Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

6.6.11


Il talento per le parole non sempre basta se si vuole diventare un bravo scrittore.
Bisogna per prima cosa essere una grande persona.


Quella sera tornavo a casa a piedi, dall’ufficio della censura, all’Hotel Florida, e pioveva. Così, circa a metà strada, mi stancai della pioggia e feci tappa da Chicote per un bicchierino alla svelta. Era il secondo inverno di bombardamenti durante l’assedio di Madrid e si era a corto di tutto, compresi il tabacco e la pazienza della gente, e avevi sempre un po’ di fame e a un tratto e irragionevolmente ti pigliavi una grossa arrabbiatura per cose come il tempo, alle quali non potevi far nulla. Avrei dovuto tirar dritto fino a casa. C’erano solo altri cinque isolati, ma quando vidi l’androne di Chicote pensai prima di bermene uno alla svelta e poi di fare quei sei isolati su per la Gran Via nel fango e tra le macerie delle strade semidistrutte dai bombardamenti.
Il locale era affollato. Avvicinarsi al banco non era possibile, e tutti i tavoli erano occupati. Era pieno di fumo, di canti, di uomini in divisa e dell’odore di giubbe di cuoio bagnate, e si passavano i bicchieri sopra la testa della gente, accalcata in tre file lungo il banco.
Un cameriere che conoscevo trovò una sedia libera intorno a un altro tavolo e io presi posto accanto a un esile tedesco, bianco in viso e con un gran pomo d’Adamo, che lavorava alla censura, e ad altre due persone che non conoscevo. Il tavolo era al centro della sala, un po’ a destra per chi entra.
Cantavano così forte che non si sentiva quello che si diceva, e io ordinai un gin con angostura e lo bevvi d’un fiato, come rimedio contro la pioggia. Il locale era pieno come un uovo e tutti erano molto allegri; cominciavano forse ad esserlo un po’ troppo, grazie al liquore catalano appena fatto che quasi tutti stavano bevendo. Un paio di persone che non conoscevo mi diedero manate sulle spalle, e quando la ragazza al nostro tavolo mi disse qualcosa, non capii e risposi: - Certo. -
Aveva un’ aria abbastanza terribile, ora che avevo smesso di guardarmi intorno e studiavo la nostra tavolata, piuttosto terribile davvero. Ma saltò fuori, quando giunse il cameriere, che quello che mi aveva chiesto era di offrirle da bere. L’individuo che era con lei non aveva un’aria molto energica, ma lei era abbastanza energica per tutti e due. Aveva uno di quei visi forti, semiclassici, e la taglia di una domatrice di leoni; e il ragazzo che l’accompagnava sarebbe stato perfetto con una vecchia cravatta della scuola. Però non l’aveva. Indossava una giubba di cuoio: con la faccia che si ritrovava, era proprio quello che ci voleva.
A questo punto cominciavo già a desiderare di non essermi fermato al Chicote ma di aver tirato dritto fino a casa, dove avrei potuto cambiarmi e indossare qualcosa di asciutto e bere qualcosa comodamente seduto sul letto con i piedi tirati su, ed ero stufo di guardare quei due giovani. La vita è molto breve, mentre le donne brutte sono molto lunghe, e stando seduto là a quel tavolo arrivai alla conclusione che, anche se ero uno scrittore e avrei dovuto avere un’insaziabile curiosità per la gente, la gente di ogni genere, in realtà non m’importava un accidente di sapere se quei due erano sposati o cosa trovavano uno nell’altra, o quel che era la loro linea politica, o se lui aveva un po’ di soldi, o se un po’ di soldi li aveva lei, o una cosa qualsiasi su di loro. Decisi che dovevano essere della radio. A Madrid ogni volta che vedevi dei civili dall’aria davvero strana, erano sempre gente della radio. Così, tanto per dir qualcosa, alzai la voce per soverchiare il baccano e chiesi:  - Siete della radio? -
- Sì – disse la ragazza. Come volevasi dimostrare. Erano della radio.
- Come va compagno? – dissi al tedesco.
- Bene e tu? –
- Un po’ bagnato – dissi, e lui rise, piegando la testa da un lato.
- Hai mica una sigaretta? – domandò. Gli porsi il mio penultimo pacchetto di sigarette e lui ne prese due. Due ne prese la ragazza dall’aria energica e due il giovanotto con la faccia da vecchia cravatta scolastica.
