Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

24.4.11

PASQUA EASTER OSTERN PAQUES PASCUA PASCOA PASEN ΠΑΣΧΑ

Andrea Mantegna 1490-1500 - Cristo esce dal sarcofago sorretto dagli angeli

Una tempera su tavola conservata a Copenhagen, allo Statens Museum. La figura scultorea di Cristo, ancora recante i segni della passione, è appoggiata al sarcofago scoperchiato, le cui volute decorative ai lati indicano la forte ispirazione classica; è sorretta da due angeli, un cherubino dalla veste blu e un serafino dalla veste rossa, una formula rappresentativa più volte utilizzata nell’arte sacra dell’Italia settentrionale. L’origine di questa iconografia potrebbe essere ravvisata in un rilievo bronzeo realizzato a Padova da Donatello.

Il punto focale prospettico della composizione è concentrato in prossimità dell’ombelico del Cristo, da cui dipana il drappeggio del sudario retto dal cherubino.
Alle spalle del gruppo religioso si apre un vasto paesaggio con precisi riferimenti alla resurrezione. Lo sfondo a sinistra è composto da quinte degradanti che terminano all’orizzonte nella luce dorata del tramonto, posta in risalto dal contrasto con la residua nuvolosità sovrastante e l’azzurro delle cime montuose. Al di sotto del picco pietroso è visibile la sagoma delle mura di Gerusalemme, imperante sui campi verdeggianti dei pascoli, attraversati da un sentiero dove camminano le pie donne. A destra del gruppo lo sfondo appare dominato dalla punta del Golgota su cui svettano le tre croci spoglie. Sotto il colle roccioso si avvista una larga cava davanti alla quale gli scalpellini lavorano a una colonna e a una statua.

L’opera è firmata in basso, sullo spigolo del basamento del sarcofago: “ANDREAS MANTINIA

Il pittore, sposato con Nicolosia Bellini, continuava ad abitare nella stessa contrada Santa Lucia dove si era trasferito dalla casa dello Squarcione e, anche se il lavoro non mancava, tanto che aveva assoldato un aiutante, i compensi non dovevano essere eccezionali; si trovò infatti a dover impegnare un anello della moglie per poter tirare avanti. Egli doveva infatti portare a termine la pala d'altare per la chiesa di San Zeno a Verona, che fu eseguita fra il 1456 e il 1459.
 
Nel frattempo egli era stato invitato alla corte di  Mantova, città che, al di fuori della corte dei Gonzaga, non poteva certo vantare la stessa vita intellettuale di Padova. Tuttavia lì era atteso con grandi onori e il rapporto privilegiato che già aveva stretto col marchese Ludovico, era solo un anticipo della reverenza e dello status che gli sarebbero stati riservati dalla famiglia Gonzaga, perfetto modello di mecenatismo rinascimentale, che rese Mantova   uno dei principali centri della cultura umanistica del tempo.
 


Verona, San Zeno - Pala d'altare  (tempera su tavola)


Prima di trasferirsi a Mantova nella primavera del 1460, Mantegna portò a compimento l'importante pala per l'altare maggiore di San Zeno che il proprietario Gregorio Correr gli aveva richiesto.
Correr era un fine umanista, autore di tragedie e poemi ispirati a Seneca e Ovidio, ed è probabile che sia stato proprio lui ad introdurre l'artista al marchese Ludovico Gonzaga.
Per far sì che l'opera si inserisse meglio sull'altare della chiesa, sembra che abbia provveduto lo stesso pittore, ideando l'apertura di una finestra per sottolineare, con una fonte di luce naturale, l'artificio luministico adottato nella pittura. Mantegna, secondo i documenti, portò personalmente la pala a Verona alla fine del luglio 1459. Per il dipinto ricevette il compenso di 40 ducati.
La pala rimase integra al suo posto fino al 1797, quando fu trasferita in Francia col bottino napoleonico (merci, France).
Nel 1815 fu restituito solo il trittico maggiore. La predella invece andò smembrata fra Parigi e Tours e nella cornice originaria fu sostituita da copie.
 
Fonte:
Il solenne maestro - Maria Bellonci
(mca ringrazia)
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