Qui non mi trovate,
io qui non ci sono.
Sto nella stanza accanto
dove non c'è nessuno.

15.5.11

Se siete annoiati e disgustati dalla politica

Se siete annoiati e disgustati dalla politica e non vi disturbate a votare, di fatto votate per gli arroccati establishment dei due principali partiti, i quali, potete starne certi, stupidi non sono, ma anzi hanno una consapevolezza profonda di quanto gli convenga mantenervi in una condizione di disgusto e noia e cinismo, fornendovi ogni possibile motivazione psicologica perché il giorno delle primarie ve ne stiate in casa a farvi i cilum (= canne o pippe ) guardando Mtv. Sia chiaro: avete tutto il diritto di stare a casa, se volete, ma non prendetevi in giro pensando di non votare. In realtà, non votare è impossibile: si può votare votando, oppure votare rimanendo a casa e raddoppiando tacitamente il valore del voto di un irriducibile.
(da Forza, Simba di D.F.W.)

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"Succedono cose davvero terribili. L'esistenza e la vita spezzano le persone in tutti i cazzo di modi possibili e immaginabili...."
David Foster Wallace - NON SIGNIFICA NIENTE - Brevi interviste con uomini schifosi 

Questo è un racconto di abiezione un po' disturbante, tratto dalla raccolta di David Foster Wallace, ed è stato da me scelto  fra i tanti bellissimi disponibili, per un mero discorso di brevità ma anche per il tema sconvolgente che l'attualità continua a riproporci.
Purtroppo questi casi, nemmeno così rari come si vorrebbe credere o sperare, lasciano la vittima in una posizione di tormentata incertezza che la fa giungere a sentirsi quasi colpevole nei confronti del proprio aguzzino.
Per riuscire a salvarsi non esiste altro mezzo che quello della rimozione.