- Prendine un’altra – gridai.
- No, grazie – rispose e al posto suo la prese il tedesco.
- Ti spiace? – disse con un sorriso.
- No di certo – dissi e invece mi spiaceva, e lui lo sapeva benissimo. Ma aveva un tale bisogno di sigarette che la cosa non aveva importanza. Da qualche attimo i canti erano cessati, o si erano momentaneamente interrotti come a volte succede anche ai tuoni durante un temporale, e potevamo sentire tutto quello che dicevamo.
- Sei qui da molto?- mi chiese la ragazza dall’aria energica. Pronunciava le parole con uno strano accento.
- A tratti – dissi.
- Dobbiamo parlare seriamente – disse il tedesco. Ho bisogno di parlarti. Quando sarà possibile?
- Ti telefono – dissi. Questo tedesco era un tedesco davvero stranissimo e non riusciva simpatico a nessuno dei tedeschi buoni. Viveva nell’illusione di saper suonare il piano, ma se lo tenevi lontano dai pianoforti era perfettamente in regola, a meno che non si trovasse esposto ai liquori, o alla possibilità di spettegolare, e da queste due cose nessuno era ancora riuscito a tenerlo lontano.
Spettegolare era la cosa migliore che faceva, e lui sapeva sempre qualcosa di nuovo e di molto disonorevole su tutte le persone di cui potevi fargli il nome a Madrid, Valencia, Barcellona e negli altri centri politici.
In quel preciso momento tutti ripresero a cantare, e non puoi spettegolare molto bene se devi alzare la voce, perciò, visto che lì da Chicote sembrava una serata piuttosto noiosa, decisi di offrire da bere a tutti e poi di andarmene.
Cominciò proprio allora. Uno in borghese, vestito di marrone con la camicia bianca, la cravatta nera, e i capelli dritti pettinati all’indietro su una fronte piuttosto alta, un uomo che fino a pochi istanti prima aveva fatto il buffone ora a un tavolo ora a un altro, spruzzò uno dei camerieri con uno schizzetto da insetticida. Tutti risero tranne il cameriere, che in quel momento portava un vassoio carico di bicchieri. Il cameriere si indignò.
- No hay derecho – disse. Che significa non hai alcun diritto di farlo, ed in tutta la Spagna è la protesta più semplice e più forte.
L’uomo con lo schizzetto, ringalluzzito dal successo, e senza aver l’aria di attribuire alcuna importanza al fatto che si fosse piuttosto avanti nel secondo anno di guerra, che si trovasse in una città assediata dove tutti avevano i nervi a fior di pelle, e che era uno degli unici quattro uomini in borghese presenti nel locale, a questo punto spruzzò un altro cameriere.
Mi guardai intorno, cercando un posto dove rifugiarmi. Anche questo cameriere s’indignò, e l’uomo lo spruzzò altre due volte, a cuor leggero. Certi clienti continuavano a trovarlo divertente, compreso la ragazza dall’aria energica. Ma il cameriere si era fermato, scuotendo la testa. Gli tremavano le labbra. Era un vecchio e, che io sapessi, lavorava al Chicote da almeno dieci anni.
- No hay derecho – disse dignitosamente.
Ma la gente aveva riso e l’uomo con lo schizzetto, senza accorgersi che i canti erano cessati, puntò il suo arnese sulla nuca del cameriere e tornò a spruzzarlo. Il cameriere si voltò, reggendo il vassoio.
- No hay derecho! – disse. Stavolta non era una protesta. Era un’accusa, e vidi tre uomini in divisa alzarsi da un tavolo e dirigersi verso l’uomo con lo schizzetto, e un attimo dopo uscivano tutti e quattro dalla porta girevole, di corsa, e si udì un tonfo quando qualcuno colpì sulla bocca l’uomo con lo schizzetto. Qualcun altro raccolse lo schizzetto e lo buttò fuori dalla porta, dietro di lui.
I tre uomini rientrarono nel locale con un’aria seria, decisa e molto virtuosa. Poi la porta girò e rientrò l’uomo dello schizzetto. I capelli sugli occhi, sangue sul viso, la cravatta di traverso e la camicia strappata. Aveva sempre lo schizzetto in mano e mentre veniva avanti, pallido e con gli occhi spiritati, lo usò ancora una volta, senza mirare, in un modo assolutamente provocatorio, tenendolo puntato verso tutta la compagnia.
