Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

29.10.09

PERCHE' SCRIVO SE NON POSSO SCRIVERE MEGLIO?

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////////////Mark Kostabi





Sono passato come uno straniero in mezzo a voi ma nessuno ha capito che lo ero.

Sono vissuto come una spia e nessuno, nemmeno io, ha sospettato che lo fossi.

Tutti mi credevano un parente: nessuno sapeva che ero stato scambiato alla nascita.

Così sono stato uguale agli altri senza somigliare a loro, fratello di tutti senza appartenere alla famiglia.

Venivo da terre prodigiose, dai paesaggi più belli della vita, ma non ho mai parlato di quelle terre se non a me stesso. E di quei paesaggi visti in sogno non ho mai dato notizia a nessuno. I miei passi erano uguali ai passi altrui, sugli impiantiti o sui lastricati, ma il mio cuore sta lontano, pur battendo vicino, falso signore di un corpo esiliato ed estraneo.
Nessuno ha supposto che a mio lato ci fosse sempre un altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso.

Nelle loro case ho trovato riparo, le loro mani hanno stretto la mia, mi hanno visto passare per la strada come se fossi io; ma colui che io sono non è mai stato in quelle stanze, colui che io vivo non ha mani che altri possano stringere, colui che io so di essere non ha strade da percorrere, se non tutte le strade in una; non ha qualcuno che in esse possa vederlo.
Sapere esattamente che chi siamo non ci riguarda, che ciò che sentiamo e viviamo è sempre una traduzione, che ciò che vogliamo è ciò che non è: sapere tutto questo ad ogni minuto, sentirlo in ogni sentimento, non significa essere stranieri nella propria anima, esiliati nelle proprie sensazioni?

E cosa ne sarebbe di me se non scrivessi ciò che riesco a scrivere, per quanto nello scrivere io sia inferiore a me stesso? E perché scrivo se non posso scrivere meglio?
Non oso il silenzio, come chi tema una stanza buia. Scrivere è come una droga che odio e che prendo, il vizio che disprezzo e di cui vivo.

Ci sono veleni necessari, e ce ne sono di sottilissimi, composti dagli ingredienti dell’anima. Erbe colte nei campi delle rovine dei sogni, papaveri neri trovati vicino alle tombe, foglie di alberi osceni che agitano i rami sulle rive di fiumi infernali.
Sì, scrivere significa perdermi, ma tutti si perdono, perché tutto è perdita.
Ho chiesto alla vita soltanto che non mi togliesse il sole.

Ho avuto desideri ma mi è stata negata la ragione di averli. E’ stato meglio aver trovato ciò che ho davvero trovato: il sogno.
Tutto quanto cercavo nella vita io stesso l’ho lasciato proprio per non trovarlo.
Più reale della cosa assente cercata è il gesto presente nelle mani che cercano.
Tutto ciò che ho avuto, sì, è stato il non riuscire a trovare.

FERNANDO PESSOA
Il libro dell’inquietudine

Liberamente tradotto da mca

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