SILENZIO, SI LEGGE

Eccovene una stramba. E’ stato un paio d’anni fa, avevo 19 anni e mi preparavo a lasciare casa dei miei per andare a stare per conto mio, e un giorno che mi stavo preparando, all’improvviso mi torna in mente questo ricordo di mio padre che si mena l’uccello sotto il mio naso una volta che ero piccolo. Il ricordo viene fuori di punto in bianco, ma il fatto, che è così particolareggiato e sembra così concreto, mi dice che è assolutamente vero. All’improvviso so che è successo veramente, non è stato un sogno anche se aveva lo stesso tipo di stramberia bislacca che hanno i sogni. Ecco il ricordo improvviso. Potevo avere 8 o 9 anni e me ne stavo da solo nella stanza del tempo libero, dopo la scuola, a guardare la TV. Mio padre scende ed entra nella stanza e si piazza davanti a me, cioè tra me e la TV, senza dire niente, e io non dico niente. E, senza dire niente, tira fuori l'uccello e si mette come a menarselo sotto al mio naso. Mi ricordo che a casa non c'era nessuno. Doveva essere inverno, perchè mi ricordo che faceva freddo giù nella stanza del tempo libero, e io mi ero avvolto nello scialle che si metteva la mamma per guardare la TV.
Parte dell’assoluta stramberia dell’episodio di mio padre che si mena l’uccello davanti a me là sotto, era che, per tutto il tempo, non ha detto niente (me lo ricorderei se avesse detto qualcosa) e nel ricordo non c’è niente che riguarda la faccia che aveva, tipo che espressione aveva. Non mi ricordo nemmeno se mi guardava. Mi ricordo soltanto l’uccello. Cioè l’uccello reclamava tutta la mia attenzione. Stava lì a menarselo sotto il mio naso, senza dire niente né fare alcun commento, scuotendolo più o meno come fai al cesso, cioè quando te lo sgrulli, ma c’era anche un che di minaccioso e un po’ spaccone nel modo come lo faceva, mi ricordo anche come se l’uccello fosse un pugno che mi metteva sotto il naso sfidandomi a dire qualcosa, e mi ricordo che ero avvolto nello scialle, e non riuscivo a alzarmi o a liberarmi, e mi ricordavo soltanto di spostare la testa di qua e di là, cercando di levarmelo da sotto il naso (l’uccello). E’ uno di quei fatti veramente bislacchi, talmente strambi che non ti sembra che stiano succedendo perfino mentre succedono. Prima, l’unica volta che avevo visto l’uccello di mio padre era stato negli spogliatoi. Mi ricordo che spostavo la testa dappertutto sul collo, con l’uccello che mi seguiva dappertutto, e mentre lo facevo mi venivano alla mente pensieri veramente bislacchi, tipo: sto muovendo la testa tale e quale a un serpente, ecc. non ce l’aveva duro. Mi ricordo che l’uccello era un po’ più scuro del resto, e grosso, con una grossa orribile vena che gli correva su un lato. Il buchino sull’estremità sembrava lungo e stretto e incazzato, e si apriva e chiudeva un po’ mentre mio padre si menava, tenendo il coso minacciosamente dritto sotto il mio naso ogni volta che spostavo la testa di qua e di là.
Questo il mio ricordo. Dopo avercelo avuto (il ricordo) mi aggiravo per casa dei miei come frastornato, cioè come stordito, completamente allucinato, senza raccontarlo a nessuno, e senza chiedere niente. So che quella era l’unica volta che mio padre aveva fatto una cosa del genere. Questo mentre preparavo i bagagli, e andavo in giro per negozi a rimediare scatoloni per il trasloco. Certe volte mi aggiravo per casa dei miei sotto shock, sentendomi assolutamente strambo. Continuavo a pensare al ricordo improvviso. Andavo in camera dei miei e poi giù nella stanza del tempo libero. Nella stanza del tempo libero c’era un nuovo impianto audiovisivo invece della vecchia TV, ma lo scialle della mamma era sempre lì, steso sullo schienale del divano quando non veniva usato. Era lo stesso scialle del ricordo. Cercavo continuamente di pensare perché mio padre avesse fatto una cosa del genere, che cosa poteva aver pensato, cioè che significato poteva aver avuto, e cercavo di ricordarmi se c’erano stati uno sguardo o un’emozione di qualche tipo, durante la cosa, sulla sua faccia.
Ora diventa ancora più strambo, perché alla fine, il giorno che mio padre prese una mezza giornata libera e andammo a affittare un furgone che mi serviva per fare fagotto e trasferirmi, alla fine, nel furgone, tornando a casa dal noleggio, sputai il rospo, e gli chiesi di quel ricordo. Glielo chiesi a bruciapelo. Mica c’è un modo di arrivare per gradi a una cosa del genere.. mio padre aveva addebitato l’affitto del furgone sulla sua carta, ed era lui a guidare. Mi ricordo che la radio del furgone non funzionava. Nel furgone, di punto in bianco (dalla sua prospettiva), dico improvvisamente a mio padre che ultimamente mi ero ricordato quel giorno che lui era sceso e si era menato l’uccello sotto il mio naso quand’ero piccolo, e più o meno gli descrivo brevemente quello che mi ero ricordato, e gli chiedo: si può sapere che cazzo voleva dire? Visto che lui si limitava a guidare il furgone e non diceva o faceva niente in risposta,  insisto, tirando di nuovo in ballo quell’episodio, e gli faccio di nuovo la stessa domanda (fingendo che magari non aveva sentito quello