Vidi uno dei tre uomini farglisi incontro e vidi la faccia di quest’uomo. C’erano altri uomini con lui adesso e costrinsero quello con lo schizzetto ad arretrare tra due tavoli, a sinistra della scala per chi entra, con l’uomo dallo schizzetto che ora lottava ferocemente, e quando lo sparo echeggiò nel locale presi per un braccio la ragazza dall’aria energica e mi lanciai verso la porta della cucina..
La porta della cucina era chiusa e quando le diedi una spallata non cedette.
- Mettiti giù qui, dietro l’angolo del banco – dissi. La ragazza vi s’inginocchiò.
- Pancia a terra – dissi. E l’obbligai a distendersi. Era furibonda.
Tutti gli uomini presenti nel locale tranne il tedesco, che se ne stava lungo disteso dietro un tavolo, e il ragazzo dall’età di uno studentello, che si era rannicchiato in un angolo, schiacciandosi contro il muro, avevano estratto una pistola. Su una panca lungo la parete, tre ragazze biondissime, con i capelli scuri alla radice, stavano in punta di piedi per vedere, strillando senza posa.
- Io non ho paura – disse l’energica. E’ ridicolo. –
- Non vorrai farti ammazzare in una rissa tra ubriachi – dissi. Se il re del flit, laggiù, ha degli amici nel locale, le cose possono prendere una brutta piega. –
Ma non aveva amici, evidentemente, perché la gente cominciò a rinfoderare le pistole e qualcuno aiutò le bionde urlatrici a scendere dalla panca e tutti quelli che erano accorsi quando si era sentita la detonazione si allontanarono dall’uomo con lo schizzetto che giaceva, muto, con la schiena sul pavimento.
- Nessuno esca fino all’arrivo della polizia – urlò qualcuno dalla porta.
Due poliziotti armati di fucile, entrati durante la ronda, stavano in piedi vicino alla porta, e a questo annuncio vidi sei uomini raggrupparsi proprio come la prima linea di una squadra di football americano quando esce da una mischia e lanciarsi a testa bassa verso la porta. Tre di loro erano gli uomini che avevano buttato fuori il re del flit. Uno era l’uomo che lo aveva ucciso. Passarono tra i due agenti armati di fucile come giocatori decisi a proteggere l’uomo con la palla. E mentre uscivano uno dei poliziotti bloccò la porta impugnando orizzontalmente il suo fucile e urlò:  - Nessuno può lasciare il locale. Nessuno. –
- E quegli uomini perché se ne sono andati? Perché trattenerci, se qualcuno è andato via?-
- Erano motoristi che dovevano tornare all’aeroporto – disse uno.
- Ma se qualcuno se n’è andato, trattenere gli altri è un’idiozia. –
- Tutti devono attendere la Seguridad. Bisogna procedere con ordine e secondo la legge.-
- Ma non capisce che se qualcuno se n’è andato, trattenere gli altri è un’idiozia? –
- Nessuno può uscire. Tutti gli altri devono aspettare. –
- E’ comico – dissi alla ragazza dall’aria energica.
- Niente affatto, è semplicemente orribile.-
Adesso eravamo in piedi e lei guardava, indignatissima, il punto in cui giaceva il re del flit.. l’uomo aveva le braccia spalancate e una gamba piegata.
- Vado ad aiutare quel povero diavolo. Perché nessuno l’ha aiutato o ha fatto qualcosa per lui?-
- Io lo lascerei in pace – dissi. Meglio non immischiarsi.-
- Ma è inumano. Ho studiato da infermiera e gli pesterò le prime cure.-
- Io non lo farei – dissi. Non avvicinarti. –
- Perché?- era sconvolta e sembrava essere lì lì per avere una crisi isterica.
- Perché è morto.-
Quando arrivò, la polizia tenne tutti là dentro per tre ore. Cominciarono con l’annusare le pistole. Così avrebbero individuato quella che era stata appena usata. Dopo una quarantina di pistole sembrò che ne avessero abbastanza, e comunque l’unico odore che si sentiva là dentro era quello delle giubbe di pelle bagnate. Poi gli agenti sedettero a un tavolo piazzato proprio dietro il defunto re del flit che giaceva sul pavimento come una caricatura di cera di se stesso, con le mani di cera grigia e una faccia di cera grigia, e controllarono i documenti dei presenti.
Sotto la camicia strappata si vedeva che il re del flit non aveva la canottiera e le suole delle scarpe erano logore. Sembrava molto piccolo e pietoso là disteso sul pavimento. Per raggiungere il tavolo dietro cui sedevano i due poliziotti in borghese, a controllare i documenti di tutti, bisognava scavalcarlo. Il marito, nervosissimo, perse e ritrovò le sue carte diverse volte. Era munito di un salvacondotto, ma non ricordava più dove lo aveva messo, e continuava a frugarsi in tasca e sudare finché non lo aveva trovato. Poi lo metteva in un’altra tasca e doveva riprendere a cercarlo. Sudava copiosamente, così facendo, e il sudore e l’emozione gli arricciavano i capelli e gli imporporavano il viso.. ormai non gli sarebbe più bastata una cravatta scolastica: aveva bisogno anche di uno di quei berrettini che portano i ragazzi delle scuole medie. Avete sentito dire che certe cose fanno invecchiare. Be’ quell’omicidio lo aveva ringiovanito di dieci anni.
Mentre si aspettava dissi alla ragazza dall’aria energica che secondo me tutta la faccenda era una storia piuttosto buona, e che un giorno l’avrei messa per iscritto. Il modo in cui i sei si erano messi in fila indiana e avevano guadagnato l’uscita era veramente formidabile. La ragazza rimase scandalizzata e disse che non potevo scriverla perché sarebbe stata pregiudizievole alla causa della repubblica spagnola. Risposi che ero in Spagna da parecchio tempo e che una volta, sotto la monarchia, dalle parti di Valencia, avvenivano una quantità fenomenale di delitti, e che per centinaia di anni prima della Repubblica la gente, in Andalusia, si era sgozzata a vicenda con certi coltellacci detti navajas, e che se da Chicote, durante la guerra, assistevo a un comico ammazzamento, potevo descriverlo proprio come se fosse avvenuto a New York, Chicago, Key West o Marsiglia. La politica non c’entrava. Ma lei disse di no. E probabilmente anche un mucchio di altra gente dirà che non dovevo. Il tedesco, però, sembrò trovarla una storia piuttosto buona, e fu a lui che diedi l’ultima della mie Camel. Alla fine, comunque, dopo circa tre ore, la polizia disse che potevamo andare.
Al Florida erano un po’ in ansia perché allora, con i bombardamenti, se tornavi a casa a piedi e non ci arrivavi dopo le sette e mezzo, quando chiudevano i bar, si stava in pensiero. Ero contento di essere tornato a casa e raccontai la storia mentre preparavamo la cena su un fornello elettrico, e la storia ebbe un gran successo.
Be’, durante la notte cessò di piovere e la mattina dopo era un bel giorno d’inverno, uno dei primi, bello, freddo e luminoso, e alle dodici e quarantacinque spinsi la porta girevole del bar di Chicote per gustarmi un goccino di gin and tonic prima del pranzo. C’era pochissima gente a quell’ora, e i due camerieri e il direttore si avvicinarono al mio tavolo. Sorridevano tutti.
- Hanno preso l’assassino? – chiesi.
- Non dica freddure così presto – disse il direttore, L’ha visto sparare, lei?-
- Sì - gli dissi.
- Anch’io – disse lui, Era proprio qui quando è successo – Indicò un tavolo d’angolo. Gli ha appoggiato la pistola sul petto e ha fatto fuoco.-
- Fino a che ora hanno trattenuto la gente?-
- Oh, fin dopo le due di questa mattina.-
- Sono venuti a prendere il fiambre – usando per “cadavere” la stessa parola del gergo spagnolo scritta sui menu per descrivere la carne fredda – solo alle undici di questa mattina.
- Ma lei ancora non lo sa - disse il direttore.
- No. Non lo sa – disse il cameriere.
- E’ una cosa molto rara – disse un altro cameriere - Muy raro.-
- E anche triste – disse il direttore. Scosse il capo.
- Sì. Triste e curiosa – disse il cameriere - molto triste. –
- Ditemi. –
- E’ una cosa molto rara – disse il direttore.
- Ditemi. Avanti, sentiamo.-
Il direttore si piegò sul tavolo con aria molto confidenziale.
- Nello schizzetto, sa – disse – aveva eau de cologne. Poveraccio. –
- Non era poi uno scherzo così di cattivo gusto, vede? – disse il cameriere.
- Veramente, era semplice allegria. Nessuno avrebbe dovuto offendersi – disse il direttore - Poveraccio. –
- Capisco – dissi. Voleva solo che tutti si divertissero.-
- Sì. – disse il direttore, - e’ stato veramente solo un disgraziato malinteso.
- E lo schizzetto?-
- Lo ha preso la polizia. Lo hanno restituito alla famiglia. -
- Chissà come saranno contenti di riaverlo. – dissi.
- Sì – disse il direttore, - uno schizzetto è sempre utile. –
- Chi era? –
- Un ebanista. –
- Sposato? –
- Sì. Stamattina è venuta qui sua moglie, con la polizia. –
- Cosa ha detto? –
- E’ caduta in ginocchio vicino a lui e ha detto: Pedro, che cosa ti hanno fatto? Chi ti ha fatto questo?
Oh, Pedro. –
Poi i poliziotti hanno dovuto portarla via perché non riusciva a dominarsi – disse il cameriere.
- Sembra che fosse debole di petto – disse il direttore, - ha combattuto nei primi giorni del movimento. - Dicevano che ha combattuto sulla Sierra ma che era troppo debole di petto per continuare. –
- E ieri pomeriggio è venuto in città per fare un po’ di festa- suggerii.
- No – disse il direttore, - E’ molto raro, vede. E’ tutto muy raro. Ecco quello che ho saputo dalla polizia, che è molto efficiente, se le danno il tempo. Hanno interrogato i compagni della bottega dove lavorava. L’hanno individuata grazie alla tessera del sindacato che aveva in tasca. Ieri ha comprato lo schizzetto e l’agua de cologna per fare uno scherzo a un matrimonio. Aveva annunciato questa intenzione. Li ha comprati in un negozio dirimpetto. Sul flacone di colonia c’era l’etichetta con un indirizzo. Il flacone era nella toilette. E’ stato là che ha riempito lo schizzetto. Dopo averli comprati deve essere entrato qui quando si è messo a piovere. -
- Me lo ricordo, quando è entrato – disse uno dei camerieri - Tra i canti e l’allegria è diventato allegro anche lui. –
- Era allegro, sì – dissi -  sembrava che fluttuasse a mezz’aria. –
Il direttore continuò con la sua implacabile logica spagnola: - E’ l’allegria che dà il bere quando si è deboli di petto – disse.
- Non mi piace mica tanto questa storia – dissi.
- Senta com’è raro – disse il direttore – l’allegria di quest’uomo che si scontra con la serietà della guerra come una farfalla... –
- Oh, proprio come una farfalla – dissi io - Troppo come una farfalla. –
- Non scherzo mica – disse il direttore – Vede? Come una farfalla con un carro armato. –
Questa frase gli piaceva enormemente. Stava entrando nella vera metafisica spagnola. Beva qualcosa. Offre la ditta – disse – lei deve scrivere un racconto su questo fatto. –
Ricordavo l’uomo dallo schizzetto con le sue mani di cera grigia, le braccia spalancate e le gambe tirate su, e un pochino le somigliava, a una farfalla. Ma mica troppo, capite. Non sembrava neanche molto umano. Mi ricordava più un passero morto.
- Prendo un gin con acqua tonica Schweppes – dissi.
- Lei deve scrivere un racconto su questa faccenda – disse il direttore – Ecco. Ecco la fortuna. –
- Fortuna – dissi - senta, ieri sera una ragazza inglese mi ha detto che non devo scrivere un bel niente. Che sarebbe un male per la causa. –
- Che sciocchezza – disse il direttore – E’ molto importante questa gaiezza malintesa che si scontra con la mortale serietà che c’è sempre qui da noi. Per me è la cosa più rara e più interessante che abbia visto da qualche tempo. Deve raccontarla. –
- Va bene, certo – dissi – aveva figli?-
- No – disse lui – ho chiesto alla polizia. Ma lei deve scrivere questo racconto e intitolarlo la farfalla e il carro armato. –
- Va bene – dissi – ma il titolo non mi piace molto. –
- Il titolo è molto elegante – disse il direttore. –E’ letteratura allo stato puro.-
- Va bene – dissi – sicuro, la chiameremo così. La farfalla e il carro armato. –
E rimasi là seduto, quel mattino allegro e luminoso, nel locale che sapeva di pulito e che era stato appena spazzato e arieggiato, col direttore che era un vecchio amico e che adesso era molto contento della letteratura che facevamo insieme, e bevvi un sorso di gin and tonic e guardai fuori dalla finestra riparata dai sacchetti di sabbia e pensai alla moglie inginocchiata che diceva: Pedro. Pedro, chi ti ha fatto questo, Pedro? E pensai che la polizia non sarebbe mai stata in grado di dirglielo, anche se avesse conosciuto il nome dell’uomo che aveva tirato il grilletto.


Ernest Hemingway (1899-1961) è stato uno scrittore statunitense, romanziere, autore di racconti brevi e giornalista. Molte delle sue opere sono considerate pietre miliari della letteratura americana.
Il suo stile letterario, caratterizzato dall'essenzialità e asciuttezza del linguaggio e dall'understatement, ebbe una significativa influenza sullo sviluppo del Romanzo del ventesimo secolo. I suoi protagonisti sono tipicamente uomini dall'indole stoica, chiamati a mostrare "grazia" in situazioni di disagio, pervasi da un senso assoluto di vigore morale e fisico, dal disprezzo del pericolo ma anche dalla perplessità davanti al nulla che la morte reca con sé. Questi personaggi non furono mai di pura invenzione, ma attinti dalle sue esperienze personali. Ebbe infatti una vita che descrivere come avventurosa è riduttivo. Durante gli anni venti, fece parte della comunità di espatriati a Parigi  conosciuta come "la Generazione perduta", così chiamata da lui stesso nel suo libro di memorie Festa mobile.
Condusse una vita sociale turbolenta, si sposò quattro volte e gli furono attribuite varie relazioni sentimentali nel corso dei suoi frequentissimi spostamenti in ogni parte del mondo.
Oltre agli innumerevoli viaggi e lunghi soggiorni in Europa, Asia, Africa e America Latina, egli non restò mai al margine dei grandi eventi che incrociarono il suo tempo. Fu corrispondente di guerra in Europa durante la seconda guerra mondiale, e volontario della Croce Rossa in Italia, rimanendo ferito più volte durante il servizio. Guidò un manipolo di partigiani francesi rischiando in quel frangente una condanna per diserzione da cui venne assolto, partecipò alla guerra civil contro il franchismo. Essendo impenitente amante della caccia grossa, non si contano le sue avventure africane di viaggi e safari. Era capace di transvolare un continente solo per partecipare a una battuta di caccia alla pernice. Notoria la sua passione per le corride che lo portò in Spagna al seguito dei toreri Ordonez e Dominguin e durante le feste di San Firmino a Pamplona, quando i tori vengono aizzati e liberati nelle strade. Subì anche una serie impressionante di sciagurate vicende come incidenti aerei, incendi nei quali diede sempre prova di estremo coraggio, generosità e resistenza oltre ogni limite umano.
Raggiunse già in vita una non comune popolarità e fama, che lo elevarono a mito delle nuove generazioni. Hemingway ricevette il Premio Pulitzer nel 1953 per Il vecchio e il mare, e vinse il Nobel per la letteratura nel 1954. In quel particolare frangente non potè recarsi a Stoccalma di persona perchè troppo malandato di salute e all'annuncio del messo rispose: " Troppo tardi ." Il premio fu quindi rititato per lui dall'ambasciatore Jon Cabot.
Passò gli ultimi anni con il fisico martoriato dalle numerose ferite subite, comprese quelle riportate in vari  incidenti stradali, attribuibili al suo vizio del bere.
« Morire è una cosa molto semplice. Ho guardato la morte in faccia e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto... E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse. »
Hemingway si uccise il 2 luglio del 1961 con una fucilata precisa alla tempia.



La guerra civile spagnola - Picasso - bozzetto per Guernica

Dall' ottobre del 1936 ai primi mesi del ' 38, l' assedio di Madrid ebbe aspetti da "festa mobile". Le truppe franchiste erano giunte alla periferia della capitale, tra la Casa de Campo e l' università, ma lì avevano dovuto arrestarsi di fronte alla resistenza delle milizie repubblicane: 25.000 uomini attestati lungo trenta chilometri di trincee sul fronte sud e sud-ovest. Verso la fine di novembre Franco rinunciò infatti all'idea d'un attacco frontale su Madrid, rafforzando invece il dispositivo dell'assedio. Così, dissoltasi l' angoscia d'una possibile resa ai generali golpisti del 18 luglio, e nonostante che di quando in quando si sentisse il frastuono d' una cannonata, la vita in città si rifece pressoché normale.
Durante l' assedio di Madrid, l'hotel Florida fu uno dei simboli della "guerra civil". La prova a favore della Spagna repubblicana che il meglio della cultura del Novecento s'era schierato senza esitare contro i franchisti e il dilagare del fascismo in Europa.
Una sera, un giovane canadese accorso a combattere nelle Brigate Internazionali s'affacciò nella hall dell' albergo. Si chiamava Ted Allan, aveva qualche ambizione letteraria, e quella sera stessa scrisse ad un amico: «Al Florida ci sono tutti, ti dico tutti, salvo Shakespeare ». E in effetti, nella mezz'ora trascorsa nell' hotel di piazza Callao il giovanotto aveva visto passare Pablo Neruda e John Dos Passos, Malraux e Arthur Koestler, Hemingway e Saint-Exupéry, Ilya Ehrenburg, Ioris Ivens, Josephine Herbst e Lilian Hellman.
A parte l' atmosfera, il Florida non era propriamente un luogo di piaceri. Gli ascensori avevano smesso di funzionare già nel primo mese della guerra, durante la battaglia del Jarama l' acqua mancò per più d' una settimana, lo spostamento d'aria provocato dalle cannonate franchiste fracassava ogni tanto i vetri, e le due sole prostitute che vi venivano ammesse - una certa Carmen, ex campionessa di lotta libera, e una marocchina di nome Fatima - erano ambedue spie dei sovietici. Né erano le sole: spiavano per "los rusos" anche il primo barman Javier, cinque o sei camerieri e i due lustrascarpe notturni, cui era affidato il compito di riferire quali nuove coppie s'improvvisassero da una notte all'altra (come successe a Hemingway e a Marta Gelhorn) nelle camere dell' albergo.
Nel corso dell' offensiva su Madrid dell'ottobre '36, il Florida, che si trovava a tre quarti della Gran Via, era quasi a tiro dell'artiglieria franchista situata tra il fiume Manzanarre e la Città Universitaria. Hemingway trattò allora un cambio di camera col direttore dell' albergo. Lo scrittore ne aveva una sul retro dell' edificio, di quelle più riparate, che, con l'inizio dell'offensiva e i cannoni franchisti così vicini, erano divenute le più richieste,  e propose di cederla in cambio d'una camera sul davanti, se il proprietario gliel' avesse data a metà prezzo.
Fu anche la presenza di tanti intellettuali famosi al Florida, che nei decenni successivi conferì un alone mitico alla guerra civile spagnola. La fissò nell' immaginazione dei democratici di tutto il mondo con le formule che quegli stessi intellettuali avevano coniato: illusione lirica, la "guerra dei poeti", la "romantica morte" dei versi di Auden. In realtà, dietro la coraggiosa resistenza degli Spagnoli al militar-fascismo, quella guerra fu uno dei più barbari massacri della storia moderna. Nel primo mese dei combattimenti, centomila persone erano infatti già state uccise in battaglia o nelle rappresaglie compiute sui due versanti. Solo a Madrid, nei giorni tra il 18 e il 20 luglio erano state bruciate cinquanta chiese. Non tutto era nobile, insomma, come avrebbero voluto gli scrittori e intellettuali accorsi generosamente in aiuto della Repubblica, alcuni per vestire il "mono" (la tuta dei miliziani) come George Orwell, altri per battere sulle loro macchine da scrivere la verità di quegli avvenimenti.
Nel ' 38 iniziarono anche difficoltà di approvvigionamento. Al Callecon de la Ternera, il ristorante vicino al Florida, dove andavano regolarmente Hemingway ed altri ospiti dell' albergo, c'era ormai assai poco da mangiare. Quanto al mezzo milione di madrileni, vivevano d'una razione giornaliera di sessanta grammi di lenticchie, più qualche sporadica distribuzione di zucchero e pesce secco. Barcellona era intanto caduta, la fine della guerra s' avvicinava e il Florida iniziava a svuotarsi...

fonti di documentazione:
Wikipedia
Sandro Viola
(mca ringrazia)

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