura è una costante delle veglie e del sonno e la consapevolezza continua di poter morire da un momento all’altro non fa che alimentare l’invidia per chi è già morto.
- Ce ne sono tanti di questi cattivi! - Dice il bambino. - Noi invece siamo i buoni, vero papà?-
- Sì noi siamo i buoni. -
- E lo saremo sempre? –
- Sì, lo saremo sempre. - Promette il padre, osservando con strazio il corpicino scheletrito del figlio che non ha mai conosciuto altra realtà che quella.
Non gli racconta che il diritto alla sopravvivenza spetta ormai solo ai più spietati e che, se non vorranno fare una brutta fine anche loro, dovranno adattarsi a nuove leggi primitive per difendere se stessi e i loro pochi averi.
Il bene più prezioso che si portano dietro è una rivoltella con un solo colpo residuo in canna. Il padre ha mostrato al bambino come rivolgerla contro se stesso per salvarsi in caso di pericolo estremo.
Dovrà tenersi pronto anch’egli ad usarla contro il figlio in caso d’emergenza, ma lo tormenta il dubbio se ci sia davvero in lui un essere simile, capace al momento buono di risolversi a questo.
I due si sono ormai adattati ad una condizione subumana, in cui la morte non sembra più il male peggiore. Pezzenti che percorrono un mondo senza più stagioni, sfruttato e saccheggiato in ogni suo angolo, in cui restano solo detriti, rottami e macerie, alberi scheletriti e cadaveri mummificati, assistendo al pietoso controspettacolo delle cose che cessano di esistere, costretti ad un viaggio a vuoto, senza meta né progetto alcuno, come criceti su una ruota che gira.
In una desolazione e dolore perenne, con le poche energie sfruttate fino all’inverosimile e nell’obbligo funesto di provvedere alla loro sopravvivenza per guadagnare un giorno in più, resistono alla seduzione di una misericordiosa morte, continuando a lottare per un’opportunità di vita in un ipotetico futuro, pur nella mancanza totale di segnali che possano offrire uno spiraglio di speranza.
Unico elemento che dà ragione a tanto sacrificio è l’amore inalienabile che li lega, il senso di protezione che si ispirano vicendevolmente e l’alleanza incrollabile instaurata fra loro. Non potrebbero farcela se ognuno non avesse l’altro per cui lottare.
Si giunge alla fine della lettura affranti e stanchi. Stanchi di una stanchezza, oltre che morale, fisica, perché McCarthy ci prende per i capelli e ci trascina a forza per la sua strada, ci spinge e ci strattona, ci fa cadere e rialzare, scappare, ansimare per il terrore, tossire, pregare, bestemmiare e rimanere senza parole…
Un romanzo di grande impatto emotivo, ben tradotto da Martina Testa, la cui lettura non può non lasciare una cicatrice. Scritto magistralmente in uno stile teso, secco ed efficace da uno scrittore potente, che non fa sconti né concessioni, ma che riesce a riempirci di tenerezza col garbo e l’innocenza di un bambino che ci piacerebbe incontrare in qualche luogo, ma speriamo non ci stia veramente precedendo sulla strada del futuro.

1 commento:

  1. Non posso non condividere ogni parola di questa recensione. "La Strada" è uno di quei romanzi che scava nelle profondità dell'animo umano. Più che una cicatrice, lascia una ferita aperta.

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