che gli avevo detto la prima volta). A quel punto mio padre una cosa la fa – siamo nel furgone, su un breve rettilineo lungo la strada che porta alla casa dei miei, così mi posso preparare per andarmene a stare per conto mio, - lui, senza muovere le mani dal volante, né muovere un solo muscolo tranne il collo, gira la testa per guardarmi, e mi rivolge quello sguardo. Non è uno sguardo incazzato, o confuso come se credesse di non aver sentito bene. E non è come a dire: - si può sapere che diavolo ti prende? O - levati dai coglioni, o una delle cose che dice di solito per farti capire che è incazzato. Non dice nemmeno mezza cosa, anche se quello sguardo che mi rivolge dice tutto, cioè che non riesce a credere di aver appena sentito quella stronzata uscirmi dalla bocca, cioè che è veramente incredulo e disgustato, cioè che non solo in vita sua non si è mai menato l’uccello senza motivo davanti a me quand’ero piccolo ma già il fatto che mi sono potuto anche solo immaginare che lui si sia mai venuto a menare l’uccello davanti a me, e poi ci ho creduto, e poi me ne vengo davanti a lui in quel furgone in affitto, e poi lo accuso. Ecc. ecc. lo sguardo che mi lanciò di rimando nel furgone mentre guidava, dopo che avevo tirato in ballo il ricordo e gli avevo chiesto spiegazioni a bruciapelo…fu quello a farmi saltare completamente la bussola, nei suoi confronti. Lo sguardo che voltandosi mi lanciò lentamente diceva che era imbarazzato per me, e imbarazzato per se stesso anche per il solo fatto di essere imparentato con me. Immaginate di essere a una grande, scicchissima cena in giacca e cravatta o a un banchetto in grande stile con vostro padre, quando tutto a un tratto prendete e salite sopra al tavolo del banchetto, vi accovacciate e vi mettete a cacare proprio lì sul tavolo, davanti a tutti…è quello il genere di sguardo che vi lancerebbe vostro padre, mentre lo fate. Grosso modo fu allora, nel furgone, che sentii che avrei potuto ucciderlo. Per un secondo cioè sentii che avrei voluto che il furgone si aprisse e mi ingoiasse, tanto ero imbarazzato. Ma, dopo qualche frazione di secondo, sentii di essere così assolutamente incazzato che avrei potuto ucciderlo.. era strano…il ricordo in sé per sé, sul momento, non mi aveva fatto sentire incazzato, ma solo allucinato, come sotto shock. Ma quel giorno, nel furgone noleggiato, il modo come mio padre non aveva sprecato una sola parola, limitandosi a guidare verso casa in silenzio, con tutte e due le mani sul volante, e quello sguardo sulla faccia perché gli avevo chiesto quella cosa…bé, ora ero veramente incazzato. Avevo sempre pensato che quella cosa che si dice sul fatto, che quando ti imbestialisci ci vedi rosso fosse una figura retorica, invece è vero. Dopo aver caricato tutte le mie cianfrusaglie sul furgone me ne andai e non mi feci più vivo coi miei per oltre un anno. Neanche una parola. Il mio appartamento, nella stessa città, non distava più di un paio di miglia, ma non gli diedi nemmeno il numero di telefono. Fingevo che non esistessero. Tanto ero disgustato e incazzato. Mia madre non aveva la minima idea del perché non mi facevo vivo, ma con lei avrei tenuto la bocca cucita, poco ma sicuro, e sapevo, mi ci sarei giocato i coglioni, che mio padre non avrebbe aperto bocca. Tutto quello che vedevo mantenne un lieve colorito rosso per qualche mese, dopo che me ne andai senza farmi più vivo, o, se non altro, una sfumatura rosa. Non pensavo spessissimo al ricordo di mio padre che si menava l’uccello davanti a me da piccolo, ma non passava giorno che non ricordassi quello sguardo che mi aveva lanciato nel furgone quando avevo di nuovo tirato in ballo quella storia. Lo volevo uccidere. Per qualche mese pensai di andare a casa quando non c’era nessuno e prenderlo a calci in culo.. mia sorella non aveva la minima idea del perché non mi facevo vivo coi miei e disse che dovevo essere uscito di testa, stavo spezzando il cuore alla mamma, e quando chiamai mi trattarono come una merda per non essermi fatto più vivo senza dare spiegazioni, ma ero così incazzato da sapere che sarei finito nella fossa senza dire un altro cazzo di parola su quella faccenda. Non è che non dicevo niente perché me la facevo sotto, è che quella cazzo di cosa mi aveva talmente fatto perdere la bussola da farmi sentire che se l’avessi di nuovo tirata fuori e qualcuno mi avesse lanciato un’occhiata di qualche tipo, sarebbe successo il finimondo.. quasi ogni giorno, mi immaginavo di andare a casa e prendere mio padre a calci in culo, mentre lui non faceva che chiedermi perché, e che voleva dire, e io che non dicevo una parola, e sulla mia faccia non ci sarebbero stati uno sguardo o un’emozione mentre gli facevo sputare l’anima.
Poi col passare del tempo, io, a poco a poco, mi liberai di tutta la faccenda. Sapevo ancora che il ricordo di mio padre che si menava l’uccello davanti a me nella stanza del tempo libero era assolutamente reale, ma, a poco a poco, cominciai a capire che, perché ero io a ricordare l’episodio, non significava necessariamente che mio padre l’avesse fatto. Cominciai a capire che magari lui si era dimenticato di tutta la faccenda. Era possibile che tutta la faccenda fosse talmente stramba e inspiegabile che mio padre l’aveva psicologicamente rimossa dai suoi ricordi, e che quando io, di punto in bianco (dal suo punto di vista) l’avevo ritirata in ballo nel furgone, lui non ricordasse di aver fatto mai una cosa così bislacca e inspiegabile come venire di sotto a menarsi minacciosamente l’uccello davanti a un bambino, e aveva pensato che mi fossi bevuto il cervello, e mi aveva lanciato quello sguardo che esprimeva tutto il suo disgusto.. cioè non ero proprio convinto che mio padre non se ne ricordava, ma cominciavo a considerare, poco a poco, la possibilità che l’aveva rimosso. Poco a poco, sembrava che la morale del ricordo di un episodio così strambo è: tutto è possibile. Dopo quell’anno, ero arrivato alla conclusione che, se mio padre era disposto a dimenticare tutta la faccenda di me nel furgone che tiravo in ballo il ricordo di quell’episodio, e a non tirarla più in ballo,  allora io ero disposto a dimenticare tutta la faccenda. Sapevo, e mi sarei giocato tutti e due i coglioni, che io non l’avrei più tirata in ballo. Quando arrivai a questa conclusione riguardo all’intera faccenda, era più o meno l’inizio di luglio, poco prima del 4 luglio, che è anche il compleanno della mia sorellina, così, di punto in bianco (secondo loro), prendo e chiamo i miei chiedendo se potevo passare per il compleanno di mia sorella e vederli nello speciale ristorante dove per tradizione portavano sempre mia sorella per il suo compleanno, visto che le piace tanto (il ristorante). Questo ristorante, che è il centro del nostro centro abitato, è italiano, costo setto, con decorazioni per lo più scure, di legno, e i menu in italiano. (la nostra famiglia non è italiana.) era buffo che proprio in quel ristorante, in occasione di un compleanno, mi sarei fatto vivi coi miei, perché quand’ero piccolo i miei sapevano che quello era per tradizione il mio ristorante preferito, dove volevo sempre andare per il mio compleanno. Chissà perché, da piccolo, mi ero fatto l’idea che fosse gestito dalla mala, cosa che su di me esercitava un fascino incredibile, da piccolo, e rompevo sempre le scatole ai miei per farmici portare almeno per il compleanno, finché, poco a poco, crescendo, diventai troppo grande per quel posto, che, chissà perché, cominciò a diventare il ristorante preferito di mia sorella, come se l’avesse ereditato. Ha le tovaglie a quadretti rossi e neri e tutti i camerieri sembrano malavitosi, e, sui tavoli del ristorante ci sono sempre delle bottiglie di vino vuote con le candele ficcate nel buco, che si sono sciolte, e la cera di vari colori indurita le ricopre su tutti i lati formando linee e disegni variegati. Da piccolo ricordo che avevo una strana attrazione per le bottiglie di vino tutte coperte di cera secca, e mio padre doveva dirmi in continuazione di non staccare la cera. Quando arrivai al ristorante in giacca e cravatta, loro erano già tutti lì, a tavola. Mi ricordo che mia madre sembrava veramente entusiasta e contenta di vedermi, e si capiva che era disposta a perdonarmi per quell’anno intero che non mi ero fatto vivo, tanto era contenta di sentire che eravamo di nuovo una famiglia.
Mio padre disse – Sei in ritardo. Accenni di una qualche espressione, zero.
Mia madre disse – Abbiamo già ordinato, se per te va bene.
Mio padre disse che avevano ordinato anche per me visto che ero arrivato con un po’ di ritardo.
Mi misi a sedere, e chiesi sorridendo cosa mi avevano ordinato.
Mio padre disse – Pollo al piatto. Te l’ha ordinato tua madre.
Io dissi – Ma io odio il pollo. L’ho sempre odiato. Come avete fatto a dimenticare che odio il pollo?
Per un attimo ci guardammo tutti intorno al tavolo, anche la mia sorellina, anche il suo ragazzo capelluto. Per una lunga frazione di secondo ci fu uno scambio di sguardi. Questo mentre il cameriere portava il pollo per tutti. Allora mio padre sorrise, e fece per scherzo il gesto di mollare un pugno e disse – Levati dai coglioni.
Allora mia madre si mise una mano sul petto, come fa quando ha paura di mettersi a ridere troppo forte, e rise. Il cameriere mi mise il piatto davanti, e io feci finta di guardarlo con una smorfia, e tutti a ridere.
Era buonissimo.    
David Foster Wallace
(da Brevi interviste con uomini schifosi)
David Foster Wallace (1962 –2008) è stato un narratore, saggista e autore statunitense, noto per il suo realismo isterico e la cupa ironia.
Considerato uno dei rappresentati della corrente letteraria Avantpop, movimento artistico statunitense scaturito dal postmodernismo degli anni novanta
È caratterizzato dall'uso di materiali provenienti dai mass media montati in testi letterari (nei quali si adottano tecniche narrative ispirate a cinema, musica pop, televisione, fumetti, internet, videogiochi.
Wallace è stato definito dal New York Times un "Émile Zola post-millennio" e " La mente migliore della sua generazione".
E’ stato spesso paragonato ad autori celebrati come Thomas Pynchon, Don DeLillo, Vladimir Nabokov, Jorge Luis Borges.

Laureatosi nel 1985 in letteratura inglese e in filosofia, con una specializzazione in logica modale e matematica, a soli venticinque anni già si distingueva per il suo stile ironico, complesso e acuto, un talento letterario che i critici non tardarono a notare.
Nel 1989 uscì negli Stati Uniti La ragazza con i capelli strani, una raccolta di racconti considerata un suo manifesto poetico e stilistico.
Il secondo romanzo, Infinite Jest fu un libro-evento, un tomo di oltre 1400 pagine che consacrò Wallace autore di culto internazionale: uscì nel 1996 negli USA e in Italia nel 2000, lanciato da Fandango e ottenne ampia e immediata eco.
Il romanzo, considerato il capolavoro dello scrittore americano, descrive la complessità della società contemporanea: le difficoltà nei rapporti interpersonali, l'uso delle droghe, il ruolo sempre più importante del mondo dello spettacolo, dei media e dell'intrattenimento, l'esasperata competizione sociale.
In Brevi interviste con uomini schifosi , impiegando un linguaggio intellettualistico, sbracato e chirurgicamente dissezionante, Wallace ci vuole dire che siamo tutti dei Mostri. E la vera schifezza risiede nel fatto che tale mostruosità è stata omologata come normalità e ad essa ci siamo ormai assuefatti.
La sera del 12 settembre 2008, Wallace ha deciso di farla finita impiccandosi nel patio di casa propria a Claremont, in California, lasciando nello sconcerto più totale il mondo letterario, i suoi fedeli e i suoi estimatori.


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