Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

15.2.09

NORWEGIAN WOOD e ...il giovane Holden





(Tokyo Blues)
AUTORE Murakami, Haruki
EDITORE Einaudi
ANNO 2006

E’ sempre più difficile orientarsi fra gli oltre 600.000 titoli proposti! Però anche voi siete stufi di certo fast food editoriale che ci strizza l’occhio dai banchi delle librerie, col suo gusto plastificato, insipido o pesante da digerire, spesso dato in pasto anche ai nostri ragazzi, e avete nostalgia di vecchi sapori, di cibo cucinato a fuoco lento, raffinatamente servito, da gustare con calma e su cui meditare. Perché allora non andare a ripescare qualcosa negli scaffali del passato?
Segnalo due romanzi di formazione che la polvere del tempo non ha reso opachi: Il giovane Holden, scritto da Salinger nel ’51, un classico ancora godibilissimo, e il più recente Norwegian Wood, già edito da Feltrinelli alla fine degli anni ’80 col titolo Tokyo Blues e che Einaudi ha avuto la felice idea di ripubblicare, in omaggio ai palati fini, ribattezzandolo col nuovo titolo scippato al repertorio dei Beatles.
Cito non a caso questi due romanzi assieme perché qualcuno ha attribuito loro una sorta di gemellaggio letterario. Entrambi gli autori trattano, infatti, il tema comune della delicata età di passaggio, scrutando nei mali endemici che l’adolescenza reca in sé: il senso d’inadeguatezza e d’amara solitudine che accompagnano questo periodo critico in cui l’incanto -o il disincanto- di sperimentare la propria autonomia si scontra con le difficoltà ad omologarsi ai modelli adulti imposti dalla società.
Il sedicenne Holden e Toru, diciannovenne protagonista di Norwegian Wood, hanno in comune la vita di collegio, gli studi mal tollerati, la passione per la musica vissuta come elemento identificante di ogni passaggio generazionale. Condividono persino certe letture, sono capaci in un attimo di annegare nella malinconia e un momento dopo sentirsi esplodere di gioia. Hanno entrambi lo spessore intellettuale necessario per assurgere a dignità letteraria, la cui qualità non è certificata da ciò che fanno, ma piuttosto da ciò che pensano e dicono (o preferiscono non dire).
Si esprimono comunque secondo modelli opposti, come il dritto e il rovescio di una stessa medaglia. Se sono gemelli, non sembrano certo omozigoti, anzi a ben guardare sono proprio figli di genitori diversi: Holden è il rampollo di un’America ottimista e carismatica che regge la torcia di custode della libertà dopo le vittorie ottenute nella seconda guerra mondiale, Toru è nato in un Giappone che invece la guerra l’ha persa, non si è ancora emancipato dalle tradizioni millenarie che lo ancorano al passato e solo verso la fine degli anni ’60, grazie al boom economico, deve ubbidire all’imperativo urgente di occidentalizzarsi e porgere la mano a chi gli ha sganciato la bomba atomica. Holden, pur essendo più giovane, ha il vantaggio delle proprie certezze, che gli consentono atteggiamenti impulsivi e ribelli a differenza di Toru che, oltre a fare i conti con le normali difficoltà di crescita, deve saltare l’ostacolo del gap evolutivo che lo distanzia dai coetanei americani. Se Holden non si preoccupa di mostrarsi spavaldo, disfattista e caustico (persino verso se stesso) grazie all’impunità concessagli dalla sua posizione di ragazzo di buona famiglia, per il timido Toru, che si sente inferiore, pur non essendolo, sono doverose la prudenza e la riservatezza, qualità già intrinseche alla natura orientale. Egli lascia spesso galleggiare le sue opinioni nella palude delle possibilità, evitando di ferire le persone, di assumere posizioni radicali, attendendo che alla fine siano le circostanze a decidere per lui. Se Holden non smette un attimo di “vomitare” sentenze, affermando e contraddicendo tutto (“vomito” è uno dei termini più frequenti nel suo vocabolario), a Toru bisogna invece cavare le parole dalla gola chiusa, come cercheranno di fare le due ragazze da cui è affettivamente attratto, ma fra la cui scelta non si sa decidere.
Tenterà per prima la sensibile Naoko, già fidanzata al suo migliore amico, purtroppo finito suicida, che lo magnetizza con una bellezza, eleganza e raffinatezza senza pari: una ragazza all’antica, quasi una geisha che sa sedurlo con sensuale femminilità, ma allo stesso tempo sembra volerlo imprigionare in un immobilismo esistenziale.
Poi l’altra, Midori, sua compagna d’università, moderna ed emancipata, che tenterà di far breccia nelle sue resistenze e trascinarlo in un mondo più concreto e prosaico, sì, ma sicuramente più virile e più adulto. Fra l’una e l’altra ci sarà per Toru un brevissimo interludio, magicamente vissuto con un’affascinante quarantenne, grazie alla cui esperienza e maturità egli troverà la forza di staccarsi dal passato e fare il primo passo verso la propria inevitabile crescita.
Murakami si è dedicato alla stesura di questo libro molti anni dopo gli avvenimenti, quando riascoltando per caso una vecchia canzone (Norwegian Wood, appunto), ha sentito riaffiorare i ricordi dal mare della coscienza che, come punte di iceberg, tenevano celato sotto la superficie un patrimonio d’immagini, parole, emozioni che sembrava disperso.
L’andamento è lento, di quella lentezza con cui è tessuta la vita in certi periodi, quando il tempo sembra non passare mai, si vive nell’attesa di qualcosa, una telefonata, un incontro, anche solo un piccolo imprevisto che possa incrinare la noia e la ripetitività. Pur con delicatezza l’autore, cui la memoria si va riattivando nello scrivere, ci racconta anche i suoi ricordi più scomodi: il disagio per i propri imbarazzi di fronte ai coetanei, la paura di rimanere isolati per convinzioni e opinioni che però non si osano difendere, l’abuso d’alcool per disincagliarsi dagli ostacoli che la mente appone, gli insoddisfatti approcci alla sessualità, prima di capire che il sesso, in ogni sua espressione, può perdere attrattiva se isolato dalle emozioni. Ci colpiscono anche gli episodi di suicidio da cui entrambi i nostri protagonisti restano traumatizzati. Se però il suicidio è trattato da Salinger come via di fuga, estrema trasgressione, quasi un dispetto fatto al mondo, nella realtà di Toru questo assume significato di ideale interiore, perché per la cultura giapponese la vita non è come per noi un dono divino che solo Dio può toglierci, ma un bene privato e personale, a cui poter rinunciare liberamente se altri valori si impongono. Murakami ci trasmette il concetto, degno di considerazione, che la vita e la morte non sono opposte né contraddittorie, ma elementi complementari della stessa unicità.
Due romanzi che lasciano il segno, in cui il desiderio di capire l’altro dal profondo è sempre dominante, conferendo densità a tutto ciò che si legge, dalle implacabili elucubrazioni che Il giovane Holden ci somministra senza pausa, fino ai lunghi silenzi carichi di significato che incontriamo in Norwegian Wood.
Adatti anche a quegli adolescenti che non stanno “tre metri sopra il cielo” e non hanno “voglia di te” e non “cercano Niki disperatamente”. Da conservare fra i nostri libri per almeno altri cinquant’anni.
E’ doveroso un ringraziamento all’impeccabile Giorgio Amitrano che sempre sa impreziosire le impegnative traduzioni dal giapponese con doti proprie di fluidità, sensibilità e lirismo. Brava anche Adriana Motti che è riuscita a trasmetterci con grande spontaneità il blasfemo e corrosivo linguaggio di Holden, riuscendo a farci divertire senza mai oltrepassare la misura